Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17400 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17400 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARINO FRANCESCO nato il 19/05/1989 a MILANO

avverso la sentenza del 13/04/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ELISABETTA
CENICCOLA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore
nessun difensore e’ presente.

Data Udienza: 20/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, in data 13 aprile 2017, ha confermato la
sentenza con la quale il Tribunale di Milano, il 10 giugno 2013, aveva
condannato Francesco Marino alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato
a lui ascritto ex artt. 110, 624, 625 nn. 4 e 7 cod.pen., contestato come
commesso in Milano il 31 gennaio 2013 presso il locale Le Trattoir, ove veniva
sottratta ad Elisabetta Murenu una borsa che la stessa aveva poggiato su un

Il Marino, fermato all’esterno del locale mentre correva appresso ad altro
giovane trovato in possesso della borsa (poi recuperata, mentre quest’ultimo
giovane riusciva a darsi alla fuga), era stato ritenuto concorrente nel reato,
essendo stato notato (in particolare dal teste Olivé Alessio, che era con la
persona offesa) mentre si trovava nel locale, nei pressi del luogo ove era stata
poggiata la borsa, assieme a colui il quale era poi fuggito dal locale occultando la
borsa stessa sotto il giubbotto, e che successivamente il Marino aveva finto di
non conoscere, cercando di sostenere che lo stava inseguendo perché si era
impossessato del suo telefono cellulare. La Corte di merito non ha prestato fede
alla versione del Marino, confermando perciò la ricostruzione degli eventi operata
in primo grado.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il Marino, tramite il suo difensore di
fiducia. Il ricorso consta di quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo l’esponente denuncia vizio di motivazione in
riferimento alla prova dei fatti di cui all’imputazione e all’elemento soggettivo del
reato: in primo luogo, si censura come carente la motivazione per relationem
sulla quale la Corte distrettuale ha fondato la sua decisione di conferma della
condanna: una motivazione che non ha tenuto conto delle censure specifiche
mosse dall’appellante alla pronunzia di primo grado, a proposito del fatto che il
Marino non si impossessò della borsa, né la portò fuori del locale, né si diede alla
fuga alla vista degli operanti (a differenza di colui il quale teneva la borsa
occultata sotto il giubbotto). La persona offesa non ha visto nessuno, tanto meno
il Marino, aggirarsi attorno alla borsa e tanto meno sottrarla, specie quando uscì
dal locale per fumare; ciò rende inattendibili le dichiarazioni del teste Olivé, che
era con lei, e che invece sostiene di avere visto dallo stesso punto di
osservazione una persona che si aggirava vicino alla borsa. La stessa
deposizione dell’operante brig. Nugara rende evidente che il Marino stava
semplicemente inseguendo l’autore del furto, per farsi restituire il cellulare, e di
avere notato la scena per la condotta del soggetto risultato in possesso della

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tavolo a breve distanza da lei.

refurtiva, e non per la condotta del Marino. In definitiva, la motivazione della
sentenza merita censura perché non descrive la condotta concretamente tenuta
dal Marino, non dimostra alcunché circa l’elemento soggettivo del reato che gli si
attribuisce e ricostruisce in modo erroneo perfino i rapporti intercorrenti fra
l’Olivé e la persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento
all’art. 192 cod.proc.pen., con riguardo alla valutazione degli indizi a base della
condanna. Al riguardo viene richiamata la giurisprudenza di legittimità in ordine

