Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17438 del 06/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17438 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) GRASSO ROSARIO N. IL 24/07/1952
avverso il decreto n. 90/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
18/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO
0)&41. Con decreto del 48 mem 2011, la Corte d’appello di Catania ha rigettato
il ricorso proposto da Grasso Rosario, volto alla revoca del decreto del 16 maggio
2011 del Tribunale di Catania, che aveva applicato nei suoi confronti la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di
soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni uno e mesi sei, rilevando

soggettivi e oggettivi della disposta misura e per essere il giudizio di pericolosità
sociale attuale e tale da giustificarne il mantenimento, unitamente all’imposto
obbligo di soggiorno, nella sua intera durata.
2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione personalmente
Grasso Rosario, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo con il
quale denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,
erronea applicazione della legge n. 1423 del 1956 e carenza assoluta di
motivazione ex art. 125, comma 3, cod. proc. pen., desumibile dal testo del
decreto impugnato, con riferimento alla ritenuta attualità della pericolosità
sociale.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Occorre premettere che l’art. 4, comma 11, legge 27 dicembre 1956, n.
1423, recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per
la sicurezza [e per la pubblica moralite, limita alla sola violazione di legge il
ricorso contro il decreto della corte d’appello in materia di misure di prevenzione.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, confortato anche da
intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 321 del 2004), in tema di
misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità
della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ma
solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo
di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dall’art. 4,
comma 10, legge n. 1423 del 1956. Alla mancanza di motivazione è, peraltro,
equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulta del tutto priva dei requisiti
minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da essere meramente
apparente, o è assolutamente inidonea a rendere comprensibile

l’iter logico

l’infondatezza delle doglianze di merito per essere sussistenti i presupposti

seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003,
dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007,
dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010,
dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514).
3. Tanto premesso in ordine all’ambito del controllo riservato a questa
Corte, si osserva che, nel caso di specie, benché nella enunciazione dei motivi di
ricorso la difesa abbia fatto riferimento anche al vizio di violazione di legge, le
censure mosse attengono alla sola congruenza logica del, non condiviso,
della pericolosità, richiesti con carattere di attualità per l’applicazione della
misura di prevenzione applicata.
In relazione a questo profilo, tuttavia, la Corte ha coerentemente condiviso
le valutazioni svolte dal Tribunale, che aveva compiutamente argomentato con
riguardo agli elementi sintomatici della pericolosità sociale del proposto e della
sua attualità, e ha dato alle deduzioni difensive prospettate nel gravame
adeguate risposte, esaustive in fatto, per la loro coerenza interna e per la loro
logica congruenza ai dati riferiti, e corrette in diritto, per l’esatta interpretazione
delle norme applicate.
Il ricorrente tende, invece, a provocare, esprimendo un diffuso dissenso di
merito rispetto alle risposte ricevute e opponendo la sua analisi degli aspetti
attinenti alle circostanze fattuali, una nuova lettura dei dati acquisiti che si
traduce nel sostanziale riesame nel merito, invasivo del campo della valutazione
discrezionale ragionevolmente espressa, non consentito in sede di legittimità.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ragionamento seguito dalla Corte d’appello nella valutazione del presupposto

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