Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17401 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17401 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PENNACCHINI GILBERTO nato il 24/07/1967 a FERMIGNANO

avverso la sentenza del 11/04/2016 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ELISABETTA
CENICCOLA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per Annullamento senza rinvio con riferimento ai capi
prescritti e riduzione della pena. Conferma nel resto.
Udito il difensore
Per Pennacchini e’ presente l’avv. Pazienti Cristiano del foro di Roma che
deposita nomina a difensore di fiducia e chiede l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 20/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento di precedente
sentenza disposto dalla 3 Sezione della Corte di Cassazione, la Corte d’appello di
Perugia, in data 11 aprile 2016, ha rideterminato la pena applicata a Gilberto
Pennacchini in relazione a reati di dichiarazione fraudolenta IVA mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. n. 74/2000)
con riferimento alle annualità dal 2005 al 2007 (dichiarazioni dal 2006 al 2008);

prescrizione con la sentenza (annullata) della Corte d’appello di Ancona.
Il giudizio di rinvio conseguiva alla decisione rescindente della Corte di
legittimità che, in data 17 settembre 2015, aveva disapplicato le disposizioni del
codice penale in base alle quali il reato continuato si sarebbe prescritto (ultima
parte del terzo comma dell’art. 160 cod.pen. e del secondo comma dell’art. 161
cod.pen.), così dando attuazione ai principi affermati nella nota pronuncia della
Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in data 8 settembre
2015 (proc. Taricco, causa C-105-4). Conseguentemente la Corte regolatrice,
disatteso il motivo di ricorso dell’imputato relativo all’affermazione della sua
penale responsabilità ed esclusa, come detto, l’estinzione dei reati residui per
prescrizione, ha accolto il motivo relativo al diniego delle circostanze attenuanti
generiche. Circostanze che, peraltro, la Corte d’appello di Perugia in sede di
rinvio non riconosceva, pur rideterminando la pena.

2. Avverso quest’ultima sentenza ricorre il Pennacchini, per il tramite del suo
difensore di fiducia.
2.1. Il ricorso é affidato a un singolo motivo, con il quale l’esponente
lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle
circostanze attenuanti generiche, che ad avviso del ricorrente sono state negate
valorizzando due precedenti penali per reati oggi depenalizzati, nonché i
parametri di gravità e delle modalità del fatto che erano stati già utilizzati ex art.
133 cod.pen. ai fini della commisurazione della pena.
2.2. In aggiunta al suddetto motivo, l’esponente sollecita la Corte di
legittimità a rivalutare d’ufficio, ex art. 609 comma 2 cod.proc.pen., il profilo
afferente l’intercorsa maturazione del termine prescrizionale massimo, quanto
meno con riferimento ai fatti relativi al periodo d’imposta 2005. Ciò in seguito
all’ordinanza con la quale la questione era stata rimessa alla Corte Costituzionale
da parte della stessa 3 Sezione della Corte di Cassazione e in considerazione del
fatto che in altre pronunzie la Corte di legittimità aveva escluso l’applicazione dei

2

quanto alle precedenti annualità (dal 2003) era stata già dichiarata la

principi enunciati dalla Corte di Lussemburgo con la sentenza Taricco ai reati per
i quali la prescrizione risultava già spirata quando tale sentenza fu emessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’unico motivo di ricorso, attinente alla questione del diniego delle
attenuanti generiche, é manifestamente infondato.
E’, invero, ius receptum che in tema di concessione (o di diniego) delle

dell’imputato, già presi in considerazione ai fini della determinazione della pena
ai sensi dell’art. 133 cod. pen., in quanto legittimamente lo stesso elemento può
essere rivalutato in vista di una diversa finalità (Sez. 4, Sentenza n. 35930 del
27/06/2002, Martino D., Rv. 222351; Sez. 2, Sentenza n. 933 del 11/10/2013,
dep. 2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011; Sez. 2, Sentenza n. 24995 del
14/05/2015, Rechichi e altri, Rv. 264378).
A proposito, poi, della rilevanza agli stessi fini anche dei precedenti per reati
depenalizzati, trattandosi di fattispecie che rimangono significative di una
predisposizione dell’imputato a violare la legge penale, vds. Sez. 5, Sentenza n.
45423 del 06/10/2004, Mignogna e altri, Rv. 230579.

