Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17455 del 30/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17455 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALESCI FRANCESCO nato il 21/06/1969 a CALTAGIRONE

avverso l’ordinanza del 19/09/2017 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale FRANCESCO MAURO IACOVIELLO, che ha chiesto annullarsi con rinvio
l’ordinanza impugnata;
Udito il difensore, che si è associato alle conclusioni del Pubblico ministero.

Data Udienza: 30/01/2018

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RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Caltanissetta, provvedendo ai sensi dell’art. 310 cod. proc.
pen. sull’appello del pubblico ministero, con l’ordinanza in epigrafe annullava la
decisione del locale G.i.p. – che, il 10 luglio 2017, all’esito dell’interrogatorio di
garanzia di Francesco Alesci, aveva sostituito nei suoi confronti la misura della
custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, previa riformulazione

2. Alesci era stato sottoposto alla custodia cautelare in can:ere, sotto
l’imputazione provvisoria (capo A della rubrica) di associazione per delinquere di
stampo mafioso ex art. 416-bis cod. pen. (per aver fatto parte della famiglia
mafiosa di Niscemi, fornendo sostegno ed aiuto al reggente del clan, Giancarlo
Giugno, come autista e uomo di fiducia, e contribuendo a determinare assieme
ad altri sodali, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo, il
condizionamento del voto nelle elezioni amministrative del Comune di Niscemi
svoltesi nel maggio 2012, facendo confluire il suffragio verso il candidato sindaco
Francesco La Rosa ed il candidato consigliere Calogero Attardi); imputazione in
cui il G.I.P. aveva in origine ritenuto assorbita quella (capo C) di scambio
elettorale politico-mafioso ex art. 416-ter cod. pen. (testo vigente ante I. n. 62
del 2014).
Senonché il medesimo G.I.P., ad interrogatorio espletato e sulla base delle
difese ivi svolte, aveva ritenuto di dover riqualificare la condotta di Alesci,
riconducendola a quella dell’intermediario tra i componenti del sodalizio di
stampo mafioso e la parte politica che patrocinava la candidatura del binomio La
Rosa-Attardi ed aveva ottenuto la promessa elettorale, che peraltro poi non
sarebbe stata mantenuta; onde la trasmigrazione della condotta sotto l’egida del
citato art. 416-ter cod. pen. – costruito (nel testo pro-tempore vigente, sopra
richiamato) come reato plurisoggettivo improprio (avente il suo soggetto attivo
nel candidato politico, o nel soggetto che si fosse attivato per la ricerca dei voti)
– e la configurazione, a carico di Alesci, di un suo concorso esterno in tale
delitto.

3. Il Tribunale dissentiva da tale impostazione.
Data per assodata l’esistenza storica di «Cosa nostra» nel contesto
territoriale di Niscemi, quel collegio richiamava anzitutto la posizione assunta
all’interno della relativa famiglia da Giancarlo Giugno ed il suo storico ruolo di
legame fra la criminalità organizzata e la pubblica amministrazione; e dava
anche atto della collaborazione con la giustizia di quest’ultimo, intrapresa dopo

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della contestazione – e ripristinava la misura di maggior rigore.

l’arresto del 2013, ritenendo però inattendibili le sue dichiarazioni, di sostanziale
svalutazione delle vicende oggetto del presente procedimento, in quanto
contrastanti con quanto emerso dalle plurime intercettazioni telefoniche ed
ambientali che, a partire dal marzo 2012, svelavano l’impegno diretto mafioso
nella contesa elettorale, a beneficio dei candidati sopra indicati (e di Attardi in
particolare), impegno cui sarebbe seguito il successivo interessamento della
criminalità organizzata locale alla gestione amministrativa del Comune di
Niscemi, nonché la delusione per l’atteggiamento, difforme dalle aspettative,

