Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17419 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17419 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Galassi Marco nato a Cesenatico il 2.10.1964
Nei confronti di Ministero dell’Economia e delle Finanze

Avverso la ordinanza della Corte di Appello di Bologna
n.24/2015 RID in data 11.2.2016

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott.Ugo Bellini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore Generale Mariella De Masellis la quale
ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.

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Data Udienza: 01/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Bologna con ordinanza assunta in data
11.2.2016 rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione
avanzata dall’odierno ricorrente GALASSI Marco in ragione della detenzione
sofferta in carcere dal 7 al 23 Settembre 2010 in relazione a ipotesi di

falso e truffa, quale datore di lavoro di alcuni stranieri avviati, sulla base
della disciplina normativa sui flussi migratori, a prestare lavoro stagionale
nella propria azienda, imputazioni da cui era definitivamente assolto dal
Tribunale di Forlì con sentenza in data 8.7.2014.

2. La Corte di Appello di Bologna, adita per la riparazione, assumeva
che ricorreva la condizione impeditiva alla riparazione rappresentata dalla
colpa grave in quanto il ricorrente aveva dato causa alla detenzione
tenendo un comportamento dilatorio nelle pratiche amministrative, così da
determinare una apparente evidenza di volere approfittare di vantaggi
economici connessi all’avviamento al lavoro di alcuni lavoratori extra
comunitari, da destinare alla raccolta di frutti, senza peraltro dare effettiva
esecuzione alla richiesta lavorativa. Veniva in particolare valorizzata la sua
qualifica di datore di lavoro e l’autorizzazione fornita al fratello, GALASSI
Vinicio, di rendersi intestatario dei contratti di lavoro da realizzare con il
personale straniero, quale parte datoriale.

3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione,

a

mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, GALASSI
Marco proponendo plurime censure e denunciando in particolare violazione
di legge e manifesta illogicità della motivazione della ordinanza di rigetto
della richiesta riparatoria, atteso che in nessun modo il giudice di appello
aveva saputo indicare i profili di colpa ascrivibili al GALASSI ovvero a
evidenziare come la condotta di questi avesse innescato la serie causale
che aveva determinato la carcerazione.
3.1 Sotto diverso profilo il ricorrente si doleva di una provvedimento che,
pure dando atto che i fratelli GALASSI erano stati assolti dalle accuse
ascritte in quanto il ritardo nell’avviamento al lavoro dei lavoratori
extracomunitari sulla base del decreto flussi non era agli stessi imputabile,
aveva valorizzato una gravità indiziarla al momento della adozione della
cautela che tale non era nel diverso piano prognostico che disciplina il
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reato di concorso in attività di agevolazione dell’immigrazione clandestina

procedimento della riparazione, laddove la ripartizione delle attribuzioni tra
i due soci all’interno della compagine costituiva circostanza del tutto neutra
e inidonea ad isolare profili di colpa in capo al ricorrente, soprattutto
considerando che il soggetto delegato ad operare per l’avviamento al
lavoro degli stranieri, GALASSI Vinicio, non solo era stato assolto
dall’analoga imputazione in concorso ma risulta essere stato indennizzato
per la detenzione sofferta da altro collegio della medesima corte di appello.
3.2 Con una terza articolazione si doleva che il giudice della riparazione,

sugli elementi indicati nel provvedimento cautelare senza tenere conto
delle emergenze probatorie dibattimentali che avevano consentito di
escludere qualsiasi profilo di responsabilità in capo ai prevenuti.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero resistente tramite livvocatura
dello Stato concludendo per una pronuncia di inammissibilità del ricorso o,
in subordine, per il rigetto dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art.314 comma I c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non
aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o

non è

previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione

per la

custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi
causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta
causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione

l’avere

l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al
mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte,
cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria
al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal
giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto
questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004). In
proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che,
in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve
intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza
del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc.
pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con
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si era pronunciato sulla domanda riparatoria basandosi esclusivamente

una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i
cui esiti, valutati dal giudice del procedimento rìparatorìo con il parametro
dell’ “id quod plerumque accidít” secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della
comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del
13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637).

ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che,
pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti
o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione dì intervento dell’autorità giudiziaria che sì sostanzì
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008,
Maisano, rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice,

nell’accertare la

sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto
all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza
causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione
del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta
dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla
misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della
pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del
27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664).
4.