2. Si pone a questo punto la questione, comunque sollevata dal ricorrente e
sottoposta alle valutazioni officiose di questo Collegio, se la disapplicazione delle
norme nazionali sulla prescrizione per effetto della sentenza Taricco della Corte
di Lussemburgo, ad opera della Corte di legittimità (con la sentenza
rescindente), mantenga ad oggi la sua validità pur a fronte dei successivi, ben
noti sviluppi del dialogo fra la Corte Costituzionale e la stessa CGUE sulla
questione in esame.
Ulteriore e connessa questione é se, in seguito al dictum della 3 Sezione
della Corte circa la disapplicazione delle norme in tema di prescrizione, possa
dirsi nella specie formato il giudicato in ordine all’affermazione di penale
responsabilità dell’odierno ricorrente e se, quindi, le statuizioni sul punto siano
intangibili pur a fronte del mutato quadro giurisprudenziale e, di fatto, dello ius

superveniens.

3. Il ricorrente, nel sollecitare la valutazione della Corte di legittimità sul
punto, ha evidenziato che la questione della disapplicazione delle disposizioni
nazionali in tema di prescrizione, con riguardo ai reati di frode fiscale e tenuto
conto dell’interpretazione dell’art. 325 TFUE da parte della Corte di
Lussemburgo, aveva formato oggetto di questione di legittimità costituzionale

3

attenuanti generiche, il giudice può valutare la gravità del fatto e la personalità

sollevata dalla 3 Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza dell’8 luglio
2016 e dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza del 18 settembre 2015, in
relazione all’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del
Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che
istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e
dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza
alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

(Sez. 4, Sentenza n. 7914 del 25/01/2016, Tormenti e altri, Rv. 266078), in
epoca successiva alla sentenza rescindente della 3 Sezione nel presente giudizio,
ha affermato che, in tema di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs.10 marzo
2000 n. 74, i principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione
Europea, Grande sezione, Taricco e altri del 8 settembre 2015, C-105/14, in
ordine alla possibilità di disapplicazione della disciplina della prescrizione prevista
dagli artt. 160 e 161 cod. pen. se ritenuta idonea a pregiudicare gli obblighi
imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, non si applicano ai
fatti già prescritti alla data di pubblicazione di tale pronuncia.

4. La questione, come si avrà modo di evidenziare, assume rilievo per tutte
le condotte in relazione alle quali é stata confermata la condanna del
Pennacchini.
Infatti, é ben vero che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, i
delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 74 del
2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale
nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi (Sez. 3,
Sentenza n. 52752 del 20/05/2014, Vidi e altro, Rv. 262358) e che, nella specie,
il termine da prendere in considerazione riguarda le dichiarazioni IVA degli anni
dal 2006 al 2008; ma, come si vedrà fra breve, il novum giurisprudenziale
(introdotto sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Lussemburgo)
riguarda tutti i reati commessi in epoca antecedente la pronunzia della CGUE in
data 8 settembre 2015 relativa al caso Taricco, e non solo i reati che a tale data
si sarebbero già prescritti.

5. Riassumendo i termini della questione, deve in primo luogo osservarsi
che, in epoca successiva alla presentazione del ricorso in esame, la Corte
Costituzionale, con ordinanza n. 24 depositata il 26 gennaio 2017, ha disposto di
sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi
e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,

4

Il ricorrente ha ulteriormente sottolineato che la stessa Corte di legittimità

le seguenti questioni di interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, del
medesimo Trattato:
« – se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non
applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero
considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi
finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per
frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi

applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;»
« – se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non
applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero
considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi
finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per
frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi
lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello
Stato membro la prescrizione é parte del diritto penale sostanziale e soggetta al
principio di legalità;»
« – se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione
europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata
nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale
sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di
gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che
prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi
finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto
con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti
inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro».
In estrema sintesi, la Consulta, con l’ordinanza di che trattasi, ha
prospettato alla Corte di Lussemburgo il possibile contrasto tra l’interpretazione
dell’art. 325 TFUE, fornita dalla prima sentenza Taricco, e il principio di legalità
penale: principio che interessa, nel diritto italiano, anche la disciplina della
prescrizione (avente carattere sostanziale) ed al quale il Giudice delle leggi,
com’é stato autorevolmente osservato, ha riconosciuto

“un valore prevalente

sulla disapplicazione delle norme del codice penale prospettata dalla prima
sentenza” emessa dalla CGUE nel caso Taricco (testualmente l’ordinanza della
Corte Costituzionale lo qualifica come “principio supremo dell’ordinamento, posto
a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le

5

lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa

norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata
retroattiva”).

