Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17477 del 06/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17477 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LORENZI CLAUDIA nato il 12/10/1966 a MONTECATINI TERME

avverso la sentenza del 27/10/2016 del TRIBUNALE di PISA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE
SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO,che ha concluso per il rigetto.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pisa con sentenza del 27/10/2016, ha confermato, con
aggravio delle spese del grado, la sentenza del Giudice di Pace di Pisa del
27/10/2015, appellata dall’imputata Claudia Lorenzi, che l’aveva riconosciuta
colpevole del reato di diffamazione in danno della parte civile Isabella Cecchi e
l’aveva pertanto condannata alla pena di C 800 di multa e al risarcimento dei
danni liquidati in C 1.000,00= oltre alle spese.
Claudia Lorenzi, ispettrice di zona della società Luisa Spagnoli, era
accusata di aver offeso la reputazione di Isabella Cecchi, responsabile del punto
vendite di Pisa della stessa società, nel comunicare con le tre commesse del
negozio di abbigliamento, affermando che la Cecchi aveva ricevuto una lettera di

Data Udienza: 06/02/2018

richiamo dall’azienda e a novembre

sarebbe stata riportata al livello di

commessa, invitandole a inviare una lettera di lamentela alla sede principale, che
loro si rifiutavano di sottoscrivere.

2. Ha proposto ricorso l’avv.Francesco Falcinelli, difensore di fiducia
dell’imputata, svolgendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo proposto

ex

art.606, comma 1, lett.

c),

cod.proc.pen. il ricorrente lamenta inosservanza degli artt.125, comma 3, e

censure proposte con l’appello senza farsi carico di un’adeguata argomentazione
logica sull’inconsistenza dei motivi di impugnazione proposti.
Il Tribunale, da un lato, aveva dato rilievo alla presunta propalazione dl
licenziamento della Cecchi, neppur oggetto di contestazione, dall’altro aveva
omesso di valutare la riscontrata inattendibilità dichiarativa della persona offesa,
smentita dai testimoni diretti Sara Pucci, Antonella Bianchi e avv.Federico
Frosoni, nonché dalle sentenze pronunciate nel contenzioso giuslavoristico fra la
persona offesa e la società datrice di lavoro e dal licenziamento disciplinare della
Cecchi confermato in due gradi di giudizio.
Il Giudice del merito, in violazione dell’art.521 cod.proc.pen., era stato
costretto a mutare la contestazione ascritta, cogliendo il fatto diffamatorio nella
previsione del licenziamento della Cecchi per i pessimi risultati ottenuti nella
gestione del punto vendita di Pisa.
Non era poi stato considerato il ruolo rivestito dalla Lorenzi quale ispettrice
della Luisa Spagnoli s.p.a. per la Toscana, e le sue funzioni di rappresentanza
quale propagazione apicale con funzioni di collegamento fra sede regionale e
sede centrale con compiti di segnalazione e censura di inadempienze
contrattuali.
Dalla deposizione del teste Patiti del 15/10/2015 espressamente richiamata
in atto di appello, pag.10, era emerso che in un’assemblea del giugno 2010
presso la sede di Perugia della Luisa Spagnoli la Cecchi era stata convocata e
sollecitata ad un maggior, impegno per scongiurare provvedimenti della società.
_s cerric-A o
2.2. Con il tprtriTo motivo proposto ex
art.606, comma 1, lett. c),
cod.proc.pen. il ricorrente lamenta violazione del combinato disposto degli
artt.521 e 522 cod.proc.pen. e 6 CEDU per l’evidente difetto di correlazione fra il
capo di imputazione e la condotta accertata, con la conseguente lesione del
diritto di difesa.
2.3. Con il terzo
cod.proc.pen.

motivo proposto

il ricorrente lamenta

ex

art.606, comma 1, lett.

