Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17523 del 13/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17523 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno
nel procedimento contro:
1. Baldi Germano, nato a Cava De Tirreni il 22/12/1956
2. Capuano Rita, nata a Cava De’ Tirreni il 16/07/1970
3. Consalvo Giuseppe, nato a Altavilla Silentina il 02/05/1955

avverso la sentenza del 07/12/2016 del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Salerno

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. Agostino De Caro per Giovanni Baldi e Giuseppe Consalvo,
nonché in sostituzione dell’avv. Giuseppe Buongiorno per Angelo Cermi e
dell’avv. Michele Tedesco per Pietro Giordano, l’avv. Laura Toriello per Rita
Capuano e l’avv. Licia Polizio per Germano Baldi, che hanno concluso chiedendo
il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 13/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno ricorre per
l’annullamento della sentenza, in epigrafe indicata, nella parte in cui ha
dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Germano Baldi, Rita Capuano e
Giuseppe Consalvo per il reato di cui agli artt. 110 e 374 cod. pen. perché il fatto
non sussiste.
Agli imputati era stato contestato di aver il Baldi, quale consulente tecnico

processuali, l’avv. Rita Capuano, affinché la stessa nominasse come consulente
tecnico di parte Giuseppe Consalvo, con il quale poi si accordava in modo che le
due relazioni venissero a coincidere (reato commesso nel luglio 2012).
Secondo il Giudice, la stessa contestazione (confermata dalle risultanze
investigative) prevedeva un mero accordo preliminare intercorso tra le parti, al
quale non erano seguiti il deposito della relazione peritale da parte del Baldi e la
nomina del Consalvo quale consulente tecnico di parte: la condotta pertanto non
poteva configurare né il reato di cui all’art. 374 cod. pen. né quello di cui all’art.

374-bis cod. pen.
In ordine alla fattispecie di frode processuale invero difettava la
“immutazione” richiesta dalla norma penale, mentre per la configurabilità del
secondo reato era pur sempre necessaria la predisposizione di una falsa
relazione destinata ad essere prodotta all’A.G.

2. Nel ricorso si deduce la violazione di legge, con riferimento agli artt. 425,
521 e 522 cod. proc. pen., in ordine alla mancata riqualificazione giudica del
fatto nel reato ex art. 319-ter cod. pen.
Il Giudice dell’udienza preliminare, pur dando per accertato l’accordo
intervenuto tra gli imputati al fine di alterare le risultanze processuali, attraverso
la redazione del Consalvo di una relazione concordata, non avrebbe provveduto
all’esatta qualificazione giuridica del fatto (che è consentita anche nella fase
dell’udienza preliminare), di cui ricorrevano

ictu ocull tutti gli elementi, già

contestati nell’imputazione: la qualifica soggettiva del Baldi, quale consulente
tecnico di ufficio, l’accordo corruttivo, il dolo specifico, la violazione da parte del
Baldi dei doveri di ufficio (nella specie quelli di cui all’art. 193 cod. proc. civ.),
l’utilità che il Baldi avrebbe tratto dall’operazione (essere in credito il Baldi con
l’avvocato per futuri vantaggi o comunque avvantaggiare la parte difesa dalla
Capuano).
Il difensore di Germano Baldi ha fatto pervenire il 5 febbraio 2018 una
memoria difensiva, in cui sostiene da un lato come

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non sia possibile la

d’ufficio, nominato in un processo civile, contattato il difensore di una delle parti

modificazione “a sorpresa” dell’imputazione, alterandone gli elementi strutturali,
ovvero introducendo un quid pluris, il vantaggio tanto in capo al corrotto che al
corruttore, dall’altro l’inesistenza giuridica del reato che si intende configurare,
tenuto conto della mancata redazione dell’elaborato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Va ribadito che lo jus variandi in punto di diritto è potere tipico del giudice
che, in ogni fase e grado del procedimento, ha il potere-dovere di attribuire al
fatto per cui si procede l’esatta qualificazione giuridica, senza che ciò incida
sull’autonomo potere – riservato in via esclusiva al pubblico ministero – di
modificare il fatto contestato e di procedere alla nuova contestazione, quando
esso risulti diverso da come è descritto nell’imputazione.
Anche il giudice dell’udienza preliminare, pur nel silenzio del codice sul
punto, ha il potere di qualificare diversamente il fatto con la conseguenza che il
decreto di rinvio a giudizio adottato non può qualificarsi atto abnorme in
relazione alla diversa qualificazione, la quale costituisce espressione di legittimo
esercizio di un potere riconosciuto dalla legge (Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017,
Tosi, Rv. 270521; Sez. 6, n. 3658 del 16/11/1998, Carlutti, Rv. 212688).
La “riqualificazione giuridica” dello stesso si realizza peraltro attribuendo
l’esatto nomen juris ad un episodio che deve rimanere invariato nei suoi tratti
caratterizzanti.
Lo jus variandi in punto di fatto è infatti potere esclusivo del pubblico
ministero, trattandosi di prerogativa inerente all’esercizio dell’azione penale e nel
corso dell’udienza preliminare si attua con la modifica del fatto contestato,
disciplinata dall’art. 423 cod. proc. pen. – disciplina estesa, dalla stessa legge, al
reato connesso per continuazione o concorso formale ed all’elevazione di una
circostanza aggravante – ovvero con la contestazione del fatto “nuovo”, regolata
dall’art. 423, comma 2, cod. proc. pen. Univoca nella giurisprudenza di
legittimità è definizione di “fatto nuovo”, scandagliata precipuamente con
riguardo alla ipotesi di cui all’art. 518 cod. proc. pen., nozione che sta ad
indicare un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un
episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si
aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum (Sez. 6, n. 6987 del
19/10/2010, dep. 2011, N., Rv. 249461).
Tale definizione, che rimanda al fatto come episodio storico, viene più volte
richiamata in contrapposizione a quella più elastica, di “fatto diverso”. Per fatto

