Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17347 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17347 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) SESSO FRANCESCO N. IL 09/03/1961
avverso la sentenza n. 429/2009 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 05/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procur tore
rerale in persona del Dott.
che ha concluso

Udito, per la p

civile, l’Avv

Uditi dif sor Avv.

Data Udienza: 21/11/2012

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Gioacchino Izzo, che ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite o, in subordine,
la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Nicola Piluso, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

riforma di quella emessa dal Tribunale di Cosenza, ha condannato Sesso
Francesco a pena di giustizia per reati di bancarotta fraudolenta documentale e
patrimoniale (capi A) e C): art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, 219 comma 2, n. 1 e
223 L.F.) commessi nella qualità di amministratore della Autoerre srl, dichiarata
fallita il 27-2-2002.

2. I giudici di merito hanno ravvisato la penale responsabilità dell’imputato,
quanto alla bancarotta documentale, nella irregolare tenuta delle scritture
contabili, caratterizzate da omissioni, manchevolezze e confusione, nonché nella
mancata tenuta del registro IVA vendite, del libro soci e del libro beni
ammortizzabili (capo A); quanto alla bancarotta patrimoniale, nella distrazione
della somma di £ 310.000.000 prelevate dalla cassa sociale nel corso
dell’esercizio 1995 (capo C).

3. E’ stato presentato ricorso per cassazione dal difensore dell’imputato, avv.
Nicola Piluso, il quale lamenta:
– la violazione dell’art. 517 cod. proc. pen., per essere stato contestato
all’imputato il reato di cui al capo C) nel corso dell’istruttoria dibattimentale di I
grado, sebbene il fatto fosse già emerso nel corso delle indagini preliminari;
l’inconciliabilità tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta
impropria di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, della legge fallimentare, essendo il
secondo reato assorbito nel primo;
– l’illogicità della motivazione in ordine alla prova del reato di cui al capo A),
risiedente nel fatto che, ad avviso del ricorrente, “la materialità del reato richiede
una condotta positiva di frode e non può consistere in una mera condotta
omissiva”; che non è stata dimostrata l’intenzionalità della condotta decettiva.
Inoltre, perché non si è tenuto conto del fatto che, dopo l’uscita di scena
dell’imputato, la documentazione contabile è stata tenuta da altre sei persone ed
è stata poi rinvenuta, abbandonata, in un capannone di proprietà di terzi;

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1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 5-12-2011, in parziale

- l’insussistenza del reato di cui al capo C), dal momento che lo stesso Pubblico
Ministero aveva qualificato il fatto come rimborso di un finanziamento fatto dal
socio alla società: fatto, questo, che è penalmente irrilevante;
– l’omessa riqualificazione del reato come bancarotta semplice, inutilmente
richiesta alla Corte d’appello;
– l’omessa applicazione dell’indulto, anch’essa inutilmente richiesta alla Corte
d’appello.

Nessuno dei motivi dì ricorso merita accoglimento.

1. La giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte in tema di nuove
contestazioni è nel senso che la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 c.p.p.
e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui
all’art. 517 c.p.p. ben possono essere effettuate dopo l’apertura del dibattimento
e prima dell’espletamento dell’istruttoria dibattimentale, sulla sola base degli atti
già acquisiti dal p.m. nel corso delle indagini preliminari (Cassazione penale, sez.
VI, 22/09/2009, n. 44980 CED Cass. pen. 2009, rv 245284. (cfr. Cass. S.U.
28/10/1998, n. 4, Barbagallo). A tale orientamento questo collegio ritiene di
aderire, posto che l’art. 517 cod. proc. pen. pone, come unica condizione per la
formulazione di nuove contestazioni, che il reato da contestare – com’è dato
riscontrare nella specie – sia connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b) a
quelli per cui si procede. Né possono portare al superamento del dato normativo
le considerazioni difensive, incentrate sul rilievo che, quando viene fatta la nuova
contestazione, è stata superata l’udienza preliminare ed è stata già scelta una
linea difensiva, perché le preclusioni a danno dell’imputato sono state rimosse
dalle pronunce della Corte Costituzionale, succedutesi nel tempo, che hanno reso
possibile l’accesso, in caso di contestazioni formulate ìn udienza, al
patteggiamento (CC n. 265/94), all’obiezione (CC, n. 530/95) e, da ultimo, al
giudizio abbreviato (CC., n. 333/2009); e perché non può essere la scelta di una
linea difensiva – fatta dall’imputato nella consapevolezza dei reati che possono
essergli contestati – a paralizzare il doveroso esercizio dell’azione penale.