Ritiene la Corte che il giudice della riparazione non

abbia

correttamente applicato i principi sopra evidenziato incorrendo in ipotesi di
assoluta carenza motivazìonale in punto dì colpa ascrivibile al GALASSI nel
diverso piano prognostico che disciplina il giudizio riparatorio, il

quale

impone una valutazione volta a stabilire non già la ricorrenza di gravi indizi
di reità in capo al prevenuto, bensì se l’indagato abbia contribuito, con il
proprio comportamento processuale o extra processuale,

improntato a

trascuratezza o a grave imprudenza, a dare causa alla applicazione della
misura, determinando in sostanza un’apparenza di reità, che ha imposto
l’intervento dell’autorità in chiave prevenzionistica.

5. Un tale giudizio è totalmente mancato nel caso in specie essendosi il
giudice della riparazione limitato ad affermare che nel momento in cui è

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2. Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve

stata disposta ed eseguita la misura cautelare carceraria nei suoi confronti,
sussistevano i gravi indizi della sua colpevolezza rispetto al reato per cui è
stata disposta la restrizione carceraria, come evidenziato dal GIP e ribadito
dal Tribunale del riesame, valorizzando le dichiarazioni rese dai lavoratori
nel corso delle indagine.
Appare evidente la assoluta apparenza di una siffatta motivazione che
ritiene esaurito il compito del giudice nel mero richiamo, peraltro privo di

procedimento di riparazione della ingiusta detenzione non si risolve in una
riedizione del procedimento nei confronti dell’imputato, ormai esaurìtosì
con l’assoluzione del ricorrente, né presuppone una revisione critica degli
elementi indiziari sulla cui base la cautela é stata disposta e in ragione
della quale il ricorrente ha sofferto la detenzione, ma è diretto a
considerare l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella
“funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena,
con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà
considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a
darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché,
altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la

propria

funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base
dell’istituto (così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv.
257606).

6. In sostanza il giudice della riparazione ha affrontato solo uno dei
temi che la domanda indennitaria gli imponeva di esaminare, ma la mera
verifica dei presupposti per la emissione della cautela non esauriva l’esame
che gli era devoluto, costituendo semmai il mero punto di partenza,
dovendosi poi stabilire non già se la cautela fosse stata disposta
legittimamente ma se all’adozione della stessa avesse concorso un
comportamento doloso e colposo del GALASSI, di rilevo extraprocessuale
che avesse concorso a fondare la ipotesi accusatoria, ovvero una condotta
da questi resa all’interno del processo che avesse

corroborato la

prospettazione accusatoria giustificandone il mantenimento.
6.1 Una tale verifica è del tutto mancata e l’ulteriore circostanza addotta
dal giudice della riparazione a sostegno del rigetto della domanda
riparatoria, costituita dal fatto che il ricorrente aveva colposamente
delegato il fratello GALASSI Vinicio ad occuparsi delle pratiche
amministrative per consentire il trasferimento dei lavoratori
extracomunitari ìn territorio italiano, oltre ad essere assolutamente neutra
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specifiche indicazioni, al contenuto della misura cautelare, laddove il

in quanto espressione di una ripartizione dì attribuzioni coerente con la
struttura societaria da cui promanava la richiesta di forze lavoro, risulta
contrastare con le conclusioni assunte dalla stessa Corte di Appello di
Bologna che nel separato procedimento riparatorio promosso da GALASSI
Vinìcìo, nell’accogliere la richiesta indennitaria, riconosceva l’assoluta
mancanza di colpa di questi nella procedura amministrativa di avviamento
al lavoro dei dipendenti tramite i flussi migratori in oggetto, di fatto

7. In conclusione si impone l’annullamento della sentenza impugnata
con rinvio per nuovo esame al giudice della riparazione, il quale provvederà
altresì alla regolamentazione delle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna
per nuovo esame, alla quale demanda altresì la regolamentazione delle
spese tra le parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1 Febbraio 2018.

Il consigliere estensore
Ugo Bellini

eta~

Il presidente
Pat izia Piccialli,)

escludendo qualsiasi profilo di colpa anche a carico del socio delegante.

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