Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17441 del 04/04/2018

Penale Sent. Sez. 4 Num. 17441 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
YY

avverso l’ordinanza del 30/01/2018 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;
CM/sentite le conclusioni del PG PAOLA FILIPPI

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.

Udite:Affamare

Data Udienza: 04/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1. YY, a mezzo del difensore di fiducia avv.
Massimo Asdrubali,

ha proposto ricorso per la cassazione dell’ordinanza n.

49/18 RG TRD, pronunciata il 30.1.12018 dal Tribunale di Milano, sezione per il
riesame, con la quale è stata rigettata l’istanza di riesame dell’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 16.1.2018 dal Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria in relazione alla

altro soggetto, e ricorrenti le esigenze cautelari individuate dal primo giudice, in
particolare condividendo il giudizio di inadeguatezza di misure meno afflittive.

2. Il ricorrente si è doluto dell’erronea applicazione dell’art. 73, co. 1 e 4
T.U. Stup. asserendo che il Tribunale ha ritenuto i gravi indizi sulla scorta della
mera detenzione dello stupefacente, senza considerare che 250 grammi di
stupefacente (insieme allo XX è stato tratto in arresto BB, per il
quale è stata emessa l’ordinanza n. 48/18) possono essere destinati all’uso
personale e che nella specie manca qualsivoglia elemento di riscontro della
destinazione a terzi, quali bilancini, sostanze da taglio, sacchettini nella
disponibilità dei prevenuti.
Egli ha poi titolato alla mancata assunzione di una prova decisiva un
ulteriore rilievo, concretizzato tuttavia nella segnalazione di un difetto di
motivazione ancora in relazione al giudizio in merito alla destinazione dello
stupefacente.
Vizio di motivazione che viene ulteriormente espresso, contestando la
valutazione dei fatti operata dal Tribunale quanto al significato del ritiro della
droga a Legnano per soggetti residenti a Milano, quale è l’odierno ricorrente, del
possesso di 165 euro rinvenuti ai due giovani, del ricorso quale mezzo di
trasporto ad un’auto noleggiata, dell’affidamento di un significativo quantitativo
di droga sul piano dei contatti con ambienti del narcotraffico.
Infine, viene censurata come illogica la negazione della detenzione
domiciliare nonostante la disponibilità dei genitori ad ospitarlo, l’esito negativo
della perquisizione domiciliare, lo stato di incensuratezza dell’odierno ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
3.1. Il primo motivo evoca la violazione della legge penale sostanziale; in
realtà dall’argomentazione non emerge una censura coerente alla titolazione. La
denuncia di una violazione di legge presuppone la condivisione della
ricostruzione fattuale operata dal giudice; su tale premessa la contestazione

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illecita detenzione di circa 500 grammi di marijuana, commessa in concorso con

attiene alla sussunzione del fatto nella norma incriminatrice (per fare l’esempio
più semplice e lineare). Nel caso che occupa, invece, l’esponente asserisce che il
Tribunale ha erroneamente applicato l’art. 73 T.U. Stup. perché ha ritenuto
sufficiente la mera detenzione dello stupefacente, in assenza di prova della
illiceità di tale detenzione. Ma l’assunto del ricorrente è errato: il giudice della
cautela ha ritenuto che sussiste nel caso di specie la gravità indiziaria a riguardo
di una detenzione di sostanza stupefacente destinata alla illecita cessione a terzi;
non vi è quindi erronea applicazione della norma penale sostanziale. La

