Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17451 del 30/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17451 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’AMICO FRANCESCO nato il 18/03/1934 a SALEMI

avverso l’ordinanza del 15/06/2017 del TRIBUNALE SORVEGLIANZA di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

Data Udienza: 30/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Palermo
rigettava l’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave
infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2 cod. pen., e quella
subordinata di applicazione della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter,
comma 1-ter, Ord. pen., già avanzate dal detenuto Francesco D’Amico, ristretto
in istituto in espiazione della pena dell’ergastolo in relazione, tra l’altro, ai delitti

Nel provvedimento si dava atto del fatto che D’Amico è portatore di
patologie cardiovascolari importanti, la più rilevante delle quali è rappresentata
dalla dilatazione aortica, associata a cardiopatia ischemica ipertensiva, in
soggetto già colpito da infarto e già trattato con angioplastica e stent metallici;
patologie in ordine alle quali il detenuto, nelle more della decisione, era stato
trasferito nel centro clinico penitenziario di Parma, adeguato a fronteggiare
emergenze cardiologiche. Si ricordava anche che D’Amico aveva usufruito, tra il
marzo 2015 ed il marzo 2017, di un periodo di detenzione domiciliare (ai sensi
del comma

1-ter dell’art.

47-ter,

Ord. pen.), allo scopo di sottoporsi ad

intervento chirurgico all’aorta, poi non eseguito per l’eccessiva rischiosità; indi il
rientro in carcere del paziente, disposto dal Tribunale di sorveglianza allora
competente (che si dice essere quello di Potenza). Si esponeva, infine, che
quest’ultimo, prima di provvedere in tal senso, aveva fatto eseguire perizia, che
aveva evidenziato la sostanziale stabilità clinica del condannato dal punto di vista
della morfologia aortica e l’assenza di rilevanti patologie concorrenti; secondo il
perito, il pericolo di rottura dell’arteria non si legava a fattori ambientali ma era
imprevedibile (siccome anche nella specie incrementato dalla ridotta funzionalità
cardiaca e dall’età del paziente, nato nel 1934) ed andava solo prevenuto, e a ciò
era perfettamente funzionale l’assegnazione ad un centro clinico attrezzato,
come quello penitenziario di Parma, che consentisse di cogliere gli eventuali
primi segnali premonitori, in modo che potessero attuarsi tutte le manovre volte
a scongiurare il decesso.
Ciò premesso, il giudice a quo prendeva in esame la consulenza medica
prodotta dalla difesa a sostegno della rinnovata istanza ex art. 147 cod. pen.,
rilevando che essa era la medesima già valutata dal precedente Tribunale di
sorveglianza, nonché la più recente relazione del centro clinico di Parma. Questa
evidenziava, dal lato cardio-vascolare, la condizione pressoché stazionaria della
estesa lesione aneurismatica aortica (con necessità di controlli assidui, ma senza
indicazione chirurgica) ed il buon controllo della patologia ischemica; mentre, dal
lato della valutazione psicologica e psichiatrica, emergeva una personalità ben

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di associazione per delinquere di stampo mafioso e di omicidio.

strutturata, affetta da lieve stato ansioso-depressivo (legato non alla malattia
ma alla lontananza dalla famiglia), non bisognoso di trattamento psicofarmacolog ico.
Il Tribunale concludeva per la compatibilità delle pur gravi condizioni di
salute col regime detentivo, sia sotto il profilo medico-assistenziale, per il fatto
che il rischio di morte improvvisa era difficilmente fronteggiabile n qualsiasi
contesto ambientale (ed in un centro clinico meglio che altrove), sia sotto il