b)

violazione di legge con riferimento

2

546, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., perché il Tribunale aveva disatteso le

all’art.595 cod.pen. e mancanza della motivazione ex art.606, comma 1, lett. e)
cod.proc.pen.
La pronuncia impugnata aveva infatti ritenuto che integrasse gli elementi
costitutivi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie di cui all’art.595 cod.pen. il
legittimo esercizio delle mansioni di vigilanza, rappresentanza e censura
dell’apicale aziendale, qual era l’ispettrice regionale Lorenzi, nel corso di una
ispezione appositamente disposta dalla società a seguito dei deludenti risultati
della gestione del punto vendita di cui la Cecchi era responsabile.

nei confronti della Cecchi che, essa sì senza titolo, aveva loro rappresentato la
intenzione societaria di procedere al loro licenziamento, a smentire tale falsa
notizia e a rappresentare, al contrario, che secondo la comune prassi aziendale
e il normale buon senso sarebbe stata la responsabile Cecchi a dover dare conto
/
dei risultati della gestione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Con il secondo motivo proposto ex

art.606, comma 1, lett.

cod.proc.pen. il ricorrente denuncia un vizio in procedendo,

c),

prioritario dal

punto di vista logico e che merita quindi esame preliminare.
Il ricorrente lamenta violazione del combinato disposto degli artt.521 e 522
cod.proc.pen. e 6 CEDU per l’evidente difetto di correlazione fra il capo di
imputazione e la condotta accertata, con la conseguente lesione del diritto di
difesa.
1.1. Il capo di imputazione originario riguardava l’offesa consumata alla
reputazione di Isabella Cecchi dichiarando alle commesse del negozio di
abbigliamento di Pisa che la responsabile del punto vendita (ossia la Cecchi)
aveva ricevuto una lettera di richiamo dall’azienda e nel mese di novembre
sarebbe stata degradata al rango di commessa, invitando altresì le dipendenti a
inviare una lettera di lamentele alla direzione che esse però si rifiutavano di
sottoscrivere.
1.2. Il fatto accertato dal Giudice di pace di Pisa e ritenuto integrare il
reato di diffamazione è sensibilmente differente: è stato ritenuto che la Lorenzi
abbia detto alle due commesse presenti in negozio, in occasione del suo accesso,
ossia Antonella Bianchi e Sara Pucci, che la Cecchi durante una riunione
aziendale era stata avvertita che non avendo raggiunto il

budget previsto

sarebbe stata riportata al livello di commessa ed eventualmente licenziata in
caso di riduzione del personale. Inoltre la Lorenzi aveva loro proposto di inviare
una lettera di lamentele in azienda, senza informarne la Cecchi.

3

La Lorenzi si era limitata a prender atto delle rimostranze delle dipendenti

1.3. Il Tribunale di Pisa, giudice di appello, ha reputato assolutamente
condivisibile la decisione del Giudice di pace di confrontarsi con le dichiarazioni,
più attendibili ed equidistanti, delle testi Pucci e Bianchi, piuttosto che con il
tenore del capo d’imputazione in rubrica, conforme alle accuse della persona
offesa -parte civile.
Il Tribunale ha quindi osservato che non si era verificato alcun concreto
pregiudizio alla possibilità di difesa dell’imputata, comunque chiamata a
rispondere della distorta rappresentazione fornita alle commesse degli esiti della

Isabella Cecchi, poco importando che questi fossero il licenziamento o un
richiamo e il possibile demansionamento, essendo rimasti immutati i tratti
essenziali della condotta attribuita.
1.4. L’art. 521 cod.proc.pen., rubricato «Correlazione tra l’imputazione
contestata e la sentenza», enuncia al primo comma il principio riassumibile nel
brocardo latino iura novit curia, in base al quale il giudice, nella sentenza, può
dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata
nell’imputazione, purché il reato non ecceda la propria competenza o non sia
affidato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale anziché
monocratica.
Al fine di tutelare il diritto di difesa dell’imputato, però, il secondo comma
dell’art. 521 impone al giudice che accerti che il fatto è diverso da come descritto
nel decreto che dispone il giudizio (ovvero nella contestazione effettuata a norma
degli artt. 516, 517 e 518, comma 2, cod. proc. pen.) di pronunciare
un’ordinanza con cui dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero.
L’art.518 cod.proc.pen. invece considera l’ipotesi dell’emersione nel corso
del processo di un fatto nuovo a carico dell’imputato, non enunciato nel decreto
che dispone il giudizio e perseguibile d’ufficio, prevedendo che in tal caso si
proceda nelle forme ordinarie, salva l’autorizzazione alla contestazione suppletiva
con il consenso dell’imputato e purché non ne derivi pregiudizio per la speditezza
dei procedimenti.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che per «fatto
nuovo», regolato dall’art.518 cod.proc.pen., si intende un fatto ulteriore ed
autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si
sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale
autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente
e giuridicamente autonomo.
Invece, per «fatto diverso», considerato dal comma 2 dell’art.521, deve
intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso
invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli

