Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17576 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17576 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRANCATO FILIPPO N. IL 07/10/1967
CANNIZZARO ROCCO N. IL 10/09/1981
GAMBERA SEBASTIANA N. IL 31/07/1964
avverso la sentenza n. 2827/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/02/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. è: – ià,419alfi
che ha concluso per i •e
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 10/04/2013

Con sentenza del 16 febbraio 2011, la Corte di appello di Catania, in riforma
della sentenza emessa il 18 marzo 2008 dal Tribunale di Caltagirone, ha ridotto la
pena inflitta a CANNIZZARO Rocco ed a GAMBERA Sebastiana ad anni sette di
reclusone ciascuno e nei confronti di BRANCATO Filippo ad anni sei di reclusione
ed euro 30.000 di multa.
Propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati anzidetti. Nel ricorso
proposto nell’interesse del CANNIZZARO e della GAMBERA si lamenta, nel primo
motivo, la mancata acquisizione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni acquisiti
soltanto in visione dalla Corte e poi restituiti al’ufficio del pubblico ministero. Si
rinnova poi la eccezione relativa alla inutilizzabilità delle intercettazioni per
mancanza di motivazione, nei decreti autorizzativi, di quanto prescritto dall’art. 268,
comma 3, cod. proc. pen. e si prospetta parimenti vizio di motivazione della sentenza
impugnata in ordine alle ragioni della reiezione della identica eccezione formulata in
appello. Viene allegata, poi, violazione di legge in ordine alla fattispecie associativa
per mancanza dei relativi presupposti, avuto riguardo agli esiti delle intercettazioni e
tenuto conto delle dichiarazioni dei collaboratori; sussisterebbe anche vizio di
motivazione sul punto, posto che, a fronte delle diverse censure proposte in sede di
appello a proposito della inesistenza di un fondo cassa e della mancanza di uno
specifico luogo di custodia dello stupefacente, i giudici del gravame si sarebbero
limitati a riprodurre le medesime argomentazioni già svolte nella pronuncia di primo
grado. Sarebbero inoltre carenti le argomentazioni svolte a proposito della
partecipazione al sodalizio del CANNIZZARO e dell’episodio specifico al medesimo
ascritto; al tempo stesso non sussisterebbe prova alcuna in ordine alla intraneità della
GAMBERA alla associazione, essendo i giudici a quibus incorsi in un travisamento
delle prove: vengono a tal proposito rievocate le dichiarazioni rese dal Vitale e le
poche intercettazioni che hanno riguardato l’imputata. Non sussisterebbe, infine,
neppure prova della partecipazione della imputata stessa all’episodio specifico che le
è stato contestato.
Nel ricorso proposto nell’interesse del BRANCATO si lamenta l’impiego da
parte dei giudici dell’appello della motivazione per relationem al di fuori dei
presupposti di legge. Si deduce, in particolare, che le intercettazioni sarebbero del
tutto parziali e non consentirebbero di individuare l’imputato con certezza: le
considerazioni svolte al riguardo nella sentenza impugnata sarebbero ribaltabili e
fondate su una interpretazione travisante del contento delle conversazioni. Vengono
al riguardo partitamente esaminate le varie acquisizioni probatorie concernenti la
identificazione dell’imputato per il Fulì o Fili di cui alle conversazioni intercettate,
per evidenziarne la relativa inconferenza. Si rivelava, dunque, essenziale una perizia
fonico comparativa, che, invece, non è stata disposta. Violazione del diritto di difesa
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OSSERVA

