Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17481 del 06/02/2018
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17481 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MEACCI ALCIDE nato il 10/05/1955 a ORBETELLO
avverso la sentenza del 29/05/2015 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
Data Udienza: 06/02/2018
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Firenze ha parzialmente riformato,
rideterminando la pena, la sentenza del Tribunale di Montepulciano, che aveva riconosciuto la
penale responsabilità di Alcide Meacci in ordine al reato di furto aggravato ai sensi dell’art.625
n.2 cod. pen. per essersi impossessato di un quantitativo imprecisato di energia elettrica
allacciandosi al contatore di Gianna Sbordoni Angelotti avvalendosi di un mezzo fraudolento
(utilizzo di cavi volanti collegati al contatore della persona offesa).
2.1 Con il primo si deduce l’erronea applicazione degli artt. 624 e 625 n.2 cod. pen., in
quanto non sarebbe configurabile l’aggravante del mezzo fraudolento.
2.2 Con il secondo si deduce l’erronea applicazione degli artt. 120 e 126 cod. proc. pen. in
quanto il contatore su cui era stato effettuato l’allacciamento abusivo era intestato, al
momento dei fatti, alla madre di Gianna Sbordoni Angelotti e con la morte della persona offesa
si era estinto il diritto di proporre querela.
2.3 Con il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali con riguardo al
trattamento sanzionatorio (diniego di attenuanti generiche e commisurazione della pena).
RITENUTO IN DIRITTO
1.
Il ricorso è inammissibile.
2.
Il primo motivo è manifestamente infondato avendo la sentenza impugnata fatto
corretta applicazione del canone interpretativo sostenuto dall’indirizzo giurisprudenziale
prevalente secondo il quale integra modalità frodatoria l’allacciamento, quand’anche
diretto ed evidente – nella specie al contatore della persona offesa -, per acquisire
l’erogazione dell’energia elettrica, giacché la visibilità del cavo elettrico abusivo non
elimina la fraudolenza, propria dell’aggravante contestata, essendo tale condotta
comunque preordinata ad ingannevolmente evitare il controllo del titolare della rete o del
contatore ‘allacciato’, così eludendo il pagamento dell’energia elettrica, bene mobile non
visibile (Sez. 4, n. 47834 del 20/10/2011, Favasuli, Rv. 252458; Sez. 4, n. 47170 del
08/11/2007, Nicosia, Rv. 238354; Sez. 4, n. 20436 del 06/02/2002, Rocco, Rv. 221463;
Sez. 5, n. 2681 del 19/11/2004 – dep. 2005, Mitrovic, Rv. 231400).
3.
Nella sentenza Mitrovic, da ultimo richiamata, premesso che la
ratio della
aggravante in esame risiede nella maggiore capacità criminale manifestata dall’agente che
agisce superando con la frode la custodia apprestata dall’avente diritto sui suoi beni, si è
pure evidenziato che non è condivisibile l’opposto, minoritario orientamento
giurisprudenziale (espresso da Sez. 5, n. 7800 del 11/01/2002, Fiorentino M, Rv. 221248)
il quale richiede che, per la sussistenza della aggravante, resti dimostrato l’uso di un
accorgimento, da parte dell’agente, atto ad occultare l’allacciamento abusivo, quasi che,
diversamente, l’allacciamento esulasse dalla nozione di frode. Orientamento che però non
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2. Il ricorso articola tre motivi.
considera – si osserva ancora nella sentenza Mitrovic – che la frode è data dall’artificio con
cui si sorprende l’altrui buona fede, e che è tale l’espediente – quale l’allaccio abusivo alla
rete elettrica o ad un contatore altrui – atto ad ottenere effetti estranei all’ordine naturale
o all’aspetto immediato delle cose, non necessitando quindi, perché l’aggravante sia
integrata, una condotta aggiuntiva che renda più elevato il grado di difficoltà della
scoperta dell’inganno.
4.
Il secondo motivo, inteso a mettere in dubbio la validità della querela, resta
assorbito stante l’inammissibilità del primo.
L’ultima doglianza di violazione di legge e vizio argomentativo, afferente al
trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondata giacché la sentenza supera
indenne il vaglio di legittimità al riguardo, avendo correttamente argomentato il diniego
delle attenuanti generiche sul rilievo dei precedenti per truffa e ricettazione (che hanno
determinato la contestazione della recidiva specifica reiterata), significativi di proclività
alla commissione di reati contro il patrimonio, in particolare mediante frode, e
determinato la pena detentiva nel minimo edittale (anni uno di reclusione e 150 euro di
multa per il furto monoaggravato), con il contenuto aumento di tre mesi e 50 euro per la
recidiva.
6.
Seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen. determinandosi in C
2000 la somma che il ricorrente, essendo la causa di inammissibilità ascrivibile a colpa
(Corte Cost. 186/2000), deve corrispondere alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di C 2000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 6/02/2018
Depositato in
Roma, lì
Cancelleria
Il Presidente estensore
Grazia Lapalorcia
5.