Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17362 del 09/05/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17362 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) LUCIANI LILLO N. IL 10/10/1980
avverso la sentenza n. 326/2011 TRIBUNALE di TERAMO, del
28/03/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;
lette le richieste del PG D9f che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

Data Udienza: 09/05/2012

n.27 Ricorrente LUCIANI Lillo

Motivi della decisione
L’imputato in epigrafe ricorre personalmente per cassazione avverso la
sentenza emessa il 28 marzo 2011 dal Tribunale di Teramo, in composizione
pen., sul presupposto della riconosciuta responsabilità del predetto in ordine al
reato di cui all’art. 73, commi 1 ed 1- bls d.P.R. n. 309/1990, commesso in
Alba Adriatica Il 25 marzo 2011.
Il gravame è manifestamente infondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’obbligo
della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare
natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee
argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod.proc.pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti
o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in
caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione , anche implicita,
che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le
condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. un 27 marzo
1992, Di Benedetto ; Sez. Un. 27 dicembre 1995, Serafino). Né l’imputato può
avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come
insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione

monocratica, recante applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc.

del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile. D’altra
parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad
avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa Corte ha
più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il
ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Peraltro, nel caso di specie, il Giudice di prime cure ha esclusa l’applicabilità del
disposto dell’art. 129 cod. proc. pen., attesi l’arresto in flagranza del prevenuto;
l’avvenuto sequestro dello stupefacente; l’esito positivo dell’analisi chimica; le
dichiarazioni rese dall’acquirente.
Il ricorso è quindi inammissibile.

/z1-

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.500,00 a
favore della cassa delle ammende della somma, a titolo di sanzione pecuniaria,
trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a
colpa, del ricorrente stesso (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7 – 13
giugno 2000).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna Il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma,lì 9 maggio 2012.

PQM

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