Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17689 del 19/12/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17689 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FARO GIUSEPPE N. IL 18/11/1957
avverso la sentenza n. 668/2007 CORTE APPELLO di CATANIA, del
08/07/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2017 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
-.Udito il Procuratore Generale in persona del Dott./ ?c che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
/Uditi difensor Avv. /
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c, < Data Udienza: 19/12/2017 RITENUTO IN FATTO Giuseppe FARO, tramite i difensori ricorre per Cassazione avverso la sentenza 8.7.2016 con la quale la Corte d'Appello di Catania lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e 500,00 C di multa per la violazione degli artt. 81 cpv., 110, 629 in relazione all'art. 628 comma 3 n. 3 e con la aggravante di cui all'art. 7 I. 2013/1991. La difesa chiede l'annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti Ricorso avv.to ZICCONE 1) Ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione dell'art. 110 cod. pen. La difesa (richiamando Cass. sez. 5 3.7.2009 n. 30080) afferma che manca prova del contributo causale che l'imputato avrebbe prestato alla consumazione del delitto di estorsione. La difesa sostiene che le dichiarazioni della persona offesa depongono in senso contrario al significato loro attribuito dalla Corte territoriale, nel senso che l'intervento del FARO sarebbe stato del tutto occasionale, su richiesta della persona offesa e privo di qualsivoglia incidenza sulla volontà della persona offesa di pagare gli estorsori. A conforto della tesi la difesa richiama il contenuto delle pagg. 10, 12, 15 del verbale dell'udienza preliminare del 31.1.2006. La difesa sostiene poi non essere ravvisabile alcuna pressione psicologica da parte dell'imputato sulla persona offesa, non essendo dimostrato che dalla organizzazione mafiosa sarebbe stata formulata una richiesta alternativa (pagare il pizzo o assumere dipendenti indicati dall'organizzazione). 2) Ex art. 606 comma 1 lett. b) e de) cod, proc pen. erronea applicazione dell'art. 110 cod. pen. sotto il profilo dell'elemento psicologico, nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione. La difesa sostiene che manca la prova che l'azione dell'imputato sia stata sorretta da dolo, emergendo nella stessa motivazione della decisione impugnata la prova fattuale e logica per la quale l'imputato non ebbe alcuna intenzione di avvantaggiare i "mafiosi", avendo avuto un ruolo marginale, occasionale e secondario, agendo per spirito di solidarietà con la vittima e non certo per proprio tornaconto neppure di carattere imprenditoriale. La difesa sostiene ancora che manca la prova che il FARO abbia agito per conto dell'organizzazione criminale, essendo meramente enunciativa l'affermazione in senso contrario. La difesa richiama le dichiarazioni rese da MASCALI Angelo, LANZA Giuseppe che, unitamente al CHIAVETTA, hanno consumato l'estorsione in danno del BORRELLA, sottolineando che: il collaboratore non riferisce di un ruolo at- 1 motivi così riassunti entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. tivo dell'imputato manca la prova di contatti tra il ricorrente e l'organizzazione criminosa. 3) Ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione dell'art. 629 cod. pen. in relazione alla partecipazione dell'imputato al delitto di estorsione; violazione dell'art. 192 comma 3 cod. proc. pen. in relazione alla necessità dei riscontri sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia; illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova. La difesa sostiene che la Corte d'Appello avrebbe rinvenuto il "ri- re di giustizia in una prova logica, senza prendere in considerazione (per scartarle) la spiegazione alternativa in forza offerta e dalla quale poter desumere le ragioni di conoscenza fra l'imputato e la vittima. Secondo la difesa manca pertanto il "riscontro" ex art. 192 comma 3 cod. proc. pen. alle dichiarazioni rese dal collaboratore CHIAVETTA. La difesa denuncia il vizio di illogicità della motivazione nel punto in cui la Corte territoriale afferma che l'imputato non sarebbe credibile FARO, perché non avrebbe tempestivamente denunciato l'estorsione patita, quando anche lo stesso BORRELLA asua volta non aveva presentato alcuna denuncia.. 4) Ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. erronea applicazione dell'art. 7 I. 203/1991 e vizio di carenza di motivazione. La difesa sostiene che la contestazione dell'aggravante ex art. 7 I. 203/1991 sarebbe errata: il ricorrente non faceva parte di organizzazioni mafiose, il suo intervento sarebbe stato limitato, con la conseguenza che nella specie la contestazione dell'"uso del metodo mafioso" non avrebbe fondamento. Secondo la difesa neppure ricorre poi l'aggravante nella forma dell' agevolazione della organizzazione mafiosa, alla luce del proprio personale tornaconto collegato alla attività imprenditoriale del BORRELLA e alla possibilità di riscuotere i propri crediti (pag. 8 della sentenza) 5) Ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. erronea applicazione dell'art. 81 cpv., in ordine all'esclusione dell' unicità del disegno criminoso tra il reato oggetto del presente procedimento e quello di cui alla sentenza allegata (decisione n. 1391/2004) e vizio di mancanza di motivazione. La difesa sostiene che la Corte territoriale non ha considerato che i reati, di cui ai due diversi procedimenti penali, nella medesima natura sarebbero stati commessi nel medesimo contesto temporale ed in collegamento con organizzazioni mafiose, ancorché diverse fra loro. Ricorso avv.to GAITO 1) Ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. erronea applicazione degli artt. 110, 620 cod. pen. e degli artt. 192 commi 2 e 3 e 546 lett. e) cod. 2 scontro" oggettivo individualizzante delle dichiarazioni rese dal collaborato- proc. pen. e vizio della motivazione, perché l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato sarebbe assertiva e tautologica e conseguentemente apparente. La difesa mette in evidenza come il riconoscimento dell'attendibilità del CHIAVETTA si fondi su un costrutto inferenziale di tipo negativo (assenza di spiegazioni alternative) e non già sul rinvenimento di elementi di fatto esterni confermativi delle dichiarazioni stesse. In data 9.10.2017 la difesa (Avv.to GATTO) dell'imputato ha depositato motivi ag- pugnata, sostiene che: a) l'imputato non avrebbe esercitato alcuna pressione sulla vittima della estorsione; b) non può essere attribuita all'imputato il ruolo di "intermediario tra la vittima e la cosca mafiosa; c) la scelta c.d. "imprenditoriale" dell'imputato volta a dare un "consiglio interessato" non vale a colorare di dolo l'azione compiuta; d) manca la prova di un riscontro positivo alle dichiarazioni rese dal Chiavetta. RITENUTO IN DIRITTO Va premesso che la vicenda storica (estorsione esercitata nei confronti del BORRELLA da persone appartenenti al clan mafioso Santa Paola) è pacifica nei suoi estremi oggettivi ed è altrettanto pacifico che l'imputato, tratto a giudizio per la suddetta estorsione, abbia svolto il ruolo di intermediario tra la vittima e l'organizzazione mafiosa. Risulta infatti acclarato e non contestato dalla difesa che persone appartenenti al clan SANTA PAOLA abbiano avanzato richieste estorsione all'imprenditore BORRELLA e che: 1) la vittima ha richiesto consiglio all'imputato circa il comportamento da tenere in relazione alle pretese avanzate; 2) l'imputato ha accompagnato il BORRELLA ad un incontro con appartenenti all'organizzazione mafiosa per definire i termini e la somma da pagare per tacitare la pretesa estorsiva. Si tratta di circostanze di fatto che in quanto ammesse dallo stesso imputato, possono essere ritenute pacifiche, sicché la ricostruzione della vicenda può ritenersi corretta e immune da censure la motivazione sul punto Si tratta pertanto di verificare sul piano del diritto la correttezza della decisione assunta dalla Corte territoriale. Il FARO, raccolte le confidenze del BORRELLA, lo ha consigliato di cedere alla richiesta estorsiva e lo ha accompagnato ad un incontro con gli esponenti della organizzazione mafiosa. Con valutazione non sindacabile nel merito (perché non manifestamente illogica) e corretta in diritto i giudici di merito hanno valutato la condotta dell'imputato in termini di "intermediario" nella illecita condotta estorsiva. E' pacifico, in diritto che l'operare nella veste di "intermediario" integra, sotto il profilo materiale, la fattispecie del concorso di persone nel reato di estorsione, es- 3 giunti con i quali, ribadendo le critiche mosse alla motivazione della decisione im- sendo evidente il contributo causale agevolativo che tale non rara figura fornisce agli autori dell'illecito. La connotazione di illiceità configurabile per l'intermediario è esclusa dalla costante (e consolidata) giurisprudenza solo nel caso in cui la suddetta persona abbia agito nell'esclusivo interesse della vittima e per motivi di solidarietà, perché, in caso contrario la sua opera (consistente anche nel convincere la vittima a cedere alla pretesa estorsiva e nel facilitare la presa di contatto tra la vittima e gli estorsori) contribuisce all'esercizio della pressione morale ed alla coazione psicologica nei tis: Sez. 2, n. 37896 del 20/07/2017 - dep. 28/07/2017, Benestare, Rv. 27072301; Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017 - dep. 13/02/2017, Bonapitacola, Rv. 26911701; Sez. 5, n. 13520 del 21/01/2015 - dep. 30/03/2015, Quatrosi e altri, Rv. 26289601; Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012 - dep. 18/01/2013, P.C., Adamo e altri, Rv. 25429801; Sez. 5, n. 40677 del 07/06/2012 - dep. 17/10/2012, Petruolo, Rv. 25371401; Sez. 6, n. 41359 del 21/10/2010 - dep. 23/11/2010, Cuccaro e altri, Rv. 24873401]. La difesa, nel tentativo di sostenere l'irrilevanza della condotta del FARO nella causazione dell'evento, sostiene che l'intervento dall'imputato sarebbe stato del tutto occasionale e sollecitato dalla stessa persona offesa. Sul punto va sottolineata che se l'intervento di intermediazione