Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1761 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1761 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FRANZO’ ALFREDO N. IL 30/06/1968
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 85/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
22/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lette/seetite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 03/12/2013

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 22 settembre 2011 la Corte di Appello di Catania
rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da Franzò
Alfredo dal 17.03.2004 al 5.03.2007, nell’ambito del procedimento definito con
sentenza assolutoria della Corte di Assise di Siracusa resa in data 8.01.2008
(divenuta irrevocabile il 15.10.2008), nei confronti del prevenuto, per non aver
commesso il fatto.

cautelare carceraria in relazione ai delitti di cui agli artt. 416 bis, 110 e 629 cod.
pen.; e considerava che la richiesta di riparazione non poteva essere accolta,
avendo il Franzò concorso, con dolo o colpa grave, a dare causa alla custodia
cautelare subita ed al suo mantenimento. Il Collegio evidenziava che l’imputato era
stato assolto giacché i giudici del merito avevano rilevato la carenza di riscontri
individualizzanti, rispetto alle propalazioni accusatorie rese nei confronti di Franzò,
da alcuni collaboratori di giustizia; e poiché il contenuto delle intercettazioni
ambientali era stato ritenuto insufficiente a fornire univoci elementi di prova a
carico del prevenuto.
2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Catania ha
proposto ricorso per cassazione Alfredo Franzò, a mezzo del difensore, deducendo
la violazione di legge ed il vizio motivazionale.
La parte osserva che la Corte territoriale ha disatteso la richiesta di
riparazione, individuando la colpa grave ostativa all’equo indennizzo, nella
circostanza che Franzò intratteneva contatti con Piccione Rosario ed altri soggetti di
dubbia moralità, nel periodo antecedente l’emissione del provvedimento cautelare.
L’esponente osserva di avere intrattenuto un rapporto di amicizia con
Piccione e rileva che i contatti avuti con quest’ultimo non avevano nulla a che
spartire con la commissione di reati. E rileva che la frequentazione con alcuni
esponenti del clan è successiva alla adozione del provvedimento restrittivo,
trattandosi di soggetti che Franzò conobbe nel corso della detenzione.
Il ricorrente sottolinea che neppure il contenuto delle intercettazioni
telefoniche ed ambientali, posto inizialmente a base del quadro indiziario, è stato
ritenuto sufficiente per fondare l’affermazione di responsabilità penale del Franzò.
Ritiene che i predetti elementi di fatto non avrebbero dovuto essere posti a
fondamento della misura cautelare; e rileva che Franzò non pose in essere alcuna
condotta colposa, ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo.
3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta ha chiesto che la Suprema
Corte annulli l’ordinanza impugnata. La parte ha rilevato che nella fattispecie non
emergono elementi che si prestano ad essere interpretati come espressione della

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La Corte territoriale rilevava che Franzò era stato sottoposto alla misura

condivisione del programma criminoso da parte del Franzò, al di là di generiche
conoscenze con taluni appartenenti al clan.
4. L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per il
Ministero dell’Economia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero
respinto.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è destituito di fondamento, per le ragioni di seguito esposte.

di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti
gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione
di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,
se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).
Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale
(grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del
provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della
cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si
sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel
porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella
criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.
242760).
6.

L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente

nell’alveo del suddetto quadro interpretativo.
6.1 La Corte di Appello di Catania ha evidenziato che Franzò, nel periodo
precedente alla emissione della ordinanza custodiale, aveva frequentato diversi
soggetti coinvolti nelle attività estorsive perpetrate in danno di imprenditori.
Segnatamente, il Collegio ha considerato: che Franzò, in sede di interrogatorio di
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5.1 Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice

garanzia, aveva ammesso di avere intrattenuto rapporti commerciali e personali
con tale Piccione, del quale era pure stato testimone di nozze; e che la
frequentazione con altri esponenti del clan di malavitosi si evinceva anche dalla
intercettazione ambientale del 21.10.2002, nel corso della quale i colloquianti
indicavano tale “Alfredo”, da individuarsi nell’odierno ricorrente, come persona ben
conosciuta.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha ritenuto che Franzò, avendo

dalla autorità giudiziaria come contigua rispetto a quella criminale realizzata dagli
altri affiliati al clan, aveva colposamente concorso a dare causa ai gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
6.2 Orbene, il richiamato percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di
Appello, in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento
dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita, è immune da censure rilevabili in
sede di legittimità. Il giudice della riparazione, infatti, ha chiarito, secondo un
ragionamento logicamente conferente, che il comportamento posto in essere dal
richiedente, secondo una valutazione “ex ante”, cioè a dire in riferimento agli
elementi conosciuti dall’autorità giudiziaria procedente al momento di adozione
della misura cautelare, era risultato in concreto determinante rispetto alla adozione
della misura restrittiva. E la Corte territoriale ha espressamente considerato che
alla parte risultava rimproverabile il predetto comportamento, atteso che Franzò era
ben consapevole della attività criminale che veniva realizzata dai soggetti con i
quali intratteneva i riferiti rapporti commerciali e personali. E’ poi appena il caso di
ribadire che la giurisprudenza di legittimità risulta consolidata, come sopra si è
evidenziato, nel rilevare che, nei reati contestati in concorso, assume rilievo quale
fattore ostativo al riconoscimento dell’equo indennizzo, proprio la condotta di colui
che, consapevole dell’attività criminale altrui, abbia posto in essere una attività che
si presti, sul piano logico, ad essere apprezzata come contigua, rispetto a quella
criminale.
7. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore del Ministero
dell’Economia e delle Finanze delle spese di questo giudizio, liquidate come da
dispositivo.

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posto in essere una attività che si prestava sul piano logico ad essere percepita

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla rifusione delle spese in favore del Ministero ricorrente che liquida in complessivi
euro 750,00.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2013.

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