Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1767 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 1767 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DI VIRGINIO ADOLFO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) GRASSO LUIGI N. IL 07/05/1966
2) GRASSO IGNAZIO GIUSEPPE N. IL 04/03/1965
avverso la sentenza n. 180/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 08/03/2011
visti gli atti, la sentenza e i.k ricorsi
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2012 la relazione fatta dal
Presidente Dott. ADOLFO DI VIRGINIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cele Ank..‹.
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che ha concluso per ;k
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Udito, per 1apte civile, l’Avv
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Data Udienza: 11/12/2012

Deducono i ricorrenti inosservanza dell’art. 51 c.p. e manifesta illogicità della motivazione,
relativamente sia al profilo obiettivo sia al profilo soggettivo del reato. Essi non avevano formulato
alcuna accusa di falso nei confronti degli operanti; ed anzi, avevano affermato di non sapersi
spiegare la ragione per cui a Grasso Ignazio Giuseppe, che a differenza degli altri due arrestati si era
dichiarato estraneo alla rapina, fosse stato attribuito il possesso del danaro. La condotta loro
attribuita rientrava quindi nel legittimo esercizio del diritto di difesa.
I ricorsi si debbono ritenere fondati. Ed invero, il possesso di una somma notevole di
danaro costituiva indubbiamente prova evidente e indiscutibile della partecipazione alla rapina
commessa poco prima; e pertanto la negazione della circostanza equivaleva ad una sostanziale
protesta di innocenza e costituiva esercizio del diritto di difesa, anche astraendo da qualsiasi
considerazione circa la sua pur evidente inattendibilità. E’ vero, d’altronde, che l’esercizio del
diritto di difesa non scrimina l’incolpazione calunniosa di altre persone; ma ciò non significa che la
contestazione di circostanze attestate in atti di polizia giudiziaria equivalga automaticamente ad
un’accusa di falsità in atto pubblico ed altrettanto automaticamente comporti la responsabilità del
suo autore per il reato di calunnia. Questa Corte (Sez. VI, 14..1995 n.5789) ha già affermato che
non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che, in sede di interrogatorio, qualifichi
implicitamente falso un atto di polizia giudiziaria per contestare la veridicità di circostanze di fatto
aventi valenza indiziante a suo carico, sempre che le sue dichiarazioni costituiscano mezzo
necessario di confutazione dell’imputazione ponendosi in rapporto funzionale con l’accusa nei suoi
confronti. Si è affermato parimenti (ibidem, 8.2.2001 n.131118) che è scriminata dall’esercizio del
diritto di difesa la condotta calunniosa dell’imputato quando questi rivolge ai suoi accusatori rilievi
non determinati e circostanziati e comunque non esorbitanti dall’economia processuale, vale a dire
strettamente correlati all’esigenza di difendersi dall’imputazione. Ciò posto, la genericità assoluta
della contestazione della veridicità del verbale, non accompagnata da allegazioni meglio
determinate atte a rafforzare l’ipotesi della falsità dei verbali solo implcitamente prospettata
attraverso la negazione del possesso del danaro, non consente di ritenere che la condotta incriminata
esorbiti dall’esercizio del diritto di difesa, così come affermato nella sentenza impugnata.
Ne deriva senz’altro la non punibilità dei ricorrenti. Per quanto attiene invero alla posizione
di Grasso Luigi, la cui partecipazione alla rapina non era in questione, la sua condotta avrebbe

Ricorrono di persona Grasso Luigi e Grasso Ignazio Giuseppe, con mezzi di impugnazione
distinti ma sostanzialmente identici nel contenuto, avverso sentenza della Corte d’Appello di
Caltanissetta in data 8.3.2011, che aveva confermato la loro condanna per il reato di cui all’art. 368
c.p. Come risulta dalla sentenza, il 13 gennaio 2006 gli imputati erano stati tratti in arresto, insieme
con tale Cammarata Emanuele, come sospetti autori di una rapina commessa presso una agenzia
bancaria della zona. Secondo la prima segnalazione, i rapinatori si erano allontanati a bordo di una
autovettura Fiat “Punto” di colore blu, della quale era stato rilevato il numero di targa. Gli operanti
riuscirono ad avvistare e ad intercettare l’autovettura, sulla quale viaggiavano i due Grasso e il
Cammarata. Ognuno di essi venne trovato in possesso di oltre duemila euro in banconote di diverso
taglio, il cui importo complessivo corrispondeva al provento della rapina; e tutti e tre vennero tratti
in arresto. In sede di interrogatorio di garanzia Grasso Ignazio Giuseppe si protestò estraneo alla
rapina e negò il possesso del danaro. Le sue dichiarazioni trovarono avallo in quelle di Grasso
Luigi. Secondo i giudici di merito, con tali dichiarazioni gli attuali ricorrenti avevano
implicitamente incolpato gli operanti, autori della relazione di servizio che attestava il rinvenimento
del danaro in tasca a Grasso Ignazio Giuseppe e del verbale di sequestro della somma, di falsità
ideologica in atto pubblico; né poteva essere fondatamente invocato l’esercizio del diritto di difesa,
in cui non rientra la falsa incolpazione di persone che si sanno innocenti.

potuto in astratto essere apprezzata sotto il profilo dell’art. 378 c.p.; ma è pacifico che non risponde
di favoreggiamento il concorrente nel reato presupposto che scagioni il correo; e in ogni caso
opererebbe la scriminante di cui all’art. 384 c.1 c.p., trattandosi di condotta posta in essere per
procurare l’impunità ad un prossimo congiunto.
p. q. m.
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Così deciso in Roma, all’udienza dell’Il dicembre 2012

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