6. Investita della questione, la Corte di giustizia ha pronunziato la sua
decisione con sentenza in data 5 dicembre 2017: in tale pronunzia, pur
ribadendo la propria precedente interpretazione dell’art. 325 TFUE, la Corte di
Lussemburgo ha riconosciuto che il contrasto fra quest’ultima norma del Trattato
e il diritto interno non può condurre alla disapplicazione della norma di diritto

e delle pene”,

nei suoi aspetti di prevedibilità, determinatezza e

irretroattività della legge penale. Un principio, questo, al quale la CGUE mostra
di riconoscere piena cittadinanza anche nel diritto dell’Unione, sia con riferimento
ai reati, sia con riferimento alle pene, sulla base dell’art.49 della Carta dei diritti
fondamentali dell’U.E. e delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri; e di cui viene altresì accettata l’estensione all’istituto della
prescrizione, in assenza di una disciplina di tale istituto nel diritto dell’Unione (un
vuoto, questo, recentemente colmato con l’adozione della direttiva n. 2017/1371
del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari
dell’Unione mediante il diritto penale).
All’esito di un articolato percorso argomentativo, dunque, la Corte di
giustizia, pur confermando la propria interpretazione dell’art. 325 TFUE recepita
nella prima sentenza Taricco, ha precisato che quanto in essa affermato non si
applica ai reati commessi anteriormente alla sua emanazione.
Conseguentemente, in nome del principio di irretroattività, la prima
sentenza Taricco non spiega più efficacia rispetto a tutti i reati commessi entro
1’8 ottobre 2015, riguardo ai quali non può più essere prospettata la
disapplicazione della disciplina nazionale in materia di prescrizione: disciplina
che deve pertanto essere applicata a detti reati pur se in contrasto con il diritto
europeo. Più specificamente la Corte di Lussemburgo riconosce (§58) che

«i

requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di
legalità dei reati e delle pene si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano,
anche al regime di prescrizione relativo ai reati in materia di IVA»; e, in forza di
tali principi, afferma (§60) che i suddetti requisiti «ostano a che, in procedimenti
relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della
pronuncia della sentenza Taricco, il giudice nazionale disapplichi le disposizioni
del codice penale in questione. Infatti, la Corte ha già sottolineato, al punto 53 di
tale sentenza, che a dette persone potrebbero, a causa della disapplicazione di
queste disposizioni, essere inflitte sanzioni alle quali, con ogni probabilità,
sarebbero sfuggite se le suddette disposizioni fossero state applicate. Tali

6

interno laddove essa “comporti una violazione del principio di legalità dei reati

persone potrebbero quindi essere retroattivamente assoggettate a un regime di
punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato».

7.

Così chiarito lo stato dell’arte sotto il profilo della giurisprudenza

costituzionale ed eurounitaria in materia, appare evidente che i principi posti a
base della disapplicazione delle norme nazionali in tema di prescrizione, ed
illustrate ampiamente nei § da 7 a 23 della sentenza della 3 Sezione della Corte
di legittimità in data 17 settembre 2015, non sono più validi con riferimento ai

sentenza Taricco).
Il novum affermato dalla Corte di Lussemburgo il 5 dicembre 2017, dunque,
riguarda tutti i reati di frode fiscale addebitati al Pennacchini, atteso che essi
sono stati contestati come commessi in occasione della presentazione di
dichiarazioni IVA comprese tra il 2006 e il 2008, in relazione ai periodi d’imposta
compresi fra il 2005 e il 2007.

8. A questo punto, però, sorge il problema di verificare se le statuizioni
contenute nella sentenza rescindente della 3 Sezione, in punto di affermazione di
penale responsabilità del Pennacchini per i suddetti reati (statuizioni
intrinsecamente e indissolubilmente legate alla disapplicazione della normativa
nazionale in tema di prescrizione), rimangano intangibili in base ai principi in
materia di formazione progressiva del giudicato

