Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17486 del 06/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17486 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SARCINELLI CRISTIAN nato il 27/10/1992 a BARLETTA

avverso l’ordinanza del 15/11/2017 del TRIB. LIBERTA di TRANI
sentita la relazione svolta dal Presidente GRAZIA LAPALORCIA;
sentite le conclusioni del PG FRANCESCO SALZANO
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
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Data Udienza: 06/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Cristian Sarcinelli, legale rappresentante della s.r.l. Manifatture
Carmen, propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Trani che ha
rigettato la sua richiesta di riesame avverso il decreto di convalida di sequestro probatorio
emesso dal Pubblico Ministero il 10/10/2017, avente ad oggetto indumenti, già
confezionati e da assemblare, riportanti i marchi Jack Daniel’s e Monster’s Legend, nonché
buste di plastica, etichette, fatture e due licenze autorizzative relative a tali indumenti,

2. Il Tribunale, considerato che il Pubblico Ministero aveva ipotizzato il reato di cui
all’art. 473 cod. pen., premesso che l’unico obbligo motivazionale attiene ai presupposti
del vincolo e, quindi, alla configurabilità del reato, e rilevato, quanto ai beni in sequestro,
che si tratta del corpo del reato, ha precisato che:
– quanto ai capi con marchio Monster’s Legend, il legale rappresentante della società
ove era stato operato il sequestro, la Manifatture Carmen s.r.I., non aveva prodotto alcuna
documentazione fiscale, contabile o di formale autorizzazione alla produzione e successiva
commercializzazione della merce rinvenuta;
– quanto ai capi con marchio Jack Daniel’s, l’autorizzazione esibita dal ricorrente
riguardava soltanto la confezione, stampa e stiro dei capi dati dalla In.Te.Sud s.r.l. in
conto lavorazione, con limitazione, come da nota successiva, a taluni modelli.
3. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizi motivazionali sostenendo che il
tribunale:
– non avrebbe tenuto conto dell’esistenza di una licenza autorizzativa rilasciata dalla
In.Te.Sud s.r.l. che legittimava la produzione e la commercializzazione dei capi con
marchio Jack Daniel’s;
– avrebbe desunto la contraffazione dei capi di abbigliamento Monster’s Legend da
mere congetture e da precedenti operazioni di Polizia Giudiziaria;
– quanto ai capi con marchio Jack Daniel’s, avrebbe inoltre fondato le proprie
conclusioni sulla perizia effettuata da Ann Kristen Wong, brand protection manager di Jack
Daniel’s, perizia di cui era stata denunciata, già in sede di riesame, la non attendibilità, in
ragione del conflitto di interessi e della scarsa conoscenza della lingua italiana della
predetta, che aveva avuto bisogno dell’assistenza del legale della stessa Jack Daniel’s;

avrebbe ingiustificatamente respinto la tesi difensiva della legittimità della

produzione e commercializzazione dei capi con quest’ultimo marchio in forza della licenza
prodotta, mentre, a ritenere la validità di tale licenza soltanto sino al 2016, ciò non
comporterebbe la configurabilità del reato di cui all’art.473 c.p. con riguardo ai capi
prodotti e commercializzati successivamente, bensì del diverso reato di cui all’art.127
d.lgs.30/05, a carico, tuttavia, non del Sarcinelli, ma del legale rappresentante della
In.Te.Sud..

2

sequestro eseguito presso l’indicata società.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile.

2.

E’ appena il caso di ricordare che il ricorso per cassazione avverso ordinanze in

materia di misure cautelari reali è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della
motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza

giudice (tra le molte Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
3.

Sono quindi inammissibili le censure riguardanti i capi con marchio Monster’s

Legend, la cui contraffazione, peraltro, è stata ritenuta dal tribunale non sulla base di
analogie con vicende precedenti, solo incidentalmente evocate, ma per l’assenza di
qualsiasi documentazione che legittimasse la Manifatture Carmen a produrre e
commercializzare quel prodotto.
4.

