Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17460 del 06/12/2012
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17460 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) PERUGINO ANTONIO N. IL 29/12/1949
avverso l’ordinanza n. 598/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
27/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Doti ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;
Data Udienza: 06/12/2012
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 ottobre 2011 la Corte di appello di Napoli,
giudice dell’esecuzione, ha respinto la domanda di Perugino Antonio di
applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti di violazione delle
norme in materia di sostanze stupefacenti, oggetto di due sentenze della
Corte di appello di Napoli: la prima in data 14 maggio 2010 per il reato di
condotta perdurante, e per i reati fine previsti dall’art. 73 dello stesso
d.P.R., commessi il 20 settembre, 1’11 ottobre e il 18 ottobre del 2003; la
seconda in data 16 luglio 2007 per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e
73 d.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 31 agosto 2006.
Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il Perugino tramite
il difensore, il quale deduce l’erronea applicazione della legge penale e il
vizio della motivazione.
CONSIDERATO In DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché, al di là del titolo dato ai motivi
formulati, propone in realtà censure di merito non consentite nel giudizio di
legittimità.
La Corte di appello, infatti, con motivazione completa e coerente,
immune da vizi logici e giuridici, e, perciò, insindacabile in questa sede, ha
spiegato che i fatti oggetto delle due sentenze di condanna in esame si
iscrivevano in diversi contesti, giacché i primi, risalenti al 2003, erano stati
commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale articolata in tre distinti
gruppi dediti al traffico della droga; mentre i successivi, accertati nel 2006,
riguardavano l’attività di spaccio attuata dal Perugino in autonomia, nella
propria abitazione, con persone diverse dai precedenti coimputati, e, quindi,
del tutto avulsa dal precedente contesto associativo.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.
P.Q„M.
1
cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, commesso dal dicembre 2002 con
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 6 dicembre 2012.