ex art. 627 cod.proc.pen.,

ovvero debbano intendersi travolte dal mutamento d’indirizzo della
giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.
I termini della questione meritano una pur breve riflessione.
E’ noto e pacifico che, in presenza di una sentenza di legittimità nella quale
venga disposto l’annullamento con rinvio della sentenza oggetto di ricorso,
limitatamente al trattamento sanzionatorio e con conseguente conferma
dell’affermazione di penale responsabilità, quest’ultima statuizione – non toccata
dalla pronunzia di annullamento – acquista autorità di cosa giudicata.
Conseguentemente é preclusa al giudice del rinvio la possibilità di dichiarare le
cause sopravvenute di estinzione del reato (vds. Sez. 1, Sentenza n. 5753 del
09/10/2015, dep. 2016, Lecca, Rv. 265994; Sez. 4, Sentenza n. 41415 del
24/09/2013, Bellometti, Rv. 256416) o le cause sopravvenute di non punibilità
(cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15101 del 11/03/2010, Romeo e altro, Rv. 246616;
Sez. 3, Sentenza n. 1573 del 20/11/2002, dep. 2003, De Martin, Rv. 223274).
Viceversa, in caso di annullamento con rinvio disposto esclusivamente per la
determinazione della pena, non é preclusa la dichiarazione, anche d’ufficio, di
cause di non punibilità sopravvenute in conseguenza di una sentenza della Corte

7

reati commessi prima dell’8 settembre 2015 (data in cui fu emessa la prima

di giustizia dell’Unione Europea che abbia affermato l’incompatibilità di una
disposizione incriminatrice nazionale con il diritto dell’Unione (Sez. 6, Sentenza
n. 9028 del 05/11/2010, dep. 2011, Gargiulo, Rv. 249680; Sez. 6, Sentenza n.
41683 del 19/10/2010, Ndaw e altro, Rv. 248720): in sostanza, peraltro, queste
ultime pronunzie hanno assimilato la giurisprudenza eurounitaria sopravvenuta a
una forma di abolitio criminis (si trattava in quei casi di reati di vendita di
supporti privi di contrassegno Siae che, a seguito della sentenza della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee dell’8 novembre 2007 in causa Schwibert, la

9. Il caso di specie, peraltro, si colloca in una posizione distinta rispetto ai
precedenti appena richiamati. Ed invero, fermi restando l’accertamento del reato
e l’affermazione di responsabilità dell’imputato, la sentenza rescindente
pronunziata dalla 3 Sezione si é, da un lato, limitata ad annullare la pronunzia in
allora impugnata limitatamente al profilo sanzionatorio (il giudizio di rinvio ha
infatti riguardato esclusivamente la riconoscibilità o meno delle circostanze
attenuanti generiche); e, dall’altro, ha escluso che fosse maturata la prescrizione
dei residui reati contestati al Pennacchini, sulla base di un’interpretazione del
diritto europeo che però, come si é visto, é stata successivamente superata dalla
sentenza della CGUE del 5 dicembre 2017.
Tuttavia, nella già menzionata sentenza Gargiulo viene ribadito un principio,
già affermato in precedenti pronunzie, del quale é necessario tenere conto anche
nel caso di cui trattasi: vi si afferma, infatti, che la portata abrogativa della
sentenza Schwibert va riconosciuta perché le sentenze della Corte di giustizia UE
hanno efficacia vincolante anche ultra partes nei procedimenti davanti alle
autorità giurisdizionali degli stati membri (in ciò richiamando Sez 3, n. 13810,
12/02/2008, Diop).
Orbene, se così é, non può che farsi richiamo agli stessi principi affermati
dalla sentenza della Corte di Lussemburgo emessa in data 5 dicembre 2017, in
seguito a ordinanza di rinvio pregiudiziale della Corte Costituzionale italiana:
principi in base ai quali viene riconosciuta alla disciplina del codice penale in
materia di prescrizione la necessaria rispondenza ai requisiti di

“prevedibilità,

determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle
pene”.
Vi é, in definitiva, una sostanziale assimilazione delle norme nazionali in
tema di prescrizione rispetto a quelle a carattere incrinninatorio e sanzionatorio:
illuminante é, al riguardo, il già richiamato §60 della sentenza dello scorso
dicembre, laddove la Corte di giustizia esclude che “in procedimenti relativi a
persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della pronuncia

8

Corte di legittimità ritenne, appunto, oggetto di abolizione).

della sentenza Taricco, il giudice nazionale disapplichi le disposizioni del codice
penale in questione”,

atteso che, diversamente, quelle persone potrebbero

“essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di
quello vigente al momento della commissione del reato”.
Ciò si innesta naturalmente sul noto ed acquisito principio della primauté del
diritto eurounitario su quello nazionale e sulla conseguente incidenza delle norme
dell’Unione (e dell’interpretazione che ne viene fornita dalla Corte di giustizia) nel
diritto interno degli Stati membri, che trovano corrispondenza nell’obbligo di

europea da parte dei giudici nazionali.
In un passaggio della citata ordinanza n. 24/2017 della Corte Costituzionale
si afferma che “il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione é un dato

acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 11 Cost.”, con il
solo limite dell’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano

e dei diritti inalienabili della persona”,

quale “condizione perché il diritto

dell’Unione possa essere applicato in Italia”.

