Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 176 del 05/07/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 176 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) ZORZI ANDREA N. IL 03/04/1968
avverso la sentenza n. 829/2009 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
07/07/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/07/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Ge erale in persona del Dott. 1
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che ha concluso per

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U . o, per la parte civile, l’Avv

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Udit

i difensor Avv.

Data Udienza: 05/07/2012

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 luglio 2011, la Corte di Appello di Trieste ha confermato la
sentenza del GUP presso il Tribunale di Udine, che ha condannato Zorzi Andrea
alla pena di mesi quattro di reclusione, dichiarandolo colpevole del delitto di cui
all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, nella qualità di legale
rappresentante della società “New Works S.r.l. Unipersonàle”, al fine di evadere
le imposte sui redditi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti, indicato nella dichiarazione relativa ai fini delle imposte dirette

nr.11, emessa dalla ditta “Venturini Mauro” in data 28 febbraio 2005, per un
importo complessivo di euro 4.400 (imponibile euro 3.370 e I.V.A. 20% euro
740), importo imponibile, contabilmente imputato all’esercizio 2004, in quanto
riferito a lavorazioni eseguite in tale annualità ma fatturate nel 2005 (conto:
“fatture da ricevere”); accertati in Udine, il 31 ottobre 2005.
2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore,
ricorso per cessazione per i seguenti motivi:
1) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art.
2 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il ricorrente ha sostenuto che difetterebbe il dolo
della fattispecie contestata, non avendo egli agito al fine di evadere l’imposta sui
redditi. Il ragionamento giuridico seguito dal giudice di merito si fonderebbe,
infatti, su un travisamento pacifico della sequenza dei fatti, poiché, come
evidenziato nella deposizione resa dal teste Rampino, nella dichiarazione dei
redditi 2005 relativa al periodo di imposta 2004, l’imputato si sarebbe avvalso
solo della la fattura n. 11, mentre se effettivamente avesse perseguito fine
illecito, avrebbe indicato nella stessa dichiarazione gli elementi passivi fittizi
riconducibili a tutte le altre fatture.
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in particolare, art. 13
del d.lgs. n. 74 del 2000, ed art. 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. Mancanza e
contraddittorietà della motivazione. La sentenza impugnata non avrebbe
motivato con riferimento al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 13
del d.lgs. n. 74 del 2000. Non sarebbe stata presa in considerazione la
testimonianza Rampino, il quale aveva riferito che la società dell’imputato
avrebbe fatto ricorso allo strumento giuridico di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 322
del 1998, istituto che consente di correggere gli errori derivanti dalla
dichiarazione presentata in precedenza nei termini di cui all’art. 43 del D.P.R. n.
600 del 1973 e ciò avrebbe consentito di ritenere sussistenti i presupposti per
l’applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000.
3. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per violazione
dell’art. 133 c.p. e art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, poiché la
determinazione del trattamento sanzionatorio risulterebbe illogica. Infatti, un

2

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presentata per l’annualità 2004, elementi passivi fittizi riconducibili alla fattura

fatto oggettivamente modesto, privo di conseguenze economicamente
significative per l’Erario, è stato punito duramente nonostante il contribuente
avesse tenuto un comportamento penalmente irrilevante quale l’annotazione in
contabilità, adoperandosi poi per non delinquere. Infine, difetterebbe la
motivazione quanto al diniego dell’invocata conversione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
al giudizio dì legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e
all’apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi
all’esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una
versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento
impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 22256 del
26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità – in sede di controllo
sulla motivazione – non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto,
posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili.
2. Alla luce dei princìpi sopra richiamati, questa Corte ritiene, che il primo motivo
di ricorso sia infondato. I giudici di merito hanno correttamente illustrato le
ragioni poste a base della declaratoria di responsabilità dell’imputato, avendo
evidenziato come quest’ultimo, nella sua qualità di legale rappresentante della
società “New Works S.r.l. Unipersonale”, aveva intrattenuto rapporti illeciti con il
Venturini ed il fatto che lo stesso fosse al corrente della falsità della fattura
oggetto di contestazione, come confermato dalle dichiarazioni rese dalla madre
dell’imputato alla Guardia di Finanza, e soprattutto alla luce del verbale di
acquisizione di documentazione redatto dalla Guardia di Finanza, in cui il
Rampino aveva dichiarato di aver contabilizzato la fattura in questione quale
costo di competenza del 2004 su precisa indicazione della società stessa. Sotto il
profilo soggettivo, la sentenza impugnata ha evidenziato come l’imputato avesse
utilizzato solo quella fattura, in quanto l’operazione fittizia ivi indicata, e solo
quella, poteva essere riferita al periodo di imposta 2004, mentre per tutte le
altre fatture il relativo importo avrebbe potuto essere utilizzato solo con la
dichiarazione relativa all’anno di imposta 2005.
3. Del pari risulta infondato il secondo motivo di ricorso atteso che, in tema di
reati finanziari, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 30580
del 13/05/2004, Pisciotta, Rv. 229355), l’attenuante prevista dall’art. 13 del

Giova premettere che le censure prospettate dal ricorrente tendono a sottoporre

D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, non è applicabile in caso di adesione
all’accertamento, atteso che la stessa è subordinata all’integrale estinzione del
debito tributario mediante il pagamento, anche nel caso in cui il contribuente
abbia espletato le speciali procedure conciliative previste dalle norme tributarie.
Di conseguenza, i giudici merito correttamente hanno escluso l’applicazione
dell’attenuante in parola, avendo dato conto del fatto che non l’imputato non ha
estinto integralmente il debito tributario.
4. Privo di fondamento è anche l’ultimo motivo di ricorso. La gradazione della

della pena detentiva (art. 53 e segg. legge 24 novembre 1981, n. 689) è
anch’essa rimessa al potere discrezionale del giudice del merito, il quale deve
valutare i presupposti legittimanti quali la idoneità della sostituzione al fine del
reinserimento sociale del condannato e della prognosi positiva circa
l’adempimento delle prescrizioni applicabili (Sez. 5, Sentenza n. 528 del
23/11/2006, Ferrar-o, Rv. 235695). Orbene, nel caso di specie, la Corte
territoriale ha evidenziato, con motivazione congrua, come l’imputato, pur
indicando una sola fattura nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, con
l’annotazione in contabilità di altre fatture false ha manifestato un’ampia
disponibilità ad avvalersi di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le
imposte e di conseguenza ha ritenuto che la sanzione inflitta fosse adeguata,
mentre la sola sanzione pecuniaria non avrebbe esplicato alcuna efficacia
deterrente.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato,
ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2012

liere estensore

Il Presidente

pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, come pure la conversione

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