Di queste captazioni, che vedevano come protagonisti Giugno e lo stesso
Alesci, nonché il candidato Attardi, o comunque uomini di fiducia riconducibili alle
due parti del patto politico-mafioso, il Tribunale dava quindi minuto conto, nella
loro consecuzione diacronica, per ricavarne la certezza non solo del fatto che il
clan Giugno si fosse attivato per condizionare il voto, ma della partecipazione
attiva di Alesci, sotto la direzione di Giugno, all’attività di procacciamento del
consenso; ciò nella piena consapevolezza dello spessore criminale di Giugno, che
Alesci assisteva accompagnandolo anche presso il capo mandamento Alessandro
Barberi (segno della fiducia che in lui il capo clan riponeva). Il Tribunale
richiamava, in particolare, i momenti salienti di quattro captazioni, da cui si
poteva registrare che Alesci aggiornava Giugno sui contatti con possibili elettori e
sulle attività collaterali di acquisizione dei voti; incontrava personalmente
Attardi; aveva predisposto un vero e proprio «ufficio elettivo» per sostenere la
raccolta di adesioni; onde l’ovvia sua soddisfazione per l’esito dello spoglio la
sera delle elezioni, mentre Giugno si compiaceva dello stesso risultato,
ricordando che la migliore qualità di un uomo fosse la «memoria».
Alla luce di tali elementi, il Tribunale reputava raggiunta la soglia della
gravità indiziaria in ordine al ruolo partecipativo al sodalizio mafiosp di Alesci,
che aveva agito quale stretto collaboratore del reggente della famiglia di
Niscemi, dando un personale e rilevante contributo all’obiettivo della cosca di
condizionare il voto nelle locali elezioni comunali del 2012. Infondate erano
invece giudicate le tesi dell’indagato, perché non emergeva alcun rapporto di
collaborazione lavorativa tra Alesci e Giugno legata alla gestione degli uliveti; e
perché Alesci non si era affatto da ultimo disinteressato dell’esito della
competizione elettorale, avendolo al contrario commentato con soddisfazione
assieme a Giugno; mentre eventuali interessi o aspettative personali
(l’assunzione lavorativa del figlio) si ponevano in situazione d’incompatibilità con
l’adesione al sodalizio suddetto, alla cui vita egli aveva (anche in questa vicenda,
attuativa del patto di scambio elettorale politico-mafioso) offerto un apporto
concreto e dinamico.

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assunto dal Sindaco La Rosa in corso di mandato.

4. Riconformata la condotta nell’alveo dell’art. 416-bis cod. pen., il Tribunale
faceva scattare, sotto il profilo delle esigenze cautelari, il regime presuntivo di
cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (assoluto in punto di scelta della
misura), negando che fossero stati addotti elementi specifici che consentissero di
superarlo; e comunque motivava, in positivo, sull’attualità di pericolcsità sociale
e sull’inadeguatezza contenitiva di misure cautelari gradate.

di unico complesso motivo, che deduce – ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc. pen. – la violazione degli artt. 192, comma 2, e 273, comma 1, dello
stesso codice, nonché la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nella
valutazione della concordanza, precisione e gravità degli elementi indiziari, che
configurerebbero un mero concorso eventuale nel reato di cui all’art. 416-ter
cod. pen., con esclusione della condotta partecipativa all’associazione di stampo
mafioso, ad ogni conseguente e derivato effetto sull’applicabilità della misura
custodiale più afflittiva.
Secondo il ricorrente da nessun elemento indiziario sarebbe desumibile lo
specifico ruolo di Alesci quale associato alla famiglia mafiosa di Niscemi.
Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, ancora peraltro alo stato di
brogliacci, sarebbero in assoluta maggioranza riferibili a conversazioni intercorse
tra altri coindagati, e da esse sarebbe assente ogni riferimento storico-fattuale
ad Alesci e a sue condotte associativo-partecipative. In assenza delle quali (e
quindi del riscontro di quel peculiare legame associativo, connotato da forza
intimidatrice e da specifiche condizioni di assoggettamento ed omertà) non
sarebbe operativa la presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura della
custodia in carcere (di per sé ai limiti della costituzionalità).
Delle uniche (quattro) intercettazioni che lo riguarderebbero l’indagato
avrebbe fornito, in sede d’interrogatorio di garanzia, la corretta lei:tura. Delle
corrispondenti difese, già accolte dal G.i.p., il ricorrente riepiloga il contenuto,
sottolineando come i sottesi argomenti siano stati illegittimamente sottaciuti
nelle motivazioni dell’impugnata ordinanza.
In ogni caso mancherebbero – alla luce di tale interrogatorio, ma anche
della sua condotta collaborativa e della sua incensuratezza – elementi dotati di
gravità e precisione indiziaria in ordine alla sua appartenenza all’associazione di
stampo mafioso.

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5. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, sulla base

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La disamina del ricorso richiede la preliminare sintetica ricognizione del
quadro normativo di riferimento, con riguardo all’inquadramento giuridico del
reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. (scambio elettorale politico-mafioso),
limitatamente ai profili rilevanti in questa sede, ed ai suoi rapporti cori la finitima
fattispecie delittuosa di associazione per delinquere ex art. 416-bis cod. pen.,
rispetto alla quale il condizionamento del voto assume, in base al terzo comma

dalla I. n. 356 del 1992), connotato finalistico strutturale.
Occorre ricordare che ad Alesci erano stati contestati entrambi i titoli;
senonché tanto l’ordinanza custodiale genetica, che quella adottata in sede di
riesame, hanno ritenuto l’assorbimento della prima fattispecie nella seconda,
esito che il ricorrente mira in questa sede a contrastare avendo interesse, in
chiave cautelare, a farsi identificare quale mero concorrente esterno nel resto di
cui all’art. 416-ter cod. pen. (ruolo riconosciutogli dal G.i.p. all’esito
dell’interrogatorio di garanzia, e dall’indagato non messo in discussione).

