Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17418 del 31/01/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17418 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FUSILLO ERMANNO N. IL 01/05/1965
avverso l’ordinanza n. 10/2016 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
01/02/2017
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. UGO BELL1N.1 ;
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Data Udienza: 31/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Perugia con ordinanza assunta in data 1.2.2017
rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata
dall’odierno ricorrente Fusillo Ermanno in relazione alla detenzione sofferta
dapprima in carcere dal 15.12.1998 al 18.1.1999, poi agli arresti domiciliari
fino al 26.3.1999 in relazione a ipotesi di delitti (associazione per

assolto dalla Corte di Appello, previa derubricazione del reato di estorsione
in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulla
persona, in relazione al quale non era stata proposta querela.

2. La Corte di Appello di Bari, adita per la riparazione, assumeva che
ricorreva la condizione impeditiva alla riparazione della colpa grave in
quanto il ricorrente aveva tenuto un comportamento gravemente
imprudente accompagnandosi con altri soggetti in Narni, luogo distante
dalla propria residenza, determinando una situazione di apparenza del suo
coinvolgimento in illeciti traffici, peraltro confortata dal rinvenimento di una
arma priva del numero di matricola nell’autovettura in cui si era trovato in
qualità di passeggero.

3. Ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di
fiducia e procuratore speciale, FUSILLO Ermanno, denunciando la
manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza di rigetto della richiesta
riparatoria, atteso che in nessun modo il giudice di appello aveva saputo
indicare i profili di colpa ascrivibili al Fusillo il quale, in sede di
interrogatorio, aveva fornito tempestivi chiarimenti sulle ragioni per cui si
era accompagnato alle persone coinvolte in attività poco chiare e che, in
relazione al porto dell’armo lo stesso era stato assolto proprio perché non
risultava provata la sua consapevolezza della presenza dell’arma.
Contestava poi che ricorresse ipotesi di connivenza passiva laddove non
era emersa in alcun modo una sua consapevolezza della illecita condotta
eventualmente realizzata dalle persone che aveva incontrato a Narni e con
le quali si stava recando a Siena.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero resistente tramite l’avvocatura
dello Stato concludendo per una pronuncia di inammissibilità del ricorso o,
in subordine, per il rigetto dello stesso.

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delinquere, estorsione e porto illegale di arma), da cui era definitivamente

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art.314 comma I c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non
aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è
previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la
custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi

causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta
causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere
l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o

al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima
parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione
necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere
accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della
parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno,
rv. 226004). In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da
tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione
dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi
dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta
alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal
giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod
plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente
accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di
doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995
dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637) . Poiché inoltre, la
nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo
comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad
altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
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prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del
23.10.2008, Maisano, rv. 242034). Ancora le Sezioni Unite, hanno
affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della
condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della
colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento

di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia
anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e,
più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di
un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27.5.2010,
D’Ambrosio, rv. 247664).
3. Ritiene la Corte che il giudice della riparazione non abbia
correttamente applicato i principi sopra evidenziati incorrendo in assoluta
carenza motivazionale in punto di colpa ascrivibile al FUSILLO nel diverso
piano prognostico che disciplina il giudizio riparatorio, che impone
l’accertamento non già della ricorrenza di profili di reità in capo al
ricorrente, bensì se fosse stato l’indagato, con il proprio comportamento
processuale o extra processuale, improntato a trascuratezza o a grave
imprudenza, a dare causa alla applicazione della misura, determinando in
sostanza un’apparenza di reità anche in una prospettiva concorsuale.

3. Un tale accertamento è totalmente mancato da parte del giudice della
riparazione se solo si considera che lo stesso giudice ha riconosciuto come
il Fusillo avesse fornito, in sede di interrogatorio di garanzia, tempestivi
chiarimenti delle ragioni per cui era stato trovato in compagnia degli altri
soggetti coinvolti negli illeciti traffici, mentre in relazione al porto di arma
da fuoco, rinvenuta peraltro all’interno di autovettura in cui il FUSILLO era
passeggero, non è stato dedotto alcun elemento da cui inferire che
l’indagato fosse consapevole della esistenza dell’arma, ma al contrario
risulta che il Fusillo sia stato assolto proprio per la carenza di tale evidenza.
3.1 In tale situazione difetta pertanto qualsiasi elemento per riconoscere
la ricorrenza dell’elemento preclusivo alla riparazione consistente nel fatto
colposo dell’indagato, sia pure riconducibile a ipotesi di connivenza passiva
(che pure è stata riconosciuta dalla giurisprudenza del S.C. quale ragione
ostativa alla riparazione), con al conseguenza che la impugnata ordinanza
debba essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia Italenza
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per nuovo esame il quale provvederà altresì alla regolamentazione delle
spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di
Appello di Perugia cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 31 Gennaio 2018.

Il consigliere estensore
Ugo Bellini

Il Presidente
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