2. Privo dì logica e di aderenza al caso concreto è la dedotta inconciliabilità tra il
reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria di cui all’art.
223, comma 2, n. 2, della legge fallimentare, dal momento che all’imputato è
contestata la bancarotta documentale e la bancarotta per distrazione: non gli è
contestato di aver cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il
fallimento della società (nel che consiste il reato di cui all’art. 223, comma 2, n.

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ONSIDERATO IN DIRITTO

2, L.F.). Ed è’ fuori discussione che l’amministratore risponde sia della regolare
tenuta della contabilità che della preservazione del patrimonio sociale.

3. Infondate sono le censure mosse alla sentenza in ordine alla prova del reato di
cui al capo A) (bancarotta documentale). La Corte territoriale, con motivazione
diffusa e puntuale, ha accertato che la società, nel periodo in cui l’imputato ne fu
amministratore (dal 1991 al 31-7-1996), omise la tenuta di alcune scritture
contabili (il libro soci, il libro mastro e il libro dei beni ammortizzabili) e ne tenne

22 pagine; il libro giornale vidimato il 16/11/1995 era mancante di 282 pagine)
o confusionaria (così per il registro IVA acquisti). Tali omissioni e
manchevolezze integrano senz’altro l’elemento oggettivo del reato contestato, in
quanto, come hanno rilevato i giudici di merito – con accertamento di fatto
Incensurabile in questa sede – hanno reso impossibile, o comunque
estremamente difficile, al curatore la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari. Per contro, priva di fondamento giuridico è l’affermazione
difensiva, secondo cui “la materialità del reato richiede una condotta positiva di
frode e non può consistere in una mera condotta omissiva”, sia perché l’omessa
tenuta delle scritture (o parti di esse) rientra nella previsione normativa
(seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2, L.F.), sia perché all’imputato è
contestato anche l’occultamento e la distruzione di parte della documentazione
contabile, attuati al fine recare a sé un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai
creditori: comportamenti, questi, che rientrano senz’altro nel concetto di frode
definito dall’art. 216 L.F.
Inammissibili sono le censure in tema di imputabilità del fatto-reato, in
quanto rivolte a sollecitare un nuovo esame, da parte di questa Corte, degli
elementi di prova acquisiti al giudizio, su cui la Corte d’appello si è pronunciata
con motivazione esaustiva, evidenziando che la maggior parte delle omissioni si
sono verificate nel periodo in cui l’imputato rivestiva la carica di amministratore
e, quanto all’occultamento, che solo lui aveva interesse a celare la prova di
operazioni rivelatrici di una gestione disinvolta e personalistica della società,
essendone stato il dominus per lungo tempo ed essendo stato sostituito, fino al
2000, da soggetto che era la sua longa manus.
Quanto all’elemento soggettivo – integrato, quanto alla prima parte
dell’art. 216, comma 1, n. 2, dal dolo generico e, quanto alla seconda parte, dal
dolo specifico – la sentenza impugnata ha diffusamente evidenziato che le
condotte ascritte all’imputato – tenuta caotica della contabilità, sottrazione di
pagine dai libri obbligatori, occultamente di parte delle scritture e distrazione di
somme rilevanti – sono segni inconfutabili della coscienza e volontà di tenere le
scritture in maniera irregolare e della consapevolezza che questo fatto renderà o
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altre in maniera incompleta (il libro giornale vidimato il 29/6/1994 mancava di