2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite il difensore di fiducia,
mediante unico articolato motivo, che denuncia – in relazione all’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – l’inosservanza ed erronea applicazione
degli artt. 146 e 147 cod. pen., e 47-ter Ord. pen., nonché il vizio di motivazione
Secondo il ricorrente sarebbe illogica e contraddittoria l’ordinanza
impugnata, che da un lato riconoscerebbe l’aumento del rischio di morte del
condannato e dall’altro riterrebbe la bontà del suo stato di salute. Come illogica
andrebbe definita, a monte, la decisione del precedente Tribunale di sorveglianza
(che si dice essere quello di Catanzaro), che aveva fatto ricondurre in carcere
D’Amico sulla base di una perizia intimamente incoerente, constatando essa
l’impossibilità di eseguire l’intervento chirurgico per il grave rischio di esito
infausto, la gravità della malattia e l’età avanzata, e ritenendo nel contempo il
buono stato di salute e la compatibilità con il regime carcerario.
Illogica e contraddittoria sarebbe, ancora, l’ordinanza impugnata, nella parte
che nega l’ingresso ad ulteriore perizia, sul presupposto della mancanza di novità
cliniche documentate. Alla base di quest’ultimo rilievo ci sarebbe infatti un
travisamento, perché la consulenza di parte depositata nel procedimento era in
realtà posteriore alla decisione precedentemente assunta.
Tanto osservato, il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità sulla
necessità di contemperare, in subiecta materia, la certezza della pena con la
finalità rieducativa di essa ed il diritto alla salute, e censura l’esito
insoddisfacente di tale bilanciamento nel caso concreto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

2. Secondo consolidati principi, ripetutamente affermati da questa Corte, ai
fini del differimento facoltativo della pena detentiva, di cui all’art. 147, primo
comma, n. 2), cod. pen., è necessario che la malattia da cui è affetto il

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profilo umanitario, in base agli esiti dell’osservazione psicologica.

condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare
rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non
si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito
operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere
adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (Sez. 1, n. 789
del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406; Sez. 1, n. 972 del
14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674).
Al contempo la giurisprudenza di legittimità parimenti ammonisce che,

apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira
la norma contenuta nell’art. 27 Cost. (Sez. 1, n. 17947 del 30/03/2004,
Vastante, Rv. 228289), dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o
scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di
una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria
(Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Aquino, Rv. 244132). Né è dubitabile che,
anche in tale evenienza, il giudice di sorveglianza competente sia chiamato ad un
attento e saggio bilanciamento, idoneo a contemperare nel modo migliore gli
elevati valori in gioco.

3. A tanto l’ordinanza impugnata si è invece sottratta.
L’esecuzione in atto si svolge nei confronti di persona – condannata
certamente per delitti molto gravi – che ha superato gli ottant’anni di età e che
presenta una malformazione aortica che lo espone a rischio di morte improvvisa.
Anche assumendo come esatto il presupposto che tale rischio sia di fondo
insensibile allo stato detentivo in sé considerato, che si dice ben sopportato, ed
ancorché il centro clinico penitenziario offra un adeguato monitoraggio della
patologia, ed adeguate possibilità d’intervento, si pone, in base ai principi di cui
sopra, un ineludibile problema di dignità ed umanità della pena, e di
salvaguardia, in proiezione futura, del suo significato rieducativo.
Deve allora entrare in gioco quel necessario contemperamento tra i profili
appena richiamati e la tutela della collettività, che è viceversa mancato.
Nessun apprezzamento è infatti in ordinanza contenuto in ordine alla
pericolosità sociale attuale del detenuto, pur ristretto da oltre venti anni e pur
già assoggettato, in epoca recente e per periodo prolungato, alla misura della
detenzione domiciliare sanitaria, senza segnalati rilievi.
Viziata sotto tale aspetto, l’ordinanza stessa deve essere pertanto annullata,
con rinvio per nuovo esame al giudice che l’ha pronunciata, il quale approfondirà
il punto pretermesso e valuterà in concreto l’esistenza di indici di pericolosità che
possano precludere – ai sensi dell’art. 147, ultimo comma, cod. pen. – anche la

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rispetto al differimento, debbano rilevare anche patologie di entità tale da far

sola ammissione a forme di espiazione in sé più consentanee alla peculiare
situazione detentiva ed umana del condannato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
sorveglianza di Palermo.

Così deciso il 30/01/2018

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