Con riguardo ai capi di abbigliamento con marchio Jack Daniel’s, poi, il

Tribunale ha replicato alle censure relative alla perizia effettuata dalla Wong, ritenendole
apodittiche ed inidonee a dimostrare l’insufficienza dell’accertamento tecnico. Al riguardo
va evidenziato che il richiamo del ricorrente, a sostegno della tesi del conflitto d’interessi
della predetta Wong, e quindi della inattendibilità dell’accertamento sui marchi da essa
effettuato, alla pronuncia di questa Corte 25376/2015, risulta inappropriato se si
considera, in primo luogo, che il caso esaminato in quella decisione nulla ha a che vedere
con quello in esame, giacché in allora l’accertamento tecnico era stato eseguito da
praticanti dello studio legale che curava gli interessi della società ITC srl titolare del
marchio Ferré, studio coinvolto in un complesso contenzioso civile con la società
ricorrente, ed al quale era riconducibile anche l’atto di impulso per l’attivazione del
procedimento penale che aveva condotto al sequestro, con conseguente ritenuto
affievolimento della capacità dimostrativa dell’accertamento eseguito. In secondo luogo,
come correttamente osservato nell’ordinanza impugnata, la Wong, figura professionale
addetta alla tutela dei marchi e prodotti di marca e quindi legata da rapporto professionale
con Jack Daniel’s, non solo non riveste cariche di rappresentanza di quest’ultima società,
ma è anche estranea alla denunciante In.Te.Sud., con conseguente inconfigurabilità di un
suo conflitto d’interessi. Da ultimo appare meramente assertivo che l’assistenza prestata
alla Wong da uno dei legali di Jack Daniel’s, in veste di interprete, oltre tutto non chiaro in
quali termini e in quale misura, abbia potuto incidere sulla capacità dimostrativa
dell’accertamento tecnico. La relativa censura è quindi manifestamente infondata.
5.

Vale la pena aggiungere che, al di là di quanto appena osservato, la

contraffazione del marchio risulta indirettamente ammessa laddove il ricorrente, per l’anno
2017, ha inteso giustificarne l’uso sulla base di documentazione autorizzativa ritenuta dal
tribunale inidonea, in quanto soggetta a specifiche limitazioni (capi con marchio Jack

3

e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal

Daniel’s forniti da In.Te.Sud in conto lavorazione; modelli e colori da questa venduti
approvati da Bioworld Europe BV), ad escludere, nei limiti della cognizione attribuita al
giudice del riesame, la congruità degli elementi posti a sostegno dell’accusa.
6.

Quanto poi all’assunto difensivo per il quale, a ritenere la validità della licenza

soltanto sino al 2016, ciò non comporterebbe la configurabilità del reato di cui all’art.473
cod. pen. con riguardo ai capi prodotti e commercializzati in epoca successiva, ma del
diverso reato, perseguibile a querela, di cui all’art.127 d.lgs.30/2005, è d’obbligo rilevare,
con conseguente manifesta infondatezza della doglianza, che, per quanto la decisione di

il reato di cui all’art. 473 cod. pen. e quello di cui al Codice della proprietà industriale nei
termini ricordati dal ricorrente (e cioè che integra il reato di cui all’art. 473 cod. pen. la
contraffazione o l’alterazione di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti
industriali che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al
generale affidamento, mentre ricorre il reato previsto dall’art. 127, comma primo, D.Lgs.
10 febbraio 2005, n. 30 nel caso in cui l’abusiva utilizzazione di un prodotto leda solo lo
specifico interesse patrimoniale di chi lo ha brevettato, in quanto il bene protetto dal primo
reato è la fede pubblica laddove quello tutelato dal secondo è il patrimonio: Sez. 5, n.
22503 del 07/01/2016, Sbaraini, Rv. 266856), tuttavia tale pronuncia riguarda fattispecie
in cui questa Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto all’ipotesi
prevista dall’art. 473 cod. pen. l’uso illegittimo di un marchio successivamente alla
scadenza della licenza.
7.

Seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen. determinandosi in C

2000 la somma che il ricorrente, essendo la causa di inammissibilità ascrivibile a colpa
(Corte Cost. 186/2000), deve corrispondere alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di C 2000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 6/02/2018

Il Presidente estensore

Depositato in Canceff
Roma, lì

431,LA2

Grazia L9Ralorcia

questa Corte evocata nel ricorso a sostegno di tale assunto, abbia sancito la differenza tra

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