2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il delitto di
scambio elettorale politico-mafioso, di cui al citato art. 416-ter cod. pen. – tanto
nella sua originaria versione, per effetto dell’art. 11-ter d.l. n. 306 del 1992,
conv. dalla I. n. 356 del 1992, che a seguito della riformulazione operata dall’art.
1 legge n. 62 del 2014 – si configura come reato di pericolo (Sez. 6, n. 37374
del 06/05/2014, Polizzi, Rv. 260167), incriminando la norma l’accordo in forza
del quale due o più soggetti si scambiano la promessa del procacciamento di voti
presso l’elettorato e dell’erogazione di un corrispettivo (originariamente
identificato nel denaro).
La novellazione della disposizione incriminatrice, avutasi nel 2014, ha
riguardato la specificazione che il corrispettivo potesse essere costituito da una
qualsivoglia «utilità»; l’introduzione nel suo testo della specifica previsione per
cui l’oggetto della pattuizione illecita debba includere le modalità di acquisizione
del consenso elettorale tramite il metodo mafioso, come descritto al terzo
comma dell’art. 416-bis cod. pen.; l’estensione della punibilità, a titolo di
concorrente necessario, ai colui che promette di procurare i voti.
All’intervento normativo la giurisprudenza di legittimità ha tuttavia presto
assegnato il valore di mera novità lessicale «di minimo contenuto, destinata a
strutturare la fattispecie in termini ancora più compiuti e definiti, sempre
coerenti, tuttavia, con la lettura più corretta che questa stessa Corte ha avuto
modo di offrire già con riferimento al dato normativo previgente» (Sez. 6, n.

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della disposizione (quale introdotto dall’art. 11-bis d.l. n. 306 del 1992, conv.

25302 del 19/5/2015, Albero, Rv. 263845). E, in effetti, da un lato era già
acquisita l’interpretazione secondo cui l’oggetto materiale dell’erogazione offerta
in cambio della promessa di voti potesse essere rappresentato non solo dal
denaro, ma da qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio
immediatamente quantificabile in termini economici e monetari (Sez. 6, n. 20924
del 11/04/2012, Gambino, Rv. 252788; Sez. 2, n. 46922 del 30/11/2011,
Marrazzo, Rv. 251374); e, dall’altro, si riteneva già che l’illecita negoziazione
elettorale assumesse valenza mafiosa, e carattere differenziale tipico rispetto alle

proprio perché contemplante il ricorso alla sopraffazione ed alla forza coartante
del sodalizio mafioso nel procacciamento dei voti, non essendo in sé sufficiente il
mero scambio promessa di voti/erogazione di denaro (Sez. 6, n. 37374 del
06/05/2014, Polizzi, Rv. 260167; Sez. 1, n. 27655 del 24/04/2012, Macrì, Rv.
253387; Sez. 2, n. 23186 del 05/06/2012, Costa, Rv. 252843; Sez. 6, n. 18080
del 13/04/2012, Diana, Rv. 252641; Sez. 6, n. 10785 del 19/02/2004, Falco, Rv.
230397; Sez. 1, n. 27777 del 25/03/2003, Cassata, Rv. 225864). Per contro,
dopo l’intervento novellatore, si è affermato non essere ciò nonostante
necessario, ai fini della configurabilità del delitto, che l’accordo politico-mafioso
contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale
mediante intimidazioni, allorquando il soggetto collettore dei suffragi sia persona
intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisca per conto e nell’interesse
di quest’ultima; essendo infatti, in tal caso, il ricorso alle modalità di acquisizione
del consenso, tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, comma terzo, cod. pen.,
immanente all’illecita pattuizione (Sez. 6, n. 16397 del 03/03/2016, La Rupa, Rv.
266738; Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, Albero, Rv. 263845). E proprio per la
ritenuta continuità normativa, sotto tale determinante profilo (che, anche nel
vigore della precedente formulazione della norma, occorresse, ai fini della
configurazione del reato, la promessa di acquisizione del consenso elettorale
facendo ricorso alle tipiche modalità mafiose della sopraffazione e
dell’intimidazione), Sez. 1, n. 36079 del 10/05/2016, Costa, Rv. 268003, ha
concluso nel senso che la modifica apportata all’art. 416-ter cod. pen. dalla legge
n. 62 del 2014, sul contenuto dell’accordo criminoso, non abbia comportato
alcuna abolitio criminis ex art. 2 cod. pen., neppure parziale.

3. Il quadro normativo è formalmente mutato, a seguito della novella, in
ordine alla posizione, rispetto al reato, del procacciatore del consenso elettorale,
la cui condotta la riformulata disposizione inquadra nell’ambito del concorso
necessario (trasformando la fattispecie in reato plurisoggettivo proprio).