4

riunione di Perugia in punto provvedimenti adottati o adottandi nei confronti di

descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una correlativa
puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n.
26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 dep. 2016,p.c.in proc.Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998,
Capano, Rv. 211477).
Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il
fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una
situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi

6, n. 6346 del 09/11/2012,2013, Domizi e altri, Rv. 254888); occorre quindi
una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie
concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo
che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un
reale pregiudizio dei diritti della difesa; l’indagine volta ad accertare la violazione
del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente
letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e
di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso
l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in
ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del
15/07/2010,Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco Rv.
205619).
1.5. Nella fattispecie il Tribunale ha giustamente ritenuto che l’imputata non
avesse patito alcun pregiudizio dall’invero modesto mutamento del fatto emerso
dall’audizione delle testimoni, venendo comunque chiamata a rispondere delle
dichiarazioni rese alle stesse persone, nello stesso contesto e nella stessa precisa
occasione sulle prospettive e sulla posizione aziendale di Isabella Cecchi.

2. Con il primo motivo proposto

ex

art.606, comma 1, lett.

c),

cod.proc.pen. il ricorrente lamenta inosservanza degli artt.125, comma 3, e
546, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., perché il Tribunale aveva disatteso le
censure proposte con l’appello senza farsi carico di un’adeguata argomentazione
logica sull’inconsistenza dei motivi di impugnazione proposti.
2.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale, da un lato, aveva dato rilievo alla
presunta propalazione dl licenziamento della Cecchi, neppur oggetto di
contestazione, dall’altro aveva omesso di valutare la riscontrata inattendibilità
dichiarativa della persona offesa, smentita dai testimoni diretti Sara Pucci,
Antonella Bianchi e avv.Federico Frosoni, nonché dalle sentenze pronunciate nel
contenzioso giuslavoristico fra la persona offesa e la società datrice di lavoro e
dal licenziamento disciplinare della Cecchi confermato in due gradi di giudizio.

5

accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato (Sez.

Il Giudice del merito, in violazione dell’art.521 cod.proc.pen., era stato
costretto a mutare la contestazione ascritta cogliendo il fatto diffamatorio nella
previsione del licenziamento della Cecchi per i pessimi risultati ottenuti nella
gestione del punto vendita di Pisa.
2.2. Si è già detto che dell’irrilevanza della modesta diversità del contributo
dichiarativo addebitato a Claudia Lorenzi.
2.3. Le dichiarazioni della persona offesa non sono state poste in maniera
significativa a base dell’accertamento di responsabilità, fondato per l’appunto

avv.Federico Frosoni.
2.4. Le sentenze pronunciate nel contenzioso giuslavoristico fra la persona
offesa e la società datrice di lavoro e il licenziamento disciplinare della Cecchi
confermato in due gradi di giudizio, non sono state prese in considerazione sulla
base della motivazione, esente da vizi logici di sorta, che il licenziamento della
Cecchi era stato disposto per un fatto successivo al primo accesso della Lorenzi
nel punto vendita di Pisa, e cioè perché la Cecchi, in occasione di una seconda
vista aveva negato alla Lorenzi, ispettrice dell’azienda, l’ingresso in negozio.
2.5. Il ricorrente rappresenta poi due ulteriori elementi, osservando che non
era stato considerato il ruolo rivestito dalla Lorenzi quale ispettrice della Luisa
Spagnoli s.p.a. per la Toscana, e le sue funzioni di rappresentanza quale
propagazione apicale con funzioni di collegamento fra sede regionale e sede
centrale con compiti di segnalazione e censura di inadempienze contrattuali; ed
inoltre dalla deposizione del teste Patiti del 15/10/2015 espressamente
richiamata in atto di appello, pag.10, era emerso che in un’assemblea del
giugno 2010 presso la sede di Perugia della Luisa Spagnoli la Cecchi era stata
convocata e sollecitata ad un maggior impegno per scongiurare provvedimenti
della società.
Questi due elementi meritano valutazione congiuntamente alle censure
proposte con il terzo motivo di ricorso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta

violazione di legge con

riferimento all’art.595 cod.pen. e mancanza della motivazione.
3.1. La pronuncia impugnata aveva infatti ritenuto che integrasse gli
elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie di cui all’art.595
cod.pen. il legittimo esercizio delle mansioni di vigilanza, rappresentanza e
censura dell’apicale aziendale, qual era l’ispettrice regionale Lorenzi, nel corso di
una ispezione appositamente disposta dalla società a seguito dei deludenti
risultati della gestione del punto vendita di cui la Cecchi era responsabile.

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sulle dichiarazioni rese dai testimoni diretti Sara Pucci, Antonella Bianchi e

La Lorenzi si era limitata a prender atto delle rimostranze delle dipendenti
nei confronti della Cecchi che, essa sì senza titolo, aveva loro rappresentato la
intenzione societaria di procedere al loro licenziamento, a smentire tale falsa
notizia e a rappresentare, al contrario, che secondo la comune prassi gestionale
e il normale buon senso sarebbe stata la responsabile Cecchi a dover dare conto
dei risultati della gestione.
3.2. Il carattere diffamatorio delle dichiarazioni di Claudia Lorenzi è stato
ravvisato nella propalazione della notizia che la Cecchi avrebbe potuto essere

personale della società Luisa Spagnoli, Federico Frosoni e dalla lettera inviata il
27/7/2010 dalla società al legale della persona offesa.
3.3. L’art.595 cod.pen. punisce il reato di diffamazione nel fatto di chi,
comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona non
presente.
L’offesa alla reputazione implica una lesione dell’onore (complesso delle
condizioni da cui dipende il valore sociale della persona) o del decoro (insieme
delle dote fisiche, intellettuali e sociali della persona) della persona, intesi in
senso oggettivo.
3.4. La previsione di un possibile licenziamento di un soggetto non
costituisce né un apprezzamento, né una valutazione della persona e non ne
vulnera quindi il decoro, né menoma il suo valore sociale, non incidendo
sull’onore.
Beninteso, quanto osservato vale nell’ipotesi, in concreto occorsa, in cui la
previsione dell’evento futuro sia formulata disgiuntamente dall’attribuzione alla
persona di cui si parla di un fatto determinato disdicevole, moralmente
riprovevole o addirittura illecito, che costituisca il presupposto dell’irrogazione
della misura.
In tal caso non è la previsione del licenziamento a integrare l’offesa , ma la
sottostante e implicita attribuzione del fatto disdicevole che lo determinerebbe.
La valenza

offensiva scaturisce pertanto dall’implicazione, nell’esercizio

della tecnica dialettica ,del «sottinteso sapiente» che maschera il

non detto,

offensivo, dietro il detto, solo apparentemente neutro (in tema Sezione 5,
n.44024 del 4/11/2010, Antonellis).
3.5. Il Tribunale ha valorizzato, molto sinteticamente, il fatto che il teste
Frosoni e la lettera di risposta della soc. Luisa Spagnoli al legale della Cecchi
(che invitava a non intraprendere licenziamenti) avevano escluso che fosse in
gestazione un licenziamento nei riguardi della persona offesa.