requisiti non siano nella specie sussistenti.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge in riferimento
all’elemento materiale del reato contestato: non solo il Marino non ha mai
conseguito il possesso della res furtiva, ma neppure ha tenuto una condotta
agevolativa dell’altrui impossessamento. A fronte di ciò, il ricorrente evidenzia
che il locale Le Trattoir era composto di un’unica sala di dimensioni ridotte, e che
perciò é ben possibile che il Marino si sia trovato nei pressi del luogo ove la borsa
era stata poggiata; ma cionondimeno egli non fu visto prendere la borsa stessa,
né fu lui a fuggire tenendola occultata sulla persona, né tentò di sottrarsi
all’intervento degli operanti.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza della legge penale in
riferimento all’art. 133 cod.pen., in punto di valutazione dell’entità della pena,
rapportata all’elemento psicologico e alle modalità dell’azione: in sostanza, si
censura l’eccessività della pena in rapporto alle finalità rieducative della pena
stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi tre motivi di ricorso, riferiti tutti alla ricostruzione dei fatti e
all’attribuzione della penale responsabilità all’imputato (sia pure sotto i diversi
profili della valutazione della prova, del vizio di motivazione della sentenza e alla
materialità del reato), si appalesano manifestamente infondati, nonché tesi a
proporre una ricostruzione alternativa dei fatti e una diversa valutazione delle
prove, a fronte di un percorso argomentativo (come quello seguito dalla Corte
ambrosiana) che, nel suo insieme, si appalesa esente da vizi logici,
contraddizioni e incongruità e come tale rimane sottratto al sindacato di
legittimità.
1.1. Sotto il profilo del dedotto vizio di motivazione di cui al primo motivo di
ricorso, la rispondenza delle questioni proposte ai canoni di giudizio di legittimità
presuppone che sia, bensì, sottoposto a scrutinio il percorso argomentativo

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ai requisiti di gravità, precisione e concordanza degli indizi, nell’assunto che tali

seguito dal giudice di merito, nei termini ed entro i limiti stabiliti dall’art. 606,
comma 1, lettera e) del codice di rito; ma deve estendersi anche
all’accertamento della pertinenza – rispetto a tali canoni di giudizio – dei motivi di
doglianza proposti, che non devono consistere in una sollecitazione, diretta alla
Corte regolatrice, a sovrapporre il proprio giudizio sul fatto rispetto a quello del
giudice di merito, o a rivalutare criticamente il materiale probatorio che questi ha
già sottoposto ad esame (ciò che non é consentito, per quanto detto, in sede di
giudizio di legittimità). In proposito, deve ricordarsi il pacifico e costante indirizzo

l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argonnentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si é avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioé di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U,
n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n.
12 del 31/05/2000, lakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -,
Petrella, Rv. 226074).
A fronte di ciò, la Corte di merito ha osservato che il Marino é stato visto dal
teste Olivé all’interno del locale; che in tale occasione egli dimostrava di avere
rapporti di conoscenza con un altro ragazzo, che invece egli sosteneva di non
conoscere ma al quale prestò il telefono cellulare; che, quando i Carabinieri
fermarono l’autore del furto, costui si rivolse al Marino in dialetto calabrese
chiamandolo per nome (“Frà”)

e restituendogli il cellulare. La ricostruzione

logico-fattuale degli eventi (basata su quanto emerso all’esito dell’istruzione
dibattimentale in primo grado) é stata puntualmente riportata nel percorso
argomentativo della sentenza impugnata, in cui viene illustrato un breve ma
esaustivo vaglio critico della motivazione che il Tribunale aveva posto a base
della condanna del Marino, sia con riguardo ai fondamenti di tale motivazione,
sia con riguardo agli argomenti addotti a contrario dall’appellante.
La mera enunciazione della giurisprudenza in punto di gravità, precisione e
concordanza degli indizi, senza un benché minimo richiamo alle emergenze

