Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17453 del 06/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17453 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) AMATO ELIO N. IL 26/02/1972
avverso l’ordinanza n. 5447/2011 TR1B. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 02/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2 dicembre 2011, il Tribunale di Sorveglianza di Roma
ha respinto il reclamo proposto nell’interesse di Amato Elio avverso il decreto del
17 settembre 2010 del Ministro della Giustizia, con cui era stato applicato il
regime detentivo differenziato, ai sensi dell’art. 41-bis Ord. Pen., nei confronti
del predetto, detenuto in esecuzione della ordinanza di custodia cautelare del 30

tipo mafioso e per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e altro,
seguita da recente condanna in primo grado alla pena di anni diciotto di
reclusione con sentenza del 18 marzo 2011 del Tribunale di Napoli.
Ad avviso del Tribunale tale regime era giustificato da plurimi elementi,
emergenti dalle informative fornite dagli organi investigativi

e

giudiziari

competenti in materia di criminalità organizzata e dal contenuto dell’indicato
provvedimento coercitivo, confermato – quanto alla solidità dell’impianto
accusatorio – dalla emessa sentenza di primo grado:
a)

l’inserimento del reclamante nel clan camorristico Di Lauro e il suo

passaggio, nel momento della scissione, nelle fila del clan Amato – Pagano, il cui
capo era il fratello Amato Raffaele, con la progressiva assunzione di un ruolo di
maggior rilievo, confermato anche dal ruolo svolto nell’ambito del traffico di
stupefacenti per conto del clan;
b)

la perdurante operatività del gruppo criminale di appartenenza sul

territorio, evidenziata dalle indagini recenti culminate nella cattura di oltre
duecento appartenenti alle indicate organizzazioni camorristiche;
c) il ruolo attivo svolto all’interno del clan dal ricorrente, attestato dai
collaboratori di giustizia, confermato dalle intercettazioni, ed evidenziato dalla
efficiente rete di appoggi e di risorse di cui il medesimo aveva goduto nella sua
lunga e recente latitanza.
In base a tali elementi il Tribunale argomentava che era da ritenere concreto
il legame attuale dell’Amato con l’associazione criminale di appartenenza e
fondato il pericolo del mantenimento da parte dello stesso dei suoi rapporti con
la medesima anche durante lo stato di restrizione carceraria, se detenuto in
regime ordinario, senza che tale pericolosità potesse ritenersi esclusa dalle
dedotte ragioni di salute.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto dichiarazione d’impugnazione, per
mezzo del suo difensore, Amato Elio, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base
di unico motivo, con il quale ha dedotto violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41-bis
Ord.

Pen. e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
2

marzo 2009 del G.i.p. del Tribunale di Napoli per associazione per delinquere di

motivazione per la totale assenza dei presupposti legittimanti il disposto regime
penitenziario.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. L’ambito del sindacato devoluto a questa Corte con riguardo al regime
detentivo differenziato è segnato dal comma 2-sexies dell’art. 41-bis legge n.
354 del 1975, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte
d’appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua
comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per
violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre
che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla
mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei
quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice
di merito per ritenere giustificato il provvedimento adottato (tra le altre, Sez. U,
n. 25080 del 28/05/2003, dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611; Sez. 6,
n. 15107 del 17/12/2003, dep. 30/03/2004, Criaco e altro, Rv. 229305; Sez.
U, n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).
3. Nella specie, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha proceduto, con
corretta interpretazione ed esatta applicazione dei principi di diritto in materia,
alla verifica della sussistenza dei dati indicativi della capacità di collegamento del
ricorrente con la criminalità organizzata, evidenziando gli elementi sui quali ha
fondato la valutazione della pericolosità del medesimo e della legittimità e
fondatezza dell’applicazione della misura in oggetto.
Il Tribunale ha, al riguardo, congruamente motivato – con richiamo alle più
recenti informative degli organi preposti e con riferimento ai dati processuali sia in ordine alla perdurante operatività del sodalizio di appartenenza, tuttora
oggetto di indagini per gravi reati, sia con riferimento alla posizione rivestita dal
ricorrente in quel sodalizio e alla sua biografia penale, sia in relazione all’attualità
del pericolo di contatti del medesimo con esponenti della stessa consorteria.

3

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, condotta nel rispetto dei
principi di legge, come interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di
legittimità di questa Corte, nonché in conformità a logica argomentativa coerente
e lineare, si sottrae alle non fondate quanto generiche censure proposte dal
ricorrente, solo formalmente anche sulla base di assunte violazioni di legge, ma
sostanzialmente con riguardo a profili di merito o di motivazione non proponibili
in questa sede.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna

contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di curo 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il

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