Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17421 del 21/02/2018
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17421 Anno 2018
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AA
avverso l’ordinanza del 18/12/2017 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;
liree/sentite le conclusioni del PG CIRO ANGELILLIS
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore
Il difensore presente avvocato FRANCO MARCO del foro di ROMA in difesa di
AA si riporta ai motivi. li codifensore presente avvocato
STELLA ANTONELLO del foro di ROMA si associa.
Data Udienza: 21/02/2018
1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa in datal8/12/2017, non
accoglieva l’appello proposto nell’interesse di AA, avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Napoli di rigetto della sostituzione
della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti
domiciliari, per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, nella forma
tentata.
Al ricorrente era stata applicata la misura della custodia in carcere in
seguito ad aggravamento disposto dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, ai
sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen. a causa di reiterate
trasgressioni della misura originariamente imposta, culminate in un
episodio di evasione, giudicato dal G.i.p. del Tribunale di Roma, che
applicava, con sentenza ex art. 444, cod. proc. pen., la pena di mesi sei
di reclusione, con riconoscimento del beneficio della sospensione
condizionale della pena.
Decidendo sull’appello dell’imputato, il Tribunale di Napoli, con la
richiamata ordinanza, confermava la decisione di rigetto impugnata,
affermando: che erano ancora attuali le esigenze cautelari; che nessun
fatto nuovo, significativo era intervenuto nei tempo idoneo a consentire
una rivalutazione delle esigenze cautelari; che non poteva essere
considerato elemento nuovo, tale da giustificare un affievolimento delle
esigenze cautelari, l’asserita minusvalenza attribuita dal G.i.p. alla
condotta di evasione posta in essere dall’imputato; che tale episodio
consentiva di ritenere il AA persona insofferente al rispetto delle
prescrizioni imposte ed incline a delinquere.
2. Avverso la ordinanza proponeva ricorso il AA a mezzo del
difensore, deducendo, nell’unico motivo di ricorso, le seguenti ragioni dì
doglianza.
Violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e)/ cod. proc. pen.; violazione degli artt. 310, 299, 276 e 125,
comma 3, cod. proc. pen.; motivazione apparente ed erronea.
Secondo la prospettazione difensiva, l’ordinanza impugnata sarebbe
illegittima. Erano stati prospettati elementi di novità ai giudici
dell’impugnazione che non erano stati adeguatamente valutati.
Tali elementi erano rappresentati dal disvalore poco significativo che era
stato attribuito all’episodio della evasione, dal giudice innanzi al quale si
era concluso con patteggiamento il suddetto procedimento.
Il Tribunale di Napoli non avrebbe tenuto conto della nuova formulazione
dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., in base al quale, in caso di
evasione si procede ad aggravamento della misura, salvo il caso della
lieve entità.
Si deduceva inoltre, il vizio di omessa motivazione con riferimento agli
artt. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen. e 299, cod. proc. pen.
Rilevava la difesa i che la questione devoluta alla Corte d’appello ed al
Tribunale in sede di impugnazione, implicava una revisione dell’episodio
della evasione, alla luce dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., al
fine di verificare se l’applicazione della suddetta norma fosse avvenuta
correttamente e, in caso contrario, potere risolvere l’errore facendo uso
degli strumenti predisposti dall’art. 299, cod. proc. pen.
I giudici, secondo la prospettazione difensiva, si erano sottratti all’obbligo
motivazionale che deve sorreggere i provvedimenti restrittivi, non
ottemperando alla regola che impone di verificare costantemente
l’attualità delle esigenze cautelari. Il Tribunale, inoltre, avrebbe omesso di
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RITENUTO IN FATTO
pronunciarsi sulla questione riguardante le condizioni di salute
dell’imputato, tutt’altro che rassicuranti.
1. Il ricorso va rigettato per infondatezza dei motivi proposti.
2. La difesa, nella sostanza, si duole della inadeguata valutazione, da
parte dei giudici dell’impugnazione, degli aspetti concernenti la clausola di
salvezza contenuta nell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore, ha dato
conto in maniera sufficientemente precisa e congrua delle ragioni fondanti
il provvedimento di rigetto dell’appello, affermando che: nessun elemento
di novità era stato addotto dalla difesa idoneo a consentire un giudizio di
attenuazione delle esigenze cautelari; la recente condanna per il reato di
evasione era indicativa, nella persona del ricorrente, della insofferenza al
rispetto delle prescrizioni e della sua inclinazione a delinquere; la
minusvalenza attribuita alla condotta di evasione era un elemento di
carattere assertivo, introdotto dalla difesa sulla base di una
interpretazione che non trovava riscontro nella sentenza.
3. In punto di diritto, va osservato che i principi invocati dal ricorrente
come linee guida della valutazione delle esigenze cautelari sono applicabili
al provvedimento genetico, non certo alla situazione prevista dall’art.
