Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17471 del 06/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17471 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) RUGGIERI DONATO N. IL 15/09/1957
avverso la sentenza n. 648/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 21/06/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 giugno 2011 la Corte d’appello di Lecce ha
confermato la sentenza del 16 novembre 2009 del Tribunale di Taranto – sezione
distaccata di Martina Franca, che aveva dichiarato Ruggieri Donato colpevole del
reato previsto dall’art. 22, comma 10 (rectius: 12), d.lgs. n. 286 del 1998 per
avere occupato alle proprie dipendenze un lavoratore straniero privo del

attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di arresto ed euro cinquemila di
ammenda.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cessazione personalmente
l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di due motivi con i quali
ha denunciato, rispettivamente, violazione o erronea applicazione di legge e vizio
della motivazione con riferimento alla identificazione della condotta prevista e
punita dalla norma incriminatrice, e inosservanza o erronea applicazione della
legge penale relativamente alla mancata declaratoria di estinzione del reato
contestato per intervenuta prescrizione.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Le deduzioni svolte con il primo motivo riproducono, infatti, gli argomenti
prospettati nel gravame, ai quali la Corte d’appello, in continuità argomentativa
con la decisione di primo grado, ha dato adeguate risposte, esaustive in fatto,
per la loro logica congruenza alle risultanze del quadro probatorio, e corrette in
diritto, per la loro coerenza con i dati connotanti gli elementi del contestato reato
sul piano normativo.
Il ricorrente, richiamando i principi di diritto relativi alla norma sanzionatoria
ed esprimendo un diffuso dissenso di merito rispetto alla ricostruzione della
vicenda e alle risposte ricevute, tende, invece, a provocare una nuova lettura
degli aspetti attinenti alle circostanze fattuali e all’apprezzamento del materiale
probatorio, al fine della esclusione della sua responsabilità per la mancanza
dell’accertamento della condotta illecita, ma una tale prospettazione non è
consentita in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione e si sostanzia, pertanto, in censura diversa da quella esperibile per
legge con il ricorso per cessazione.

2

permesso di soggiorno, e l’aveva condannato, previa concessione delle

3. Quanto alla eccepita intervenuta prescrizione del reato alla data della
sentenza d’appello, si rileva che la contravvenzione contestata è stata accertata
il 17 novembre 2006, e quindi dopo l’entrata in vigore della legge n. 251 del
2005, che ha, tra l’altro, modificato il tempo necessario a prescrivere, lo stesso
determinando per il reato contravvenzionale nella misura minima di quattro anni,
che è aumentata di un quarto in presenza di un fatto interruttivo.
Al rilievo fattuale della data di commissione del reato conseguono, pertanto,
l’applicazione della legge vigente alla detta data e la scadenza non antecedente

Alla stregua di dette considerazioni, è da escludere che il Giudice di appello
doveva rilevare, come si assume, una prescrizione non ancora maturata alla data
della decisione (21 giugno 2011).
4.

L’eventuale decorso del termine prescrizionale, sopravvenuto alla

sentenza d’appello, non può essere rilevato in questa sede, perché la
inammissibilità delle ulteriori ragioni di censura ha precluso la corretta
instaurazione dinanzi a questa Corte del rapporto processuale d’impugnazione
(Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, dep. 22/06/2005, Bracale, Rv. 231164).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto
del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

al 17 novembre 2011 del termine prescrizionale.

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