Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17576 del 06/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17576 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MUGIONE ANTONIO nato il 26/06/1975 a CARDITO

avverso la sentenza del 12/04/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SGADARI;

Data Udienza: 06/03/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di . NAPOLI, con sentenia in data 12/04/20, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dai TRIBUNALE di NAPOLI, in data 11/02/2015, nei confronti
di MUGIONE ANTONIO in relazione al reato di cui ali’ art. 644 CP.
Propongono ricorso per cassazione l’imputato ed il suo difensore, deducendo i seguenti motivi:
violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità, alla mancata
declaratoria di prescrizione essendo i fatti commessi prima della riforma del 2005, al trattamento
sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile.

cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le
più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente
da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha riconosciuto la
possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali
specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di
cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente indicati,
che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso,
devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente
incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del
provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali
da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di
una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di
merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa
ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
Nel caso in esame, senza confrontarsi adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata
e senza allegare le dichiarazioni testimoniali cui ha fatto riferimento, il ricorrente pretenderebbe
una rivisitazione nel merito della vicenda processuale non effettuabile in questa sede.
Egli trascura il passaggio decisivo della motivazione della sentenza nel quale la Corte di Appello ha
sottolineato che le dichiarazioni della vittima erano state corroborate da riscontri esterni costituiti
dalle dichiarazioni della di lui moglie e del teste Vergara.
Rendendo credibile il racconto anche nella parte in cui aveva differenziato la posizione dell’imputato
da quella di altri creditori e datato il prestito usurario al 2005-2006, dunque dopo la modifica della
pena del reato di usura intervenuta con la legge n. 251 del dicembre del 2005, circostanza che
impedisce di ritenere maturato il termine prescrizionale di 12 anni e sei mesi.
In punto di trattamento sanzionatorio, la Corte ha reputato congrua una pena prossima al minimo
edittale e negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione dei precedenti
penali e della gravità dei fatti.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la

Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di

esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133
cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione -della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o
di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò
che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla
quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è
necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale,
potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
le espressioni del tipo: ‘pena congrua’, ‘pena equa’ o ‘congruo aumento’, come pure il richiamo alla
gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv.
245596).

da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del
24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non
è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del
18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 06/03/2018
Il Consigliere Estensore
GIUSEPPE SGADARI
Il Presidente
ADRIANO IASILLO

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente

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