Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17358 del 17/01/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17358 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: TORNESI DANIELA RITA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALSAMO PIETRO nato il 15/07/1971 a CARINI

avverso la sentenza del 19/01/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA RITA TORNESI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MASSIMO GALLI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. GALLI MASSIMO conclude per l’inammissibilita’ .
Udito il difensore

Data Udienza: 17/01/2018

del d.P.R. n. 309/1990 già sollevate, con riferimento agli artt. 3, 25, comma
secondo, e 27 Cost., nei medesimi termini di cui all’odierno ricorso.
La Consulta ha affermato che la questione è inammissibile con riferimento alla
lesione dell’art. 25 Cost. perché consiste in una censura degli effetti della sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, di cui costituisce un improprio tentativo
di impugnazione, in violazione dell’art. 137, comma terzo, Cost.
Tale improprio tentativo di impugnazione si risolve nel contestare l’affermazione
della citata

sentenza n. 32 del 2014

analoga a quella già espressa dalla

esercizio da parte del Governo, ex art. 76 Cost. (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162
del 2012) – sulla ripresa dell’applicazione della normativa precedente a quella
dichiarata costituzionalmente illegittima ex art. 77 Cost. data l’inidoneità dell’atto,
per il radicale vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi.
Tuttavia, contraddittoriamente, si vorrebbero far salvi gli effetti in

bonam

partem della medesima sentenza n. 32 del 2014, connessi alla ripresa di vigore
della precedente disciplina sanzionatoria sui fatti non lievi riguardanti le cosiddette
droghe “leggere”.
In relazione alle censure sollevate ai sensi degli artt. 3 e 27 Cost., è stato
sottolineato che lo iato edittale tra le pene previste rispettivamente al comma 1 e
al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, quale risulta nella misura
attuale e oggetto di censura, non è soltanto frutto degli effetti della sentenza
n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, ma anche di interventi del legislatore,
precedenti e successivi alla citata decisione. Segnatamente, il decreto-legge 20
marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali), convertito, con modificazioni, dalla
legge 16 maggio 2014, n. 79, non solo ha ridotto il massimo edittale di pena
prevista per i fatti lievi, allargando così, nei termini attuali, la forbice rispetto al
minimo edittale previsto per i fatti non lievi, ma ha anche completamente
ridisegnato il quadro normativo di riferimento, operando diversi adattamenti
conseguenti alla decisione della Corte.
Conclusivamente è stato sottolineato che è inammissibile richiedere il
ripristino di una disciplina sanzionatoria contenuta in una disposizione dichiarata
costituzionalmente illegittima per vizi procedurali di tale gravità da determinare
l’inidoneità dello stesso a innovare l’ordinamento.

5

giurisprudenza costituzionale in relazione ai vizi della delega legislativa e del suo

6. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Daniea Rita Tornesi
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Depositata in Cance0eria

1 8 APR, 218

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Giudiziario
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Così deciso il 17 gennaio 2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza emessa in data 17 gennaio 2017 la Corte di appello di
Palermo confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Palermo, all’esito del
rito abbreviato, dichiarava Pietro Balsamo responsabile del reato di cui all’art. 73,
commi 1, 1 bis, del d.P.R. n. 309/1990 ed esclusa la contestata aggravante di cui
all’art. 80, comma 2, del medesimo d.P.R. e, ritenuta la contestata recidiva
reiterata specifica infraquinquennale, lo condannava alla pena di anni dieci di

1.1. All’imputato era contestato di avere detenuto illecitamente, al fine di
vendita e, comunque, della successiva cessione «n. 1 panetto termo sigillato con
nastro isolante di sostanza stupefacente (cocaina) del peso complessivo di kg. 1,1,
lordi (mg. 99.9710,00 netti) da cui è ricavabile il 96,6% di principio attivo
corrispondente a n. 6.458,1 dosi medie singole (descritta analiticamente nel
verbale di accertamento tecnico del 16.02.2016). Sostanza stupefacente che, per
quantità superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale 11 aprile 2016
che stabiliscono la dose media singola per il THC in 0,025 gr. con una soglia di
quantitativo massimo pari a 0,500 gr, per la modalità di presentazione, avuto
riguardo al peso loro complessivo ed al confezionamento frazionato, e per le altre
circostanze dell’azione (la sostanza predetta veniva rinvenuta nel corso della
perquisizione veicolare dell’indagato, il quale sotto l’osservazione costante della
P.G. operante tentava di disfarsi della stessa lanciandola dal finestrino
dell’autovettura Fiat Punto targata FA6733K da lui condotta) appare destinata ad
un uso non esclusivamente personale.
Con l’aggravante di aver ricevuto, trasportato e detenuto a fini di spaccio un
ingente quantitativo di sostanza stupefacente, da cui è ricavabile una quantità di
principio attivo superiore ai 10 gr.
Fatti accertati in Palermo il 7.2.2016.
Con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale».