è stato sollecitato dalla stessa persona offesa, trattasi di circostanza che non elide la illiceità della condotta dell'intermediario, trattandosi solo di elemento di fatto che incide esclusivamente sulla gravità del fatto e sulla intensità del dolo e che può quindi essere oggetto di apprezzamento solo sotto il profilo del trattamento sanzionatorio (ex art. 133 comma 2 n. 1 cod. pen.), una volta che sia stata acclarato che l'azione compiuta non sia rispondente all'esclusivo interesse della persona offesa e da spirito puramente solidaristico sul piano umano. Per tali ragioni il primo e il secondo motivo di ricorso sono inammissibili, poiché si risolvono non già in valide critiche in diritto, ma in considerazione di mero fatto consistenti in una diverso apprezzamento di aspetti di merito, correttamente considerati dalla Corte territoriale nella cornice nella costante giurisprudenza di legittimità. Nella specie, per stessa ammissione dell'imputato, il consiglio prestato al BORRELLA va apprezzato alla luce del dichiarato interesse del FARO che il primo (BORRELLA) portasse a termine l'appalto in corso, realizzando così le condizioni di poter adempiere al pagamento dei rilevanti debiti che il BORRELLA stesso aveva con la impresa del FARO. Sul piano giuridico si tratta dell'esplicitazione del "motivo" dell'azione di convincimento esercitato dal FARO sul BORRELLA che, se non dispiega un effetto diretto sugli elementi costitutivi della fattispecie del concorso nel delitto di estorsione, va4 confronti della vittima così conferendo un apporto causativo all'evento [v. ex mul- le però ad escludere che la condotta dell'imputato sia stata orientata ad aiutare in via esclusiva la vittima del reato di estorsione. Il terzo motivo di ricorso incentrato sulla censura della mancanza di riscontri alle dichiarazioni del CHIAPPETTA, collaboratore di giustizia, è inammissibile. La Corte d'Appello rinviene il riscontro delle dichiarazioni del CHIAPPETTA sull'apprezzamento di circostanze di fatto considerate sul piano meramente logicoinduttivo. La difesa censura siffatta motivazione, prospettando come il fatto che il CHIAPPETTA avesse fatto il nome del FARO, potesse rispondere a due ulteriori e sentenza] afferma che le dichiarazioni del CHIAPPETTA trovano riscontro in quelle della persona offesa e in quelle dello stesso imputato, con il che appare esaustivamente concluso ex art. 192 terzo comma cod. proc. pen. il procedimento di verifica degli elementi di riscontro delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia che risulta essere stato oggetto di vaglio anche sotto il profilo della credibilità soggettiva. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. All'imputato è stata contestata la circostanza aggravante ex art. 7 I. 203/1991 sotto i due diversi profili della agevolazione della organizzazione e del metodo mafioso. Se la prima forma è da ritenersi esclusa per l'imputato alla luce del concorrente motivo di avere commesso l'azione al fine di perseguire un interesse personale, permane egualmente l'aggravante sotto la diversa forma del "metodo mafioso". Tale circostanza, realizzata indubitabilmente tenendo conto della metodica esecutiva svolta dagli autori del reato, ha carattere oggettivo siccome attinente alle modalità dell'azione, con la conseguenza che essa si estende a tutti concorrenti ex art. 70 cod. pen. (e al FARO compreso). Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, la Corte territoriale ha indicato in modo puntuale le ragioni per le quali ha escluso l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 81 cpv. Cod. pen. con conseguente riconoscimento della continuazione fra i fatti di cui alla presente vicenda processuale e quelli di cui alla precedente sentenza n..... Si tratta di motivazione adeguata ed immune da vizi e pienamente logica nell'affermazione della mancanza della prova della identità del disegno criminoso, confortata indirettamente dalle stesse tesi della difesa che, riconducendo a mera occasionalità la condotta illecita dell'imputato, ha escluso, sul piano logico la configurabilità del "medesimo disegno criminoso" quale deliberazione di commettere illeciti perseguendo un programma quantomeno di larga massima previamente deliberato. La inammissibilità dei ricorsi preclude ex art. 585 comma 4 cod. proc. pen. la disamina dei motivi aggiunti che peraltro sono comunque manifestamente infondati per le medesime ragioni per le quali lo sono i motivi principali 5 diverse ricostruzioni alternative. Invero la stessa Corte d'Appello [pag. 10 della Pertanto i ricorsi sono inammissibili e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000 alla Cassa delle Ammende, così equitativannente determinata la sanzione amministrativa prevista dall'art. 616 cod. proc. pen., ravvisandosi nella condotta del ricorrente gli estremi della responsabilità ivi stabilita. P.Q.M. processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19.12.2017 z Il giudice ten,Sore Ugo n zo il Presidente Piercamillo DAVIGO Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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