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1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

diverso, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa,
restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali
difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, necessaria una
puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 2, n.
18868 del 10/02/2012, Osmenaj, Rv. 252822). Ciò che rileva, si è precisato, ai
fini della violazione del diritto di difesa in rapporto al principio di correlazione ex
art. 521 cod. proc. pen. (Sez. 6, 21/10/2005 n. 12175, Tarricone, Rv. 231483)
— ma non vi è ragione per non estendere la portata di tale principio anche alla

situazione processuale e non già in astratto, poiché, la modifica del fatto di
rilievo è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in
quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico del
reato, e, per conseguenza di essa, l’azione realizzata risulta completamente
diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese
apprestate dall’imputato per discolparsene. Mentre, non si ha mutamento del
fatto allorché il fatto tipico sia rimasto identico a quello contestato nei suoi
elementi essenziali e sia stato connotato dallo stesso contesto referenziale e
storico ed in un ambito in cui l’imputato ha potuto per intero spendere, senza
alcuna menomazione del suo diritto di difesa, tutti gli interventi utili a sostenere
la propria estraneità ai fatti criminosi stimati nel loro insieme.

3. Alla luce di queste premesse, deve escludersi che, nel caso di specie, la
trasformazione dell’imputazione indicata dal ricorrente resti confinata nella
diversa qualificazione giuridica del fatto contestato.
L’ipotesi corruttiva di cui all’art. 319-ter cod. pen. ha struttura ed elementi
costitutivi radicalmente diversi dai reati di cui agli artt. 374 e 374-bis cod. pen.,
tanto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che tra le suddette fattispecie
non ricorra né un’ipotesi di concorso formale, ne’ tantomeno di concorso
apparente di norme coesistenti, attesa la diversità ontologica e strutturale dei
reati e la diversità del bene giuridico tutelato (Sez. 5, n. 10443 del 26/10/2011,
dep. 2012, Mottola, Rv. 252001).
Va a tal riguardo rammentato che costituisce principio pacifico che anche
l’attività peritale o di consulenza d’ufficio (sia disposta dal giudice civile che dal
pubblico ministero nel processo penale) svolta nell’ambito di un procedimento
giudiziario ove sia resa consapevolmente in senso difforme dalla realtà
costituisce un atto contrario ai doveri d’ufficio commesso dal pubblico ufficiale
(Sez. 6, n. 2675 del 05/12/1995, dep. 1996, Tauzilli, Rv. 204516; Sez. 6, n.
4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli, Rv. 214142; Sez. U, n. 51824 del 25/09/2014,
Guidi, in motivazione, § 3), in quanto concorre funzionalmente all’esercizio della

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fase dell’udienza preliminare – è l’apprezzamento nella concretezza della

funzione giudiziaria (e, se oggetto di un accordo corruttivo, può costituire
condotta del reato di corruzione in atti giudiziari previsto dall’art. 319-ter cod.
pen., cfr. Sez. 6, n. 19803 del 22/01/2009, Noviello, Rv. 244262; Sez. 6, n.
19143 del 29/01/2009, Di Maio, Rv. 243666; cfr. Sez. U, n. 15208 del
25/02/2010, Mins, Rv. 246582).
E’ parimenti principio ampiamente consolidato che il delitto di corruzione in
atti giudiziari si consuma anche con la sola accettazione della promessa di
denaro o di altra utilità da parte del pubblico ufficiale indipendentemente dalla

richiesto al pubblico ufficiale purché lo stesso risulti, comunque, confluente in un
atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un
terzo (tra le tante, Sez. 6, n. 5264 del 26/01/2016, Bindi, Rv. 265842; cfr. Sez.
U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583).
Orbene, venendo al caso in esame, come si evince agevolmente dal capo di
imputazione, nella descrizione della condotta antigiuridica difetta l’elemento
costitutivo del reato di cui all’art. 319-ter cod. pen. della promessa o della
dazione di denaro o di altre utilità, oggetto dell’accordo. Invero, non è stato
contestato agli imputati che l’accordo prevedesse che l’atto di ufficio fosse
oggetto di mercimonio.
Per la medesima ragione non è viepiù neppure configurabile il reato di
intralcio alla giustizia, che presuppone pur sempre l’offerta o la promessa di
denaro o di altra utilità, volta al condizionamento dell’attività del perito.

4. Sulla base delle considerazioni ora espresse, il ricorso va quindi dichiarato
inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso dei Pubblico Ministero.
Così deciso il 13/02/2018.

realizzazione del vantaggio perseguito dal corruttore e dalla legittimità dell’atto

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