10.

A

conferma

della

forza

cogente

del

diritto

eurounitario

(nell’interpretazione della Corte di giustizia) anche rispetto al giudicato formatosi
in ambito nazionale possono valere, come riscontro, anche i principi affermati
dalle altre giurisdizioni in ambito nazionale.
10.1. Può ad esempio richiamarsi la giurisprudenza civile di legittimità che,
in epoca recente, ha affermato che le controversie in materia di IVA sono
soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere
ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909
cod.civ., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne
costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza
della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del
diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto eurounitario
(Sez. 5 Civ., Sentenza n. 8855 del 04/05/2016, Rv. 639650 – 01).
10.2. Nell’ambito della giurisdizione amministrativa si é recentemente
ribadito che le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, rese in sede
di rinvio pregiudiziale interpretativo, hanno la medesima efficacia delle
disposizioni interpretate e pertanto vincolano non solo il giudice che ha sollevato
la questione ma ogni altro organo (amministrativo o giurisdizionale) chiamato ad
applicare le medesime disposizioni o i medesimi principi elaborati dalla Corte di
giustizia; e si é ulteriormente affermato che costituisce decisione abnorme come tale ricorribile in Cassazione ai sensi dell’art. 111, u.c. Cost. per
superamento del limite esterno della giurisdizione – la sentenza del giudice

9

interpretazione conforme delle norme interne alla luce del diritto dell’Unione

amministrativo che non abbia evitato la formazione, anche progressiva, di un
giudicato in contrasto con il diritto dell’Unione europea (o con altre norme di
rango sovranazionale cui lo Stato é tenuto a dare applicazione), quale risulti da
una successiva pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (Cons.
Stato, Ad. Plen., 09/06/2016, n. 11).

11.

Conclusivamente, il dictum della Corte di Lussemburgo di cui alla

sentenza del dicembre scorso, in base al quale l’interpretazione dell’art. 325

commessi in epoca successiva alla data di emissione di quest’ultima pronunzia,
non può che riverberare i suoi effetti anche nel caso di che trattasi, non
dissimilmente da quanto avverrebbe nel caso di pronunzia della stessa Corte di
Lussemburgo che si presentasse incompatibile con una norma incriminatrice
nazionale; ed ha perciò forza e valore tali da impedire che scenda il giudicato
sulle statuizioni strettamente connesse a una difforme interpretazione del diritto
dell’Unione, come quelle relative – nel caso che ne occupa – all’applicabilità o
meno della disciplina nazionale in materia di prescrizione a reati in materia di
IVA commessi in epoca precedente alla prima sentenza Taricco.
Si é, in sostanza, al cospetto di una peculiare forma di ius superveniens (che
nella specie si sostanzia nei principi da ultimo affermati dalla CGUE) rispetto al
quale deve constatarsi anche d’ufficio, ex art. 609, comma 2, cod.proc.pen.,
l’incompatibilità delle statuizioni della giurisprudenza nazionale che, sulla base
della prima sentenza Taricco, avevano disapplicato le disposizioni del codice
penale in materia di prescrizione di reati di frode fiscale commessi prima dell’8
settembre 2015. Tali disposizioni nazionali devono pertanto trovare applicazione
nel caso di specie.

12. Ciò posto, ed in considerazione del fatto che il più recente dei reati
residui addebitati al Pennacchini risulta commesso nel 2008 (ossia all’atto della
presentazione della dichiarazione IVA per l’annualità precedente), non può che
constatarsi che, per tutti i reati ascritti all’odierno ricorrente, é spirato il termine
di prescrizione in allora vigente.

13. Per quanto precede la sentenza impugnata va annullata senza rinvio,
per essere il reato ascritto al ricorrente estinto per prescrizione.

10

TFUE fatta propria dalla CGUE nella prima sentenza Taricco si applica ai soli reati

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato é estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2018.

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Il Presidente
(Pptrizia
kjA.AA-Q._

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