Tribunale per rendere esplicito il percorso logico-giuridico all’esito del quale ha
ritenuto di condividere le valutazioni del primo giudice.
3.2. Orbene, e venendo pertanto al terzo motivo (il secondo presenta un
titolo in nessun modo coerente al passo che lo segue; lo si considererà parte
integrante della denuncia del vizio motivazionale in merito al giudizio di gravità
indiziaria), in via di premessa appare opportuno ribadire che la costante
giurisprudenza di questa Corte, in caso di ricorso per cassazione avverso un
provvedimento di riesame in tema di misure cautelari personali, insegna che
allorché sia denunciato vizio di motivazione, le doglianze attinenti alla
sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (o delle esigenze cautelari)
possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’articolo 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen., se cioè integrano il vizio di mancanza o
manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della
Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi.
Inoltre, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in
ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato
dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo del
provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza
e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n. 56 del
07/12/2011 – dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761). Tale motivazione è
censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a
rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva
di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare
incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez.
6, n. 49153 del 12/11/2015 – dep. 11/12/2015, Mascolo e altro, Rv. 265244).
Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di
legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento
probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una
diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle

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contestazione mossa dal ricorrente attiene in realtà alla motivazione resa dal

tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (Sez. 7, n.
12406 del 19/02/2015 – dep. 24/03/2015, Micciche’, Rv. 262948).
3.2. Nel caso che occupa il (provvisorio) giudizio in ordine alla destinazione
dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità dello YY e del BB è stato
dal Tribunale adeguatamente giustificato.
Il collegio distrettuale ha posto in luce una pluralità di elementi fattuali che,
in forza di massime di esperienza e non di mere congetture, sono stati ritenuti
fortemente indizianti un uso non esclusivamente personale dello stupefacente: il

(540 grammi lordi); la sua detenzione in un’unica busta (a dimostrazione di una
disponibilità dell’intero quantitativo da parte di ciascuno dei due giovani); le
contraddizioni nelle versioni rese rispettivamente dallo YY. e dal BB..; il
ricorso ad auto noleggiata per gli spostamenti da Milano a Legnano e il trasporto
dello stupefacente.
Con il ricorso si contesta la valutazione che di siffatti elementi è stata fatta
dai giudici; si assume che non vi è nulla di anomalo nel fare uso di un veicolo
con conducente, tanto più che i due giovani sono sprovvisti di patente di guida e
che l’uno abita a Milano e l’altro a Biella; che la somma di 165 euro doveva
servire a pagare il tassista e a pagare i pasti.
Siffatta contestazione non coglie vizi riconducibili alle previsioni dell’art. 606
cod. proc. pen. e, piuttosto, tende ad accreditare come maggiormente
persuasiva la ricostruzione difensiva.
In conclusione, il motivo è inammissibile.
3.3. Non altrettanto deve dirsi delle censure che si indirizzano alla
motivazione resa dal Tribunale a riguardo della inadeguatezza di una misura
meno afflittiva della custodia in carcere (il ricorso non tocca il tema della
sussistenza delle esigenze cautelari).
In linea generale deve osservarsi, quanto alla motivazione sull’adeguatezza
della misura applicata, che è richiesto al giudice di indicare soltanto gli elementi
specifici che, nel caso concreto, fanno ragionevolmente ritenere che quella
applicata sia la misura più idonea a soddisfare le ravvisate esigenze cautelari.
Non è necessaria l’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono
inadeguata ogni altra misura, essendo invece sufficiente l’indicazione, da parte
del giudice, con argomenti logico- giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di
commissione dei reati, nonché dalla personalità dell’indagato, degli elementi
specifici che inducono ragionevolmente a ritenere detta custodia quale misura
più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa,
rimanendo così assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre

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dato ponderale, di tale entità da risultare incompatibile con il consumo personale

misure coercitive (Sez. 5, n. 51260 del 04/07/2014, dep. 10/12/2014, Calcagno,
Rv. 261723).
Peraltro, l’onere motivazionale è stato ulteriormente precisato dalle Sezioni
Unite. Queste, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto a
riguardo degli effetti sul piano cautelare della indisponibilità del braccialetto
elettronico, ha statuito che “Il giudice, investito di una richiesta di applicazione
della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c. d. ‘braccialetto elettronico’
o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, escluso ogni

l’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini
dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità,
adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze
caute/ari da soddisfare nel caso concreto”

(Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016,

dep. 19/05/2016, Lovisi, Rv. 266651).
3.4.