2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Pietro Balsamo, a
mezzo del difensore di fiducia, elevando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli
artt. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., 62 bis e 133 cod. pen. e il vizio
motivazionale.
Il ricorrente rileva che la Corte distrettuale ha negato la concessione delle
attenuanti generiche basandosi esclusivamente sulla circostanza che l’imputato ha
reso la confessione solo nel giudizio di appello, limitandosi così ad un giudizio
negativo sull’imputato senza offrire un adeguato vaglio critico e motivazionale a

reclusione ed Euro 50.000,00 di multa.

supporto di detta decisione e non tenendo conto dei parametri di cui all’art. 133
cod. pen.
La doglianza difensiva inerente all’eccessività della pena è stata, del pari,
rigettata in violazione dell’art. 133 cod. pen. e senza motivare alcunchè al
riguardo.
2.2. Con il secondo motivo, dopo aver premesso che la reviviscenza
dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, nel testo anteriore alle modifiche
introdotte dal d.l. n. 272/ 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 49/

Costituzionale n. 32 del 2014, comporta la reintroduzione per le droghe
c.d. pesanti di un trattamento sanzionatorio che prevede una pena edittale
maggiore nel minimo, solleva l’eccezione di legittimità costituzionale di detta
disposizione per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Quanto al primo motivo si osserva quanto segue.
4.1. Si premette, in diritto, che la confessione è un aspetto incidente ma di
per sé non decisivo nella valutazione che il giudice di merito è chiamato a compiere
ai sensi degli articoli 62 bis e 133 cod. pen.
Le circostanze attenuanti atipiche rappresentano uno strumento di
individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano – in positivo elementi del fatto o della personalità, tali da rendere necessaria la mitigazione,
ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge.
L’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. necessita – pertanto – di un substrato
cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludere l’esistenza
di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della
sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un «aspetto» del fatto o
della personalità risultante dagli atti del giudizio. Da qui, stante l’ampia
tipizzazione di fattori circostanziali e la necessità di ancorare l’applicazione della
norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fatto – reato è derivato il
filone interpretativo che individua nelle categorie generali descritte nell’art. 133
cod. pen. il principale «serbatoio» di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere
controllabile la valutazione del giudicante.
In tal senso, si è ritenuto che la valutazione sotto diversi profili
(commisurazione della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione
delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima,
ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte per distinti fini e
conseguenze (Sez. 1 n. 1376 del 28/10/1997, Rv. 209841).

2

2006, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte

Le linee-guida della «gravità del reato» (art. 133 co. 1) e della «capacità a
delinquere del colpevole» (art. 133 co. 2) restano pertanto gli indicatori essenziali
cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis cod. pen. e ciò
conduce – da sempre – a ritenere il «fatto» della confessione processuale come
possibile fattore di attenuazione della sanzione ai sensi dell’art. 133 co. 2 n. 3 (sub
specie condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla valutazione
della capacità a delinquere).
Pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità, non vi è

riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che – ed è questo
il tema – lo stesso non sia un ‘semplice’ fattore di agevolazione nella ricostruzione
del fatto controverso ma un preciso «indicatore» di riconsiderazione critica del
proprio operato e discontinuità con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. 6
n. 3018 del 11.10.1990, Rv. 186592; Sez. 6 n. 11732 del 27.1.2012, Rv. 252229).
Ciò, a ben vedere, è imposto dalla correlazione – interna alla norma
dell’art. 133 – tra la «condotta susseguente al reato» e la categoria della «capacità
a delinquere» (nel senso che ciò che emerge nel primo ambito va qualificato come
incidente sulla seconda), specie in un contesto sostanziale e processuale la cui
evoluzione «storica» consegna ad altri istituti – a cavallo tra diritto e processo – il
compito di attenuare la sanzione in «cambio» di scelte di semplificazione
processuale (riti speciali di cui agli artt. 438 ss. e 444 e ss.). Non è un caso,
pertanto, che anche lì dove si sia riaffermata – come valore costituzionale – la
libertà del giudice di valorizzare come indicatore positivo ai fini previsti dall’art. 62
bis la condotta susseguente al reato (Corte Cost., sentenza n. 183 del 2011
dichiarativa della illegittimità del limite di apprezzamento che era stato introdotto
dal legislatore del 2005 in ipotesi di recidiva qualificata) si è precisato a più riprese
che l’irragionevolezza della scelta legislativa era nel suo automatismo di inibizione,
posto che la condotta susseguente al reato «può segnare una radicale
discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali, di grande
significato per valutare l’attualità della capacità a delinquere». Il finalismo
rieducativo della pena trova dunque un riconoscimento lì dove – in sede di
quantificazione processuale – si possa dare peso a condotte «che manifestino una
riconsiderazione critica del proprio operato».
Anche la lettura data dal giudice delle leggi al rapporto tra condotta
susseguente al reato ed applicazione delle attenuanti generiche conferma,
pertanto, una rilevanza «mediata» della confessione processuale, da ritenersi
indicatore utile solo nei limiti di «effettiva incidenza» sulla capacità a delinquere e
non come mero strumento di semplificazione probatoria.

3

dubbio – pertanto – che l’apporto confessorio può legittimamente fondare il

Va pertanto ribadita, alla luce di quanto sinora detto, la linea interpretativa
che esclude l’accesso alla attenuante favorevole atipica, in presenza di
confessione, lì dove quest’ultima sia stata dettata non da effettiva resipiscenza ma
da intento utilitaristico (Sez. 6 n.11732 del 27/01/2012, Rv. 252229).
4..2. Venendo al caso di specie, la Corte distrettuale ha rigettato la richiesta
di concessione delle attenuanti generiche, con motivazione logica e congrua
nonché conforme alle coordinate ermeneutiche previste dalla legge, sottolineando

che solo in sede di appello il Balsamo ammetteva la sua responsabilità in ordine al

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