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altre ipotesi sanzionate dall’ordinamento giuridico di corruzione elettorale,

Neppure in precedenza però – e ciò assume diretta rilevanza nel caso di
specie, in cui sono contestate condotte poste in essere in epoca antecedente
l’entrata in vigore della I. n. 62 del 2014 – si dubitava potesse (eventualmente)
concorrere nel delitto di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all’art. 416-ter
cod. pen., e fosse sanzionato ex art. 110 cod. pen., il soggetto che in cambio
della erogazione di denaro o di ogni altro bene traducibile in un valore di scambio
immediatamente qualificabile in termini economici, promettesse ad un candidato,
in occasione di consultazioni elettorali, di procurare voti in suo favore, attraverso

delinquere di stampo mafioso e della derivante condizione di assoggettamento e
di omertà (Sez. 5, n. 23005 del 22/01/2013, Alagna, Rv. 255502). Sicché, anche
da questo punto di vista, la riforma legislativa non ha di fatto esteso la portata
materiale dell’incriminazione.
E – se da una parte non può escludersi, dal lato del candidato, che il patto
elettorale politico-mafioso, risolvendosi in un contributo al mantenimento o al
rafforzamento dell’organizzazione, integri paradigmaticamente la fattispecie del
concorso esterno nel reato ex art. 416-bis cod. pen. (Sez. 6, n. 44667 del
12/05/2016, Camarda, Rv. 268680; Sez. 1, n. 8531 del 09/01/2013, Ferraro,
Rv. 254926; Sez. 5, n. 44466 del 17/07/2012, Plutino, Rv. 254059), destinato
allora ad assorbire l’altra figura (l’introduzione del reato ex art. 416-ter cod. pen.
dovendosi leggere come strumento di estensione della punibilità oltre il concorso
esterno, e cioè anche ai casi in cui il patto preso in considerazione resterebbe
altrimenti a tale titolo irrilevante irrilevante: Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005,
Mannino, Rv. 231677) – è certo che il medesimo scambio elettorale-mafioso
rientri nel novero dei reati posti in essere avvalendosi delle condizioni di cui
all’art. 416-bis cod. pen. (Sez. 6, n. 8654 del 11/02/2014, Costa, Rv. 259108), e
si dia pertanto, se a commetterlo è il partecipe all’associazione mafiosa,
l’ordinario concorso materiale di reati, eventualmente avvinti dal nesso della
continuazione (Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253; Sez. 1,
n. 8451 del 21/01/2009, Vitale, Rv. 243199; Sez. 1, n. 12639 del 28/03/2006,
Adamo, Rv. 234100).

4. E’ su queste premesse che può affermarsi come non giovi all’indagato, in
questo processo, confessarsi responsabile del reato di scambio politico-mafioso,
originariamente contestata sub C).
Tale impostazione difensiva non solo non è alternativa alla configurabilità del
reato associativo sub A), ma apporta elementi indiziari di spessore al fine di
corroborare la relativa imputazione provvisoria, una volta che risulti – come dal
giudice del riesame adeguatamente valorizzato e ritenuto, sulla base delle

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la forza di intimidazione del vincolo associativo tipico delle organizzazioni a

risultanze investigative, con motivazione logica e coerente, insindacabile in
questa sede – che Alesci non si sia inserito nel patto di scambio quale mero
intermediario ed abbia viceversa agito a stretto contatto, e dalla parte, del clan
mafioso Giugno, attivatosi nel territorio di Niscemi per procacciare voti al
candidato Attardi.
In questo contesto, l’effettiva «intraneità» di Alesci al sodalizio è stata dal
Tribunale ineccepibilmente tratta, sulla base di analitica rassegna del compendio
indiziario a disposizione, dall’azione sistematica da lui attuata nell’ambito della

condizionamento del voto in occasione di appuntamenti elettorali.
A fronte di ciò, il ricorso è essenzialmente incentrato sulla contestazione del
significato delle intercettazioni, il cui riesame – fuori dei casi di illogicità
manifeste, qui neppure prospettate – è notoriamente sottratto al sindacato di
questa Corte (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389); ed è
incentrato sull’alternativa ricostruzione dei rapporti tra Alesci e Giugno, fornita
dal primo nel suo interrogatorio, purtuttavia esaminata e motivatamente
disattesa dal Tribunale, con valutazione che, esente da profili di incoerenza o
contraddittorietà, è essa stessa incensurabile in questa sede.
Dal quadro di gravità indiziaria, dal Tribunale così validamente argomentato,
discende l’apprezzamento relativo alle esigenze cautelari, secondo un rapporto di
consequenzialità logica, dal ricorrente in sé neppure contrastato.

5. Seguono la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 30/01/2018

consorteria ed allo scopo di attuarne una delle finalità tipiche, ossia il

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