Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1762 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1762 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGANO SANTINO FORTUNATO N. IL 23/04/1936
avverso l’ordinanza n. 76/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 09/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
eég.
lette/oeMite le conclusioni del PG Dott. I v

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Uditi dijénsor Avv.;

Data Udienza: 03/12/2013

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 9 giugno 2012 la Corte di Appello di Reggio
Calabria rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da
Pagano Santino Fortunato dal 10.05.2005 al 21.10.2005, nell’ambito del
procedimento relativo alle imputazioni provvisorie ex artt. 319, 321 cod. pen. (capo
A), 378 cod. pen. (capo G bis), 416 bis cod. pen. (capo I), 648 bis cod. pen. (capo
M), a carico di Siracusano Salvatore, Pagano Santino ed altri, conclusosi con
decreto di archiviazione reso dal G.i.p. presso il Tribunale di Reggio Calabria il

13.02.2010.
Il Collegio evidenziava che dall’ordinanza custodiale risultava che il
richiedente era stato indagato anche per i reati di cui agli artt. 326 cod. pen. (capo
B) e 378 cod. pen. (capo C); e che pure in riferimento a tali reati era stato emesso
il provvedimento restrittivo.
Con specifico riferimento alla posizione di Pagano Santino, la Corte
territoriale richiamava l’esito delle operazioni di intercettazione, indicative dei
rapporti economici intercorrenti tra Pagano e Siracusano. Il Collegio osservava che
il Tribunale del Riesame, con ordinanza in data 14.10.2005, giudicando in sede di
rinvio a seguito di pronuncia caducatoria della Suprema Corte, aveva escluso la
sussistenza della gravità indiziaria per il reato associativo; e che il medesimo
Tribunale aveva ritenuto non più attuali le esigenze cautelari per le residue ipotesi
oggetto della contestazione provvisoria ed aveva disposto l’annullamento
dell’ordinanza custodiale genetica, nei confronti di Pagano e Siracusano.
La Corte di Appello rilevava che il Tribunale del Riesame con il
provvedimento del 14.10.2005 aveva escluso la sussistenza ab origine del grave
quadro indiziario a carico del richiedente, con riferimento ai reati di cui ai capi I) ed
M). Considerava, di converso, che con riguardo ai reati di cui ai capi A) e C), il
medesimo Tribunale aveva confermato la sussistenza di un quadro indiziario
connotato da gravità. Ciò posto, il Collegio evidenziava che in riferimento ai predetti
reati non si era proceduto, perché estinti per prescrizione; e rilevava che detta
evenienza risultava ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria
ha proposto ricorso per cassazione Pagano Santino Fortunato, a mezzo del
difensore.
Con il primo motivo la parte denuncia violazione di legge e vizio
motivazionale osservando che la Corte di Appello ha rigettato la richiesta di
riparazione a causa della intervenuta prescrizione di alcune ipotesi di reato ascritte
al ricorrente.
L’esponente osserva che la Corte di Appello ha pure fatto riferimento
all’ordinanza resa dal Tribunale del riesame in data 26.05.2005, provvedimento
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annullato dalla Suprema Corte, con sentenza del 24.08.2005. Rileva, inoltre, che la
stessa Corte territoriale, in ordine alla intervenuta prescrizione dei reati di cui ai
capi A), B) e C), sviluppa argomentazioni meramente deduttive. E considera che,
nella richiesta di archiviazione, non si fa riferimento alla intervenuta prescrizione dei
reati, con riguardo alla posizione di Pagano.
Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che il giudice della riparazione ha
rigettato l’istanza di indennizzo richiamando le argomentazioni utilizzate dal giudice

per le quali il comportamento dell’esponente avrebbe avuto incidenza causale
rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale.
L’esponente richiama quindi le censure che aveva dedotto avverso l’originario
provvedimento del Tribunale del riesame e rileva che la Corte di Appello ha finito
per utilizzare gli stessi elementi evocati dal G.i.p. nell’ordinanza custodiale.
Con ulteriore motivo la parte deduce la violazione di legge osservando che
la detenzione patita da Pagano è superiore al termine di fase pari a mesi tre,
relativo al reato di cui al capo C) – per il quale è stata ritenuta sussistente la
condizione ostativa – previsto dall’art. 303, comma 1, lett. a), n. 1, cod. proc. pen.
Ed assume che in riferimento al reato di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen. di cui al
capo A), dopo le censure espresse dalla Corte regolatrice nella citata sentenza di
annullamento del 24.08.2005, non si rinvengono argomentazioni di segno opposto.
3.

Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte annulli l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame.
4.

L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per il

Ministero dell’Economia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero
respinto.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
5.1 II primo motivo non ha pregio.
Non sfugge che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in materia
di riparazione per l’ingiusta detenzione, il diritto all’indennizzo può essere
riconosciuto, ai sensi dell’art. 314 comma primo, cod. proc. pen., anche in ipotesi di
archiviazione per impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio, secondo la
previsione dell’art. 125 disp. att. cod. proc. pen. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4492
del 12/01/2006, dep. 03/02/2006, Rv. 233408).
Deve, peraltro, evidenziarsi che la Corte regolatrice ha chiarito che in
materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, se il provvedimento restrittivo della
libertà è fondato su più contestazioni, il proscioglimento per prescrizione anche da
una sola di queste, sempreché autonomamente idonea a legittimare la
compressione della libertà, impedisce il sorgere del diritto all’equo indennizzo (cfr.
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nell’ordinanza custodiale. E rileva che la Corte territoriale non ha illustrato le ragioni

Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27466 del 26/03/2009, dep. 06/07/2009, Rv. 245108).
E, sul punto di interesse, la Suprema Corte ha precisato che risulta ragionevole e
conforme ai canoni costituzionali indicati dalla Corte Costituzionale con la sentenza
n. 219 del 20 giugno 2008 – dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art.
314 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione
cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al
proscioglimento nel merito dalle imputazioni – la soluzione di non “riparare” la
detenzione ricollegabile a reati dichiarati prescritti, dovendosi escludere che, in tal

caso, la detenzione possa essere ritenuta “ingiusta” (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n.
15000 del 19/02/2009, dep. 07/04/2009, Rv. 243210).
5.1.2 Tanto chiarito, deve osservarsi che la Corte di Appello di Reggio
Calabria, richiamando l’ordinanza resa dal Tribunale del Riesame in data
14.10.2005, ha sottolineato che i giudici della cautela avevano escluso la
sussistenza ab origine del grave quadro indiziario a carico del richiedente, con
riferimento ai reati di cui ai capi I) ed M). Ciò posto, occorre sottolineare che la
Corte territoriale ha pure considerato: che, con riguardo, ai reati di cui ai capi A) e
C), il medesimo Tribunale aveva, di converso, confermato la sussistenza di un
quadro indiziario connotato da gravità; e che in riferimento ai predetti reati non si
era proceduto, perché estinti per prescrizione. Sulla scorta di tali rilievi la Corte
distrettuale ha del tutto legittimamente affermato che detta evenienza risultava
ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, in conformità al consolidato indirizzo
interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità.
5.2 A questo punto della trattazione deve evidenziarsi che la Corte di
Appello ha comunque proceduto a verificare se la condotta posta in essere da
Pagano, rispetto ai reati di cui ai capi A) e C), presentasse profili di dolo o colpa
grave ostativi al riconoscimento della riparazione, sviluppando un percorso
argomentativo ulteriore, rispetto a quello discendente dalla sussistenza della causa
estintiva dovuta al maturare del termine di prescrizione, ora richiamato.
Ebbene, il Collegio ha rilevato – in riferimento ai reati di cui ai capi A) e C) che le condotte poste in essere da Pagano, come emergenti dagli atti, risultavano
ostative all’accoglimento dell’istanza. Al riguardo, il Collegio ha richiamato il
contenuto della intercettazione telefonica, ove Siracusano, colloquiando con
Lombardo, il quale si rammaricava per il veto frapposto dal Ministro alla sua nomina
a Dirigente Superiore, osservava che “Santino” si era “battuto come un leone”. Ed
ha rilevato che l’interessamento di Pagano Santino, in favore del Lombardo, aveva
consentito al richiedente ed al socio Siracusano di ottenere indebite informazioni su
questioni di comune interesse per le comuni attività imprenditoriali.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte territoriale ha ritenuto che le condotte
poste in essere da Pagano, in relazione ai reati di corruzione e favoreggiamento di
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cui ai capi A) e C) della rubrica, fossero state idonee ad ingenerare la seria
apparenza della loro configurabilità come illeciti penali, tanto da costituire il
presupposto per l’intervento della autorità giudiziaria e l’adozione della misura
custodiale, con un diretto ed immediato rapporto di causa ed effetto.
Si tratta di un apprezzamento conforme al consolidato insegnamento
espresso dalla Corte regolatrice, in base al quale, in tema di riparazione per
l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia

modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. Il giudice della
riparazione, cioè, deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi,
esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della
libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter
logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di
merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il
presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n.
34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263). E’ poi appena il caso di
rilevare, conclusivamente sul punto, che la Corte di Appello ha pure chiarito che
l’intervenuto riconoscimento dell’equo indennizzo in favore dei coindagati Savoca e
Giostra non risultava utile a fini difensivi, atteso che a costoro non erano stati
altrimenti contestati i reati di cui ai capi A) e C) dell’imputazione provvisoria, reati
rispetto ai quali Pagano aveva posto in essere le condotte ritenute ostative alla
riparazione.
6. L’ulteriore motivo di ricorso dedotto dall’esponente è del pari destituito di
fondamento.
Come sopra si è evidenziato, la Corte di Appello ha espressamente rilevato
che la misura cautelare nei confronti di Pagano trovava causa anche in riferimento
al reato di cui al capo A), come in concreto contestato, per il quale il Tribunale del
Riesame, nell’ordinanza del 14.10.2005 aveva apprezzato la sussistenza della
gravità indiziaria. La tesi sostenuta dal ricorrente, volta a ritenere che la cautela
sofferta da Pagano fosse riconducibile unicamente all’ipotesi di reato di cui al capo
C), risulta perciò destituita di ogni fondamento. Deve quindi conclusivamente
osservarsi che, con riguardo ai titoli di reato posti a giustificazione del
provvedimento custodiale, il periodo di cautela sofferto da Pagano, pari a mesi
cinque e giorni undici, non risulta superiore al termine di fase della custodia

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dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in

cautelare, che viene in rilievo nel caso di specie, ai sensi dell’art. 303, comma 1,
lett. a), cod. proc. pen.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali. La natura dei temi in esame giustifica l’integrale compensazione
tra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q. M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2013.

Compensa le spese tra le parti.

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