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della giurisprudenza di legittimità anche in composizione apicale, in base al quale

istruttorie del caso di specie (e alla presunta insussistenza dei requisiti di cui
all’art. 192 cod.proc.pen.), rende poi del tutto privo di pregio ed affatto generico
il secondo motivo di ricorso.
1.2. Quanto al terzo motivo, é di tutta evidenza che il convincimento della
corresponsabilità del Marino, peraltro adeguatamente argomentato sia dal
Tribunale che dalla Corte d’appello (é noto che in caso di doppia conforme le
sentenze di primo e di secondo grado si saldano in un unicum motivazionale) si
fonda su una valutazione logica del suo ruolo nella vicenda, pur non essendo

concreto manifestato. Al riguardo é necessario ricordare che, come
recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’accertamento
del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non é tenuto a precisare il
ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell’ambito dell’impresa criminosa,
essendo sufficiente l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove
sulle quali ha fondato il libero convincimento dell’esistenza di un consapevole e
volontario contributo, morale o materiale, dato dall’agente alla realizzazione del
reato (Sez. 2, Sentenza n. 48029 del 20/10/2016, Siesto e altro, Rv. 268177).
1.3. Quanto, infine, al quarto motivo, afferente al trattamento sanzionatorio,
esso a sua volta é di per sé manifestamente infondato, atteso che la motivazione
posta a base della decisione impugnata é rispettosa dei canoni di giudizio
enunciati dall’art. 133 cod.pen., richiamati sia in punto di gravità del fatto sia in
punto di pericolosità del soggetto (viene evidenziato che il Marino ha diversi
precedenti specifici a suo carico); del resto nei suoi confronti é stata irrogata una
pena al di sotto della media edittale ed in tali ipotesi, secondo la giurisprudenza

di legittimità, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte
del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel
suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata
alla quantificazione della pena (Sez. 3, Sentenza n. 38251 del 15/06/2016,
Rignanese e altro, Rv. 267949).

2. Nondimeno, a fronte delle considerazioni suesposte, deve constatarsi che
nei due gradi del giudizio di merito é stata ritenuta sussistente la circostanza
aggravante dell’avere agito con destrezza (art. 625, n. 4, cod.pen.), laddove la
descrizione dei fatti depone per un impossessamento avvenuto su cosa
temporaneamente lasciata incustodita dalla persona offesa.
Orbene, deve al riguardo richiamarsi il principio recentemente affermato
delle Sezioni Unite, secondo il quale, in tema di furto, la circostanza aggravante
della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante
l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da

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stato possibile ricostruire puntualmente le modalità in cui tale ruolo si sarebbe in

particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o
eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente
che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di
momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U, Sentenza n.
34090 del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 270088).
2.1. Ciò posto, é ben vero che alcuno dei motivi di ricorso attinge in modo
specifico la configurabilità della detta aggravante nel caso di specie. Ma in
proposito deve osservarsi che rientra nei poteri di cognizione officiosa della Corte

ricorso proposto dal solo imputato (Sez. 2, Sentenza n. 39841 del 22/05/2009,
Castellano, Rv. 245236; ez. 2, Sentenza n. 3211 del 20/12/2013, dep. 2014,
Racic Cardazzi e altro, Rv. 258538). E non sembra revocabile in dubbio che, alla
luce dei principi affermati dal consesso apicale nella recente, richiamata
pronunzia, un corretto inquadramento della fattispecie in esame impone di
escludere che l’azione furtiva sia nella specie qualificabile come improntata a
destrezza.
2.2. Pertanto, non risultando nella specie sussistenti le condizioni per poter
ravvisare l’aggravante

de qua

nella condotta del ricorrente, ed essendo

necessaria conseguentemente la rideterminazione della pena previa esclusione
della circostanza di che trattasi, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio,
limitatamente all’aggravante della destrezza, con trasmissione degli atti ad altra
Sezione della Corte d’appello di Milano per le conseguenti statuizioni in punto di
trattamento sanzionatorio. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di
cui all’art. 625 n. 4 cod.pen. con trasmissione degli atti alla Corte d’appello di
Milano ai fini della rideternninazione del trattamento sanzionatorio. Rigetta il
ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2018.

Il Consigliere st sore

Il Presidente
(Payriz;ia Piccial)i)

di cassazione la corretta qualificazione giuridica del fatto anche nel caso di

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