Nel caso in esame il Tribunale ha reso una motivazione

manifestamente illogica, poiché risulta mancante il necessario nesso di
consequenzialità logica tra le premesse fattuali assunte e le conclusioni alle quali
perviene.
Il Tribunale afferma che il prevenuto “appare verosimilmente inserito in
ambienti dediti al narcotraffico, atteso che non si affidano simili quantitativi di
stupefacente se non a soggetti che abbiano dato sul campo già buona prova di
sé e che siano ritenuti degni della massima fiducia”. Una simile affermazione ben
si attaglia al custode e al corriere dello stupefacente, ma non a chi se ne sia fatto
acquirente. Eppure in nessun passo il Tribunale asserisce che lo YY ed il
LL ebbero tali ruoli e in alcun modo si spiega in forza di quali elementi sia
superata l’affermazione dell’indagato di aver acquistato lo stupefacente.
Il Tribunale asserisce che la professionalità criminale è dimostrata dall’uso di
autovettura con conducente; ma in alcun passo esplicita che l’indagato aveva la
disponibilità di propri mezzi di trasporto e che quindi quella poteva essere
fondatamente ritenuta scelta funzionale alla perpetrazione del reato e al suo
migliore occultamento.
Il collegio territoriale menziona l’esistenza di precedenti dattiloscopici
dell’indagato – per invasione di edifici, per violazione delle norme
sull’immigrazione, per percosse e, infine, per detenzione illecita di sostanze
stupefacenti – senza dare indicazione alcuna sui concreti tratti dei fatti in
questione, in particolare per l’ultimo di essi; così traendo conclusioni arbitrarie.
Afferma del tutto apoditticamente, parlando di mancata resipiscenza in una fase
nella quale vi è solo una provvisoria ricostruzione dei fatti, sia pure
particolarmente qualificata sul piano probabilistico (e l’indagato aveva fornito

automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato

una propria versione), che “è altamente probabile, …, che l’occasione per tornare
a delinquere si ripresenterà nell’immediato e che l’indagato non esiterà a
coglierla, non avendo mai interrotto i rapporti con gli ambienti criminali che ne
hanno caratterizzato il passato”.
Con specifico riferimento alla idoneità degli arresti domiciliari, in relazione a
soggetto incensurato, esprime una valutazione ancora una volta incongrua
rispetto alle premesse: asserisce che l’indagato, posto agli arresti domiciliari si
troverebbe nuovamente immesso nell’ambiente in cui è maturato il delitto,

Busto Arsizio e il luogo degli arresti domiciliarí fosse stato indicato in Milano; che
l’indagato avrebbe potuto evadere (“in caso di evasione …”), senza menzionare
la premesse fattuali che rendono concretamente probabile tale eventualità; che
l’indagato non ha la capacità e volontà di ottemperare i limiti e le prescrizioni
(eventualmente) impostegli, e ciò per la scarsa affidabilità mostrata con
l’assenza di resipiscenza (e valga quindi quanto sopra esposto al riguardo).
Risulta palese, in conclusione, che avendo il Tribunale definito attraverso un
errato percorso logico l’intensità delle esigenze cautelari anche il giudizio di
adeguatezza della sola custodia in carcere appare privo di logica giustificazione;
peraltro esso è sostenuto da una serie ulteriore di affermazioni scisse dalle
premesse fattuali fissate dal Tribunale medesimo.

4. Ne consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza, limitatamente alla
statuizione concernente la misura adeguata a soddisfare le esigenze cautelari;
annullamento che deve essere disposto con rinvio al Tribunale di Milano, per
nuovo esame.
Va disposto, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla scelta della misura cautelare e
rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4/4/2018.
Il Consigie estensore
Salvato

overe

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

nonostante il fatto venga descritto come commesso nel territorio del Tribunale di

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