Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17450 del 30/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17450 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IARIA GIOVANNI ANTONIO nato il 07/09/1962 a MELITO DI PORTO SALVO

avverso l’ordinanza del 22/06/2017 del TRIBUNALE SORVEGLIANZA di
CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale ANTONIETTA PICARDI, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il
ricorso.

Data Udienza: 30/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro
rigettava l’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave
infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2 cod. pen., e quella
subordinata di applicazione della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter,
comma 1-ter, Ord. pen., già avanzate dal detenuto Giovanni Paolo lana, ristretto
in istituto in espiazione della pena di ventisette anni di reclusione (scadente il 7

Nel provvedimento era richiamata recente relazione sanitaria, che rifletteva
accertamenti diagnostici eseguiti nel maggio 2017 e delineava un quadro multipatologico (sindrome ansioso-depressiva, autolesionismo, sindrome
asmatiforme, gastrite cronica, emorroidi, sinusite cronica, cervico-dorsalgie
ricorrenti, riferite difficoltà respiratorie per ipostenia arti inferiori, strabismo), su
base però prevalentemente psichiatrica, per cui era in atto monitoraggio
specialistico; il paziente era anche in attesa di ripetere l’osservazione ai sensi
dell’art. 112 reg. Ord. pen..
Su tali presupposti veniva dal Tribunale esclusa, anche per l’assenza di
significative ricadute della patologia psichiatrica sul piano fisico, l’incompatibilità
con lo stato detentivo.

2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite il difensore di fiducia,
articolando due motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen. – la violazione degli artt. 13, quarto comma, 27, terzo comma, e
32 Cost., 3 CEDU, 147 cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen.
In esso il ricorrente richiama, anzitutto, la giurisprudenza di legittimità
formatasi in ordine al meno rigoroso presupposto richiesto, per l’ammissione al
regime di detenzione domiciliare «sanitaria», dall’art. 47-ter, comma 1, lett. c),
Ord. pen., che, differentemente dall’istituto regolato dall’art. 147 cod. pen., non
richiede né prognosi infausta né disumana sofferenza, ma solo la necessità di
costanti contatti con i presidi sanitari territoriali.
Il motivo, poi, addebita all’ordinanza impugnata l’incompleta ricognizione del
quadro nosografico del detenuto (sarebbe stata presa in esame solo l’ultima
relazione sanitaria, e non l’intera «storia» clinica del malato e la copiosa
documentazione medica, anche pregressa) e la sua conseguente
sottovalutazione (la patologia, originariamente sorta in una dimensione quasi
solo psichiatrica, si sarebbe nel tempo evoluta, anche per l’inidoneità delle cure
solo farmacologiche prestate in istituto, sino a compromettere la salute e

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gennaio 2036) in relazione, tra l’altro, al delitto di omicidio ai danni della moglie.

l’integrità fisica di lana, come sarebbe certificato anche da perizie svolte nei
processi di cognizione).
Sarebbe quindi infondata l’affermazione del Tribunale, per cui il problema
sarebbe confinato nella sfera psichica, senza ripercussioni sulla salute fisica e
sulla prognosi di vita; aspetti questi ultimi in ogni caso compromessi da
concomitanti infermità di natura organica, avendo lana da ultimo perso la
capacità di deambulare per ipostenia agli arti inferiori (ed essendo comparso
all’udienza di sorveglianza in sedia a rotelle).

misconosciuto la gravità della situazione, e per altro verso, pur in certo modo
comunque riflettendola, non l’avrebbe adeguatamente valorizzata ai fini
dell’adozione dei provvedimenti di competenza.
2.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. – l’assenza di valida e concreta motivazione a sostegno della
decisione reiettiva.
Il Tribunale di sorveglianza non avrebbe adeguatamente ponderato la
copiosa produzione documentale della difesa, ed avrebbe tralasciato, senza
fornirvi adeguata risposta, le argomentazioni difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso, tra loro strettamente connessi e congiuntamente
esaminabili, sono infondati.

2. Secondo consolidati principi, ripetutamente affermati da questa Corte, ai
fini del differimento facoltativo della pena detentiva, di cui all’art. 147, primo
comma, n. 2), cod. pen., è necessario che la malattia da cui è affetto il
condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare
rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non
si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito
operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere
adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (Sez. 1, n. 789
del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406; Sez. 1, n. 972 del
14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674).
Al contempo la giurisprudenza di legittimità rileva che, rispetto al
differimento, debbano considerarsi anche patologie di entità tale da far apparire
l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma
contenuta nell’art. 27 Cost. (Sez. 1, n. 17947 del 30/03/2004, Vastante, Rv.
228289), dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico

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In conclusione, il Tribunale di sorveglianza avrebbe per un verso

capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di
dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria (Sez. 1, n.
22373 del 08/05/2009, Aquino, Rv. 244132).
E la patologia psichica, parimenti si insegna, può costituire essa stessa
causa di differimento della esecuzione della pena, quando sia di tale gravità da
produrre una infermità fisica non fronteggiabile in ambiente carcerario o da
rendere l’espiazione della pena contraria, per le eccessive sofferenze, al senso di

3. L’ordinanza impugnata non si è discostata da questi princip , di cui ha
fatto coerente applicazione al caso di specie.
Essa correttamente ha preso le mosse dal quadro sanitario offerto dalla più
recente relazione sanitaria e lo ha fedelmente riassunto, facendo risaltare
l’assenza dei presupposti di legge.
Non risulta infatti, su tale base, che l’espiazione della pena in atto contrasti,
allo stato, con il diritto alla salute o con il senso di umanità costituzionalmente
garantiti, in quanto non si evidenziano malattie organiche gravi (neppure
collegate a turbe psichiatriche), tali cioè da porre in pericolo la vita, o da
provocare altri rilevanti conseguenze dannose, anche sul piano della dignità
umana, così da privare la pena di significato rieducativo; e cure e trattamenti
sono indicati come praticabili in regime di detenzione intramurale, ricorrendo al
bisogno a visite e ricoveri ex art. 11 Ord. pen.
L’ordinanza dunque correttamente motiva, facendo riferimento alle necessità
di tutela del diritto alla salute, e al divieto di trattamenti contrari al senso di
umanità, e combina tali appropriati richiami alla riscontrata insussistenza,
ineccepibilmente argomentata, di un quadro patologico allarmante sotto i profili
considerati. Per contro ìnconferente appare l’invocazione, in ricorso, dei
presupposti per la concessione della detenzione domiciliare «sanitaria», ex art.
47-ter, comma 1, lett. c), Ord. pen, inapplicabile quoad poenam e del resto mai
invocata in un procedimento che ha propriamente ad oggetto il differimento
dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica (e l’applicazione della
detenzione domiciliare, vicaria del differimento e che ne mutua i presupposti, di
cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, dello stesso testo legislativo)

4. Seguono la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

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umanità (da ultimo, Sez. 1, n. 35826 del 11/05/2016, Di Silvio, Rv. 268004).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 30/01/2018

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