276, cod. proc. pen., che definisce un sistema autonomo di interventi
sanzionatori in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una
misura cautelare già applicata.
Con riferimento al caso della evasione, la parte più cospicua della
giurisprudenza di legittimita r è nel senso di stabilire che il giudice debba
sostituire, ipso facto, la misura degli arresti domiciliari con la custodia in
carcere in caso di allontanamento dagli arresti domiciliari.
Tale orientamento prevalente, frutto di un arresto giurisprudenziale
espresso in numerose pronunce, fa derivare dalla evasione un automatico
dovere di aggravamento della misura. Si è invero affermato che:«La
trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal
luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex art. 276,
comma primo ter, cod. proc. pen., la revoca obbligatoria degli arresti
domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza
che al giudice, una volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un
potere di rivalutazione delle esigenze cautelari» (così Sez. 5, n. 42017 del
22/09/2009, Rv. 245381).
Nella motivazione della sentenza da ultimo citata, si è precisato che:«una
simile affermazione, peraltro, non vale a contraddire la lettera della legge
che impone ai giudice di disporre l’aggravamento quando abbia verificato
una vera e propria “trasgressione”, mentre vale, piuttosto, a sottolineare
come sia onere del giudice verificare le caratteristiche strutturali della
condotta dell’indagato e la sua idoneità ad essere qualificata come
effettiva “trasgressione” nei termini di cui alla norma».
Pertanto, in ossequio all’orientamento citato, assolutamente prevalente,
l’allontanamento dagli arresti domiciliari ove configuri una ipotesi di
evasione, deve comportare il ripristino obbligatorio della custodia in
carcere (si veda da ultimo, in senso conforme Sez. 4, n. 32 del
21/11/2017, dep. 02/01/2018, Rv. 271690).
Anche a volere ammettere, secondo l’interpretazione minoritaria citata
dalla difesa, che il giudice debba offrire motivazione circa la “lieve entità”
dell’episodio, occorre rilevare come il Tribunale abbia evidenziato che non
poteva ritenersi di scarsa rilevanza l’avvenuta evasione, nell’ambito della
vicenda riguardante lo status cautelare del prevenuto, trattandosi di una
violazione indicativa di una personalità fortemente trasgressiva.
4. In ordine all’aspetto riguardante la rivalutazione delle esigenze
cautelari, nel provvedimento impugnato si è messo in rilievo che alcun
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CONSIDERATO IN DIRITTO
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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente
provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario
competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp.
att. del c.p.p.
In Roma, così deciso il 21 febbraio 2018
Il Consigliere estensore
Mariarosaria Bruno
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Il Presidente
Eníanuele Di Salo
elemento di novità è stato addotto dalla difesa. Il Tribunale ha sul punto
evidenziato che non costituiscono elementi idonei a consentire una
rivalutazione in melius delle esigenze cautelarì sottese alla misura
custodialf, né la lieve riduzione della condanna riportata dall’istante per il
reato per il quale era stata imposta la misura; né il decorso del tempo
dalla violazione alle prescrizioni imposte; né l’asserita minusvalenza
attribuita dal G.i.p. alla condotta di evasione.
In tal modo il Tribunale ha offerto una congrua e adeguata motivazione in
ordine alla perduranza della esigenze cautelari, in rapporto alle quali,
l’episodio di evasione, lungi dal costituire elemento dal quale si potevano
trarre segnali di affievolimento delle esigenze cautelari, costituiva sintomo
di particolare insofferenza rispetto agli obblighi connessi con la misura
autocustodiale.
Pertanto, del tutto correttamente, sul piano logico argomentativo, il
Tribunale ha rigettato la richiesta di appello avanzata dalla difesa.
5. Quanto alle condizioni di salute del prevenuto, la difesa non ha
dimostrato con adeguata allegazione di avere investito della questione la
Corte d’appello in prima istanza e di avere successivamente fatto oggetto
di appello tale aspetto, innanzi al Tribunale quale giudice
dell’impugnazione. Occorre all’uopo rilevare come il Tribunale, in sede di
appello, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., a differenza di quello del
riesame, per il quale si prescinde dal principio di stretta devoluzione, ha
cognizione circoscritta ai punti della decisione che hanno formato oggetto
di censura, secondo la regola generale di cui all’art. 597, comma primo,
cod. proc. pen.. L’appellante ha un onere di doglianza specifica cui fa
riscontro un obbligo specifico di decisione, con conseguente impossibilità
di andare “ultra petita”, al di fuori dell’ambito devoluto. (così Sez. 4, n.
2038 del 27/08/1996, Rv. 206294). Nel caso in esame, stante la carenza
di allegazione, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, non
è consentito a questa Corte di verificare che ciò sia avvenuto nei termini
appena precisati. Pertanto, anche tale motivo di doglianza deve essere
rigettato.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e la trasmissione di copia del presente
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario competente perché
provveda a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1 ter, disp. att. del c.p.p.