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licenziata, notizia questa, ritenuta inveritiera perché smentita dal direttore del

Quand’anche corretta, tale affermazione potrebbe dimostrare che la Lorenzi
non aveva detto il vero nel predire il licenziamento, ma non vale, di per sé,
certamente a integrare il requisito della valenza offensiva della dichiarazione.
Ciò soprattutto se lo scambio dialettico viene inquadrato nel contesto
complessivo in cui è stato posto in essere, delineato dallo stesso contenuto delle
due conformi sentenze di merito: ossia il negozio di Pisa, diretto dalla Cecchi,
non stava rispettando le aspettative aziendali e tale circostanza era stata
rappresentata alla Cecchi, convocata a Perugia, nel giugno del 2010 in apposita

che una di loro avrebbe rischiato il licenziamento se le cose continuavano ad
andare male; le commesse Pucci e Bianchi, approfittando dell’accesso della
Lorenzi, ispettrice di zona inviata dall’azienda, in assenza della Cecchi, avevano
chiesto delucidazioni e informazioni su questo specifico argomento, che
comprensibilmente stava loro a cuore; la Lorenzi aveva smentito la falsa notizia
propalata dalla Cecchi; la Lorenzi aveva aggiunto una frase, riferita con
qualche differenza dalle due testi, dicendo che se le cose continuavano ad
andare male sarebbe stata la Cecchi ad essere licenziata, ovvero che., poiché il
punto vendita non aveva raggiunto gli obiettivi i sarebbe stata la Cecchi ad
essere degradata a commessa ed eventualmente ad essere licenziata; la Lorenzi
parlava con una ben precisa veste aziendale, quale ispettrice regionale preposta
alla sorveglianza commerciale del negozio, anche se non in forza di specifico
mandato.
Tali dichiarazioni, opportunamente contestualizzate, non sono state
adeguatamente valutate dal Giudice pisano, arrestatosi alla mera constatazione
della non veridicità dell’ attuale intendimento dell’azienda di licenziare la Cecchi,
senza valutare né il contesto in cui la Lorenzi ha reso le sue dichiarazioni, a
fronte del malumore e delle preoccupazioni delle commesse a cui la Cecchi aveva
comunicato una minaccia sicuramente inesistente, né la funzione svolta
dall’imputata nell’ambito della soc.Luisa Spagnoli, nè il significato sostanziale
del messaggio, che sia pur con riferimento non corrispondente al vero di un
progetto o di una minaccia di licenziamento per la persona offesa, trasmetteva
obiettivamente un concetto, difficilmente contestabile, ossia che a rispondere
aziendalmente del mancato conseguimento degli obiettivi prefissi sarebbe stata
la responsabile della gestione.
V’è da aggiungere, per completezza, che la previsione da parte di Claudia
Lorenzi del licenziamento di Isabella Cecchi, in quel momento erronea e poi
rivelatasi azzeccata per contingenze casuali sopravvenute, non possedeva una
valenza implicativa di comportamenti disdicevoli o di qualità negative
dell’interessata, questa sì suscettibile di rilievo diffamatorio, perché

8

riunione; la Cecchi aveva, falsamente, dichiarato alle tre commesse nel negozio,

strettamente collegata alla prestazione commerciale del punto vendita e non ad
altre circostanze di carattere personale.
Né la portata offensiva può esser letta nell’attribuzione dei risultati negativi
della gestione del punto vendita di Pisa, quale ragione del previsto
licenziamento, che invece costituiva un dato fattuale accertato nelle pronunce di
merito, anche in riferimento alla riunione perugina del giugno del 2010, di poco
antecedente l’episodio in questione, tanto più che la stessa Cecchi aveva preso le
mosse dall’andamento negativo e dalla riunione per ventilare alle commesse il

3.6. L’insussistenza della lesione dell’onore e della reputazione assorbe
l’ulteriore rilievo dell’esercizio del diritto di critica da parte dell’imputata, che
agiva in veste di ispettrice dell’azienda preposta ai controlli circa la gestione del
punto vendita diretto dalla Cecchi.
3.7. La richiesta della Lorenzi

alle commesse di scrivere all’azienda

segnalando le loro lamentele, priva in radice di valenza diffamatoria, pur inserita
nel capo di imputazione, non è stata posta a base della duplice conforme
statuizione di merito.

4. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio perché
il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 6/2/2018

L

Il Cons gliere estensore
Umb rto Luigi Scoti

,

Il Presidente

(
ch,

Depositato in Cancelleria
Roma, lì ..

8 AN. Lo’s

Grazia Lapalora?

possibile licenziamento di una di loro.

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