Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17463 del 06/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17463 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) MASUCCI ANTONIO N. IL 30/01/1965
avverso l’ordinanza n. 1106/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
02/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 2 novembre 2011 la Corte di appello di Napoli,
giudice dell’esecuzione, ha respinto la domanda di Masucci Antonio di
applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti oggetto di due
sentenze di condanna: la prima emessa dalla Corte di assise di appello di
Napoli, in data 17 ottobre 2003, di condanna del Masucci alla pena di anni
aggravata e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti,
commessi in Avellino e provincia, a partire dal 1998 con condotta
perdurante; la seconda emessa dalla Corte di assise di appello di Avellino,
in data 24 marzo 2010, di condanna del Masucci alla pena di anni 18 di
reclusione per il delitto di omicidio di De Cristofaro Aldo e porto illegale di
arma, commessi in Serino (Avellino), il 12 luglio 2000.
Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il Masucci tramite il
difensore per dedurre la violazione dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. e
il difetto di motivazione.
CONSIDERATO in DIRITTO

Il ricorso è inammissibile perché propone censure di merito, anche sotto
il profilo del travisamento del contenuto delle sentenze di condanna,
richiamate nella decisione impugnata.
Assume il ricorrente, ripercorrendo le motivazioni delle pronunce di
condanna, che la precedente militanza del Masucci e del De Cristofaro nella
medesima associazione criminale (clan Cava), dalla quale il primo si era
allontanato nel 1998 per costituire, insieme ai cugini Genovese, un
autonomo sodalizio, aveva determinato, fin dall’inizio della nuova
compagine, il progetto di uccidere l’ex compagno divenuto avversario,
all’epoca detenuto, sicché tale decisione omicida poté essere attuata solo
alcuni anni più tardi; con l’ulteriore sottolineatura della convergenza di

interesse di tutti i soci fondatori del sodalizio (i cugini Genovese e tale
Taccone Carmine oltre al Masucci) nel progetto di soppressione del De
Cristofaro, subito individuato quale concorrente nel controllo criminale del
medesimo territorio e già autore, nel 1997, di invasioni di campo con
iniziative illecite attuate nella zona di influenza dei Genovese.
La Corte di appello, invece, ha sostenuto, sulla base della lettura delle
medesime sentenze di condanna, che l’associazione camorristica di cui il
Masucci era partecipe, con ruolo apicale, aveva come fine primario quello di

13 e mesi 6 di reclusione per il delitto di associazione camorristica

z

conseguire la gestione o il controllo delle attività economiche sul territorio e
di realizzare profitti ingiusti, anche attraverso lo spaccio organizzato delle
sostanze stupefacenti; mentre l’omicidio del De Cristofaro era avvenuto
nella dinamica interna dei conflitti tra organizzazioni malavitose, in
contrapposizione tra loro nella zona di Avellino; con l’ulteriore precisazione
che, alla luce degli accertamenti giudiziali, non era possibile sostenere che
l’omicidio, commesso il 12 luglio 2000, potesse essere stato programmato e

di appartenenza del Masucci, denominata clan Genovese, operativa sul
territorio di Avellino a partire dal 1998 in avanti.
Si tratta, quindi, di due interpretazioni diverse dei medesimi dati
processuali di cui quella sostenuta nella decisione impugnata non tradisce
profili di contraddittorietà o manifesta illogicità censurabili in questa sede,
né di travisamento del contenuto delle sentenze di condanna esaminate.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi
dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost., sent. n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento a favore
della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare, tra il minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 6 dicembre 2012.

deliberato fin dal momento della costituzione dell’associazione camorristica

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