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viene lamentato anche in relazione alla mancata acquisizione dei decreti di
intercettazione, essendo risultato in tal modo precluso alla difesa il relativo esame.
Sussisterebbe, infine, vizio di motivazione anche in ordine alla mancata applicazione
della attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
In prossimità della udienza è stata depositata una memoria nell’interesse della
GAMBE«A nella quale si ribadisce il travisamento delle dichiarazioni dei
collaboratori e Mla assenza di elementi dai quali dedurre, alla stregua delle
intercettazioni, la prova della partecipazione alla associazione da parte della imputata.
I ricorsi sono tutti palesemente destituiti di fondamento giuridico. A proposito
delle eccezioni in rito va infatti subito osservato come sia inammissibile il motivo
relativo alla mancata acquisizione “definitiva” dei provvedimenti di autorizzazione
delle intercettazioni ambientali, considerato che la acquisizione “in visione”, peraltro
sollecitata soltanto nel giudizio di appello, rappresentava idoneo presupposto per
l’accertamento della relativa ritualità, non trattandosi di atti inseriti ah origine nel
fascicolo per il dibattimento; d’altra parte, è del tutto pacifico che tale forma di
acquisizione in alcun modo potesse in sé vulnerare i diritti difensivi, sia perché
l’esame degli atti non era affatto precluso alla difesa, sia perché la stessa difesa ne
avrebbe comunque potuto estrarre copia. Quanto al preteso vizio di motivazione in
ordine alle intercettazioni extra moenia, la eccezione è inammissibile per totale
genericità, in quanto i provvedimenti di cui si assume la invalidità non sono stati
allegati né espressamente indicati in ricorso — privo, dunque, del necessario requisito
della autosufficienza né si è addotto alcunché per suffragare il preteso vizio, a
fronte della motivazione esibita, sul punto, dai giudici a quibus. In tema di
utilizzazione di impianti esterni, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha in varie
occasioni avuto modo di puntualizzare che, in ordine al profilo relativo alla
insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la procura della Repubblica,
le eccezionali ragioni di urgenza, che autorizzano il pubblico ministero a disporre il
compimento delle operazioni mediante impianti esterni, si riferiscono alla ipotesi in
cui gli impianti esistenti presso la procura siano insufficienti, potendosi ritenere che,
trascorso un ragionevole periodo di tempo, l’intercettazione autorizzata possa essere
eseguita: il presupposto della urgenza risulterebbe invece incoerente nella ipotesi di
impianti inidonei, dal momento che il ricorso ad uno strumento di ricerca della prova
non può essere condizionato dal tempo necessario all’ufficio giudiziario per dotarsi di
attrezzature più moderne ed efficaci (Sez. V, n. 43464 del 9/5/2002, dep. 20/12/2002,
Pinto, rv. 223547). D’altra parte, si è pure puntualizzato, l’utilizzazione di impianti
esterni, tenuto conto della lettera e dello spirito della norma, è legittima tanto in caso
di insufficienza dell’impianto che in quello di una sua inidoneità tecnica,
intendendosi per impianto inidoneo, sia quello che risulti materialmente non
operativo, sia l’impianto che risulti “funzionalmente” inidoneo, in quanto non adatto
al raggiungimento degli scopi che la intercettazione mira a perseguire, in relazione al
reato per cui si procede ed alla tipologia della indagine necessaria per il suo
accertamento (fra le tante, cfr. Sez. I n. 27307 del 24/6/2003, dep. 24/6/2003, Di
Matteo, rv 225260; Sez. IV, n. 38018 del 19/10/2006, dep. 20/11/2006, De Carolis,

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rv. 235043; Sez. VI, n. 47335 del 24/11/2009, dep. 12/12/2009, Bianco, rv. 245489;
Sez. VI, n. 17231 del 14/4/2010, dep. 6/5/2010, Hosa, rv. 247010).
Da ciò, gli inevitabili riflessi che ne scaturiscono sul versante della
motivazione del provvedimento del pubblico ministero. Va infatti ribadito, in linea
generale, che l’obbligo di motivazione circa l’impiego di impianti extra moenia non
può dirsi assolto col semplice riferimento alla “insufficienza o inidoneità” degli
impianti stessi, trattandosi di enunciato che si limita a ripetere il conclusivo giudizio
racchiuso nella formula di legge, ma richiede la specificazione delle ragioni di tale
carenza che in concreto depongono per la ritenuta “insufficienza o inidoneità.”
L’adempimento dell’obbligo di motivazione implica dunque, per il caso, peraltro, di
inidoneità cosiddetta funzionale degli impianti della procura, che sia data contezza,
seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono
concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al ihto per cui
si procede ed al tipo di indagini necessarie (Sez. U., n. 30347 del 12/7/2007, dep.
26/7/2007, Aguneche; Sez. U., n. 919 del 26/11/2003, dep. 19/1/204, Gatto, ove si è
ritenuto correttamente motivato — proprio come nella presente vicenda – il decreto del
pubblico ministero con l’espressione “attesa l’indisponibilità di linee presso la
procura”, che, non ripetendo la formula legislativa, consentiva di identificare il fatto
che aveva determinato la insufficienza degli impianti, offrendo così al giudice e alle
parti uno strumento di controllo della correttezza dell’operato del pubblico
ministero).
A proposito, poi, delle eccezionali ragioni di urgenza richieste per l’esecuzione
delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate
presso gli uffici della procura, si è più volte affermato che la sussistenza di tale
requisito può essere anche implicita, quando si faccia riferimento ad una attività
criminosa in corso, quale quella relativa a reati di criminalità organizzata, per loro
natura permanenti (Sez. II, n. 5103 del 17/12/2009, dep. 9/2/2010, Cannizzaro, rv.
246453; Sez. VI, n. 15396 dell’11/12/2007, dep. 11/4/2008, Sitzia rv. 239633; Sez. I,
n. 11525 del 3/2/2005, dep. 22/3/2005, Gallace, rv. 232262). Per altro verso, pur
apparendo i requisiti di urgenza di cui all’art. 267, comma 2,cod. proc. pen. non
coincidenti con quelli della assoluta urgenza di cui all’art. 268, comma 3, dello stesso
codice, trattandosi di presupposti eterogenei, strutturalmente e funzionalmente
diversificati — l’uno correlato al potere interinale del pubblico ministero di
autorizzazione della intercettazione; l’altro connesso alla esecuzione delle
intercettazioni con impianti esterni alla procura – è ben possibile che la motivazione
dell’un profilo assorba quella dell’altro, ove le ragioni addotte ai fini dell’esigenza di
attivare immediatamente le operazioni di intercettazione appaiano incompatibili sia
con la normale procedura di richiesta di autorizzazione al giudice, stabilita in via
ordinaria dall’art. 267, comma 1, cod. proc. pen., sia con l’attesa del realizzarsi di una
condizione di sufficienza o idoneità degli impianti installati presso la procura della
Repubblica (ex plurimis, Sez. V, n. 16285 del 16/3/2010, dep. 2/4/2010, Baldisin, rv.
247268; Sez, VI, n. 35930 del 16/7/2009, dep. 16/9/2009, Iaria, rv. 244872; Sez. VI,
n. 32469 del 19/5/2005, dep. 25/8/2005, Roveto, rv. 232220).

