Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17673 del 06/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17673 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ZEA ANTONIO nato il 27/07/1981 a ABBIATEGRASSO
avverso la sentenza del 23/12/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI;

Data Udienza: 06/03/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano, in riforma
della sentenza emessa dal Tribunale di Vigevano il 4.7.2013, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di ZEA Antonio, in atti generalizzato, per il reato
ascrittogli al capo 2) per intervenuta prescrizione e ha rideterminato la pena,
confermando nel resto la pronuncia impugnata, con cui l’imputato è stato condannato
per una rapina aggravata dall’uso dell’arma.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i

seguenti motivi:
1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata in relazione agli elementi fondanti la dichiarata responsabilità
penale per il reato di cui all’art. 628, 3 comma n. 1, c.p.. In particolare, sarebbe
contraddittorio sostenere che per la concitazione del momento la teste, seppure a
brevissima distanza, non avrebbe potuto notare due segni distintivi del volto del
rapinatore, ossia la mancanza di denti nell’arcata superiore dentale e una cicatrice
sotto una delle narici. La Corte territoriale avrebbe poi omesso di considerare la
deposizione dei due testi, secondo cui tutti i giovedì (giorno della rapina) l’imputato
si recava con loro a lavorare;
2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, per essere stata espletata una perizia antropometrica senza
un’oggettiva comparazione tra l’attuale aspetto fisico dell’imputato e quello
dell’autore, risultante dai fotogrammi delle riprese del servizio di videosorveglianza;
3) mancata assunzione di una prova decisiva a discarico, per la mancata
rinnovazione dell’istruttoria attraverso l’espletamento di una nuova perizia
antropometrica;
4) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata in relazione al denegato espletamento di una nuova perizia
antropometrica.
2. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi privi di specificità e
comunque manifestamente infondati.
Il ricorrente reitera doglianze già avanzate dinanzi alla Corte territoriale, che le
ha disattese (v. f. 6 e 7 della sentenza impugnata) con argomentazioni corrette,
logiche, non contraddittorie e, pertanto, esenti da vizi censurabili in questa sede.

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In particolare, la Corte territoriale, dopo avere spiegato le ragioni per cui la teste
era stata nell’oggettiva impossibilità di apprezzare la dentatura e la cicatrice, ha
rilevato che “le modalità con le quali si è pervenuto al riconoscimento dello Zea da
parte della Rebosio sono correttissime (molte fotografie nell ‘album, breve lasso di
tempo, ripetizione dell’incombente in incidente probatorio). Del pari ineccepibili le
valutazioni sul merito del riconoscimento: sufficiente tempo a disposizione per
memorizzare le fattezze dell’aggressore, brevissima distanza tra teste oculare e

preliminarmente forniva una diffusa descrizione del rapinatore per poi riconoscere
Zea “con certezza”.
La medesima Corte ha poi rilevato che “diffusa e del tutto condivisibile anche la
trattazione riservata alla rilevanza probatoria (di conferma dell’avvenuto
riconoscimento) dell’esito della perizia antropometrica (che esclude ogni necessità
di ripetizione per il rigore con la quale è stata condotta)”.
A fronte di siffatte argomentazioni le doglianze del ricorrente si risolvono,
dunque, in una sollecitazione a valutare diversamente il materiale probatorio:
richiesta, questa, inammissibile in sede di legittimità.
3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché —
valutati i profili di colpa nella proposizione del ricorso inammissibile (Corte cost., 13
giugno 2000 n. 186) – della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle
Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale del 6 marzo 2018
Il Consigliere estensore
Giuseppina A. R. Pacilli

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Il Presidente

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Adriano Iasillo

rapinatore. Deve aggiungere la Corte che in sede di incidente probatorio la teste

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