Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1733 del 09/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1733 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VUTO PAOLO N. IL 28/09/1979
avverso l’ordinanza n. 37/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
08/04/2013
sentita la re zione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/se • e le conclusioni del PG Dott. Op5Przxì,\E – PIPTR

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Data Udienza: 09/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di L’Aquila, in funzione di giudice dell’esecuzione, con
ordinanza dell’8/4/2013 rigettava l’istanza proposta da Vuto Paolo di
riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti giudicati da una
sentenza del G.I.P. del Tribunale di Venezia e da una della Corte d’appello di
L’Aquila.
Secondo la Corte, nel caso di specie non sussistevano elementi concreti e

determinazione volitiva, essendo stati commessi in epoca piuttosto distante
(marzo e luglio 2009) e in luoghi diversi (Portogruaro e Pescara).

2. Ricorre per cassazione il difensore di Vuto Paolo, deducendo violazione di
legge e vizio di motivazione.
La Corte avrebbe dovuto avvedersi che le due rapine erano state commesse
contro due gioiellerie, in un arco di tempo sovrapponibile e con l’ausilio dei
medesimi partecipi (Vozza, Vuto, D’Onofrio e Grassi Enrico).
La Corte non aveva adottato i parametri di legge per il riconoscimento di un
unico disegno criminoso: eppure tutti gli autori risiedevano a Taranto e avevano
preordinato la commissione dei singoli fatti, ravvicinati nel tempo e posti in
essere con le medesime modalità. Nessun riferimento il Giudice aveva fatto
sull’identica organizzazione, mezzi, tempistica e modalità.
Il ricorrente sottolinea che nei confronti del correo D’Onofrio Massimo era
stata riconosciuta la continuazione tra i due reati.
Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la

declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

La violazione di legge denunciata è palesemente insussistente, in quanto la
Corte territoriale ha applicato l’art. 81 cpv. cod. pen. secondo l’interpretazione
costantemente adottata da questa Corte, quella per cui l’unicità del disegno
criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della
legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e la prova di

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specifici per ritenere che tutti i reati fossero stati frutto di originaria ideazione e

tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che
siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle
condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008 – dep. 16/04/2009,
Di Maria, Rv. 243632).

Non sussiste nemmeno il vizio di motivazione denunciato: la Corte ha dato
atto di non avere rinvenuto elementi concreti e specifici che indicassero che tutti
i reati oggetto delle due sentenze di condanna fossero stati frutto di una

indicavano il contrario (distanza temporale tra le due rapine, distanza fisica tra i
luoghi di consumazione dei due reati).

2. Le considerazioni del ricorrente sono, in realtà, in fatto e sollecitano da
questa Corte una nuova valutazione del merito del provvedimento che, invece, le
è preclusa.

L’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. permette al ricorrente la
specifica indicazione di atti del processo al fine di provare il vizio di motivazione.
Tuttavia, tale indicazione deve dimostrare la contraddittorietà o la manifesta
illogicità della motivazione: deve, cioè, dimostrare che essa è logicamente
“incompatibile” con gli atti indicati in misura tale da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Gli atti del processo invocati dal ricorrente, quindi, non devono
semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare
l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali
incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o
contraddittoria la motivazione.

Nel ricorso in esame si coglie, in primo luogo, non l’indicazione “specifica” di
atti del processo, ma il tentativo di sottoporre a questa Corte l’intero materiale
processuale già valutato dalla Corte territoriale, chiaro indice della pretesa di una
nuova valutazione globale della domanda, con sovrapposizione a quella espressa
dal giudice di merito.

Ma soprattutto, nessuno dei fatti abbondantemente riversati a questa Corte
dimostra – con l’evidenza che l’art. 606 cit. richiede – la contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione: in particolare non dimostra affatto ciò che

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originaria ideazione e determinazione volitiva, in presenza di elementi che

l’ordinanza impugnata ritiene indimostrato, che cioè le due rapine erano state
ideate e programmate unitariamente prima della consumazione di quella di
Portogruaro (marzo), nell’ambito di un disegno criminoso unico.
Il ricorrente, cioè, sembra confondere la prova degli indici rivelatori della
continuazione con la prova della continuazione: non vi è dubbio che alcuni
elementi sintomatici usualmente adottati dalla giurisprudenza per il
riconoscimento del vincolo sussistano; ma la Corte territoriale li ha esaminati
giungendo a ritenere che essi non fossero sufficienti a convincere dell’esistenza

D’altro canto, nessuno degli indici evidenziati dal ricorrente possiede una
“forza” dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal
giudicante.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 9 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

di un’unica decisione congiunta che comprendesse entrambe le rapine.

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