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Principi, quelli test‘ enunci4 -, a fronte dei quali il ricorrente non offre elemento
alcuno per ritenere nella specie violate le garanzie di legge e, dunque, integrato il
vizio, solo labialmente dedotto a fondamento del ricorso.
Parimenti inammissibili si rivelano anche i restanti motivi dedotti dai
ricorrenti, in quanto, per un verso, fortemente orientati verso un inammissibile
riesame del merito, puntualmente scandagliato nel doppio grado, alla luce, anche,
delle deduzioni proposte dalla difesa in sede di gravame; mentre, sotto altro profilo, i
motivi enunciati risultano sterilmente riproduttivi delle medesime censure già dedotte
nei motivi di appello, e qui rinnovate senza un autonomo ed adeguato sviluppo critico
delle motivazioni a tal proposito sviluppate nella sentenza impugnata. La
giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare
che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità
del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre
2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001 Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000,
Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic). Nella specie, i giudici a
quibus hanno infatti puntualmente dedotto i plurimi e convergenti elementi in forza
dei quali hanno ritenuto sussistente il contestato sodalizio e lo specifico ruolo svolto
in seno ad esso dagli imputati, mettendo in luce gli univoci apporti a tal proposito
scaturiti dalle conversazioni intercettate — del tutto eloquenti sul versante della
stabilità e natura del vincolo associativo e degli episodi specifici oggetto di
contestazione — in una con gli apporti dichiarativi resi dai collaboratori. Risultano,
quindi, del tutto aspecifiche le critiche svolte nell’interesse del CANNIZZARO e
della GAMBERA, posto che il relativo e differenziato ruolo ha trovato ampio e
puntuale corredo probatorio analiticamente esaminato dai giudici del gravame, che
hanno motivatamente dissolto i rilievi difensivi — attestati, quanto al primo, sulla
pretesa incongruenza del materiale in punto di sussistenza e stabilità del vincolo
associativo, e, quanto alla seconda, su una presunta posizione di mera connivenza ora sterilmente rinnovati quali motivi di ricorso. Lo stesso discorso vale, ovviamente,
anche per gli addebiti specifici rispettivamente ascritti ai due imputati, avuto riguardo
alle circostanze puntualmente estrapolate dalle conversazioni oggetto di
intercettazione.
Quanto al BRANCATO, va osservato che le doglianze relative al mancato
espletamento di una perizia fonica comparativa allo scopo di verificare la correttezza
della sua identificazione, si rivelano del tutto infondate, considerato che la
giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nell’affermare che, in tema di

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013
Il Considier estensore

Il Presidente

intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone
colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma
utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni degli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati (ex
pplurimis, Cass., Sez. VI, n. 18453 del 28 febbraio 2012, Cataldo; Cass., Sez. VI, n.
17619 dell’8 gennaio 2008, Gionta); dichiarazioni, per di più, nella specie avvalorate
anche da circostanze esterne, desunte dal contesto e dai riferimenti contenuti nei
diversi colloqui, atte a dimostrare ex se la corretta identificazione dell’imputato. Il
suo ruolo di stabile fornitore di stupefacente è stato, quindi, più che esaurientemente
motivato, così come puntuale è la motivazione della sentenza in ordine alle ragioni
per le quali, attesa la dimensione del traffico nonchè la qualità e quantità della
sostanza trattata, i giudici del merito hanno escluso la possibilità di ritenere nella
specie applicabile la sollecitata diminuente della lieve entità del fatto.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

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