Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17615 del 29/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17615 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

Data Udienza: 29/11/2012

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MARRA ANGELO N. IL 19/10/1944
avverso la sentenza n. 2138/2005 CORTE APPELLO di BARI, del
30/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/11/2012 la relazione fatta dal
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Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C un, co trt
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv.,/
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RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 30.6.2011 la Corte d’appello di Bari confermava la sentenza del
12.7.2005 con la quale Marra Angelo era stato condannato, con il riconoscimento delle
attenuanti generiche, al minimo della pena dal Tribunale di Foggia, sezione distaccata di
Manfredonia, per il delitto di porto abusivo di un fucile da caccia calibro 12, reato commesso
1’11.9.1996.
La Corte d’appello riteneva inammissibile la memoria in data 30.6.2011 presentata dal

Alla stregua delle prove raccolte, riteneva che l’imputato, insieme all’amico Pantaleo Enzo,
fosse stato sorpreso intento ad esercitare l’attività venatoria, utilizzando il suo fucile
nonostante fosse scaduto il porto d’armi. Quindi riteneva integrato il reato contestato ed
irrilevante e infondato l’assunto difensivo, secondo il quale l’imputato voleva solo mostrare al
Pantaleo il buon funzionamento dell’arma.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cessazione il difensore, chiedendone
l’annullamento per i seguenti motivi.
– 1) Nullità della sentenza per omessa valutazione della memoria depositata ex art. 121 c.p.p.,
nella quale la difesa si era limitata ad esplicare i motivi di assoluzione già prospettati nell’atto
di appello.
– 2) La Corte d’appello non aveva considerato che, secondo le risultanze, il fucile era stato
sempre portato dal Pantaleo e che non costituisce reato l’affidamento dell’arma, sotto il
controllo della persona autorizzata al porto, a persona capace e maggiorenne.
-3) In assenza della prova che l’arma fosse stata portata dall’imputato fuori dalla propria
abitazione, essendoci invece la prova che era stata affidata e portata dal Pantaleo, l’imputato
doveva essere assolto quanto meno ai sensi dell’art. 530/2 c.p.p..
– 4) Mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 5 legge 895/1967, sebbene non
richiesta con i motivi d’appello, in quanto la stessa poteva essere riconosciuta anche d’ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Con i motivi di ricorso sono state dedotte questioni manifestamente infondate ovvero questioni
di fatto che non possono essere prese in considerazione in sede di legittimità.
La Corte d’appello ha ritenuto che, in base alle prove raccolte, l’imputato fosse stato sorpreso
intento ad esercitare la caccia insieme al suo amico Pantaleo Enzo.
Il ricorrente sostiene una tesi diversa, ma non ha indicato né vizi logico giuridici della
motivazione della sentenza impugnata né travisamenti delle prove su un elemento
determinante.
I giudici di merito, come risulta dalla motivazione della sentenza, hanno preso in
considerazione la tesi sostenuta dalla difesa dell’imputato. Non hanno considerato i motivi

1

difensore nominato dall’imputato nelle parti in cui venivano proposti motivi nuovi.

nuovi contenuti nella memoria presentata in udienza, poiché i motivi nuovi possono essere
presentati, per il disposto dell’art. 585/4 c.p.p., fino a quindici giorni prima dell’udienza.
Per quanto riguarda, infine, il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 5 legge
895/1967, è inammissibile il motivo di ricorso proposto avverso il mancato esercizio del potere
del giudice d’appello di applicare anche d’ufficio una o più circostanze attenuanti, a norma
dell’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., quando il riconoscimento delle predette
circostanze non abbia formato oggetto di una specifica richiesta (V. Sez. 6 sentenza n. 6880

Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella
proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento
della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa
Corte.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma in data 29 novembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Presidente

del 27.1.2010, Rv. 246139).

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