potrà rendere impossibile o più difficile la ricostruzione delle vicende del
patrimonio d’impresa, nonché dell’intenzione di recare a sé un ingiusto profitto e
pregiudizio ai creditori. Trattasi di argomentazioni assolutamente logiche, che
rendono ragione della decisione assunta e sottraggono la motivazione alle
censure del ricorrente, anche laddove contestano la natura fraudolenta della
bancarotta (in direzione di quella semplice).

4. Infondato è il motivo con cui si assume l’insussistenza del reato sud C) ed in

circostanza che la somma prelevata (310 milioni di lire) rappresentava la
restituzione di un finanziamento effettuato dal socio stesso alla società.
Innanzitutto si osserva che nel provvedimento impugnato è stato posto in luce
come nella fattispecie in esame manchi la prova che sia stato proprio il Sesso a
finanziare la società, non esistendo nel bilancio del 1994, pure richiamato dalla
difesa, indicazione in tal senso. In ogni caso va considerato che neppure in base
alle allegazioni del ricorrente potrebbe individuarsi nei suoi confronti ipotesi di
credito esigibile: invero, se si fosse trattato (come affermato in ricorso, con un
mero richiamo al citato bilancio ed alla nota integrativa) di somma erogata a
titolo di mutuo non risulterebbe comunque dimostrato essersi verificata la
scadenza dell’obbligo di restituzione; se invece si fosse trattato di versamento
destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in
conto capitale” o simili denominazioni, l’esigibilità si sarebbe realizzata solo per
effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del
bilancio di liquidazione (si veda sul punto: cessazione civile 31 marzo 2000 Rv.
588234; cessazione civile 23 febbraio 2012, n. 2758, Rv. 621560, ove al
contempo si sottolinea che la natura dell’erogazione non dipende tanto dalla
denominazione contenuta nelle scritture contabili, quanto dal modo in cui il
rapporto è stato attuato, dalle sue finalità e dagli interessi sottesi).
Quanto sopra vale ad escludere non solo le invocate ipotesi di irrilevanza penale
della condotta e di bancarotta semplice, ma altresì la possibilità di derubricare il
fatto in bancarotta preferenziale: ciò perché ai fini della configurabilità di
quest’ultima è necessario che il credito sia liquido ed esigibile (Cass. 73/2008, n.
14908, Rv 239487; Cass. 20/11/2011, n. 1793 – Rv 252003).
Nella delineata situazione – posto che era onere dell’amministratore, a fronte
dell’accertato ed incontestato prelievo da lui effettuato, dimostrare il legittimo
impiego della relativa somma (Cass. 15/12/2004, Rv 231411; Cass. 27/11/2008,
Rv 243295) – correttamente i giudici di merito hanno inquadrato il
comportamento del predetto nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta per
distrazione. Né incide il rilievo che il fatto de quo sia avvenuto sette anni prima
del fallimento, essendo sufficiente l’idoneità del medesimo a creare danno
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subordine la configurabilità di bancarotta semplice, motivo ancorato alla

patrimonio sociale e quindi alla massa dei creditori (Cass. 22-11-2006, Rv
235694), idoneità congruamente evidenziata dalla Corte territoriale in base alla
circostanza che la “restituzione” era stata effettuata in un periodo in cui la
società aveva già accumulato rilevanti perdite (per 1500 milioni di lire) e si
trovava in stato di insolvenza.

5. Non dà luogo a nullità della sentenza, infine, l’omessa pronuncia sull’indulto,
richiesto dal ricorrente, in quanto la sua applicazione può, senza pregiudizio per

In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21-11-2012

l’imputato, essere rimessa alla fase esecutiva.

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