Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1730 del 09/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 1730 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOTTA DOMENICO N. IL 07/05/1948
avverso l’ordinanza n. 5428/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 13/03/2013
sentita la r azione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/se e le conclusioni del PG Dott.

v)41,/whz4ccb_

n-WP

Data Udienza: 09/12/2013

Uditi dife or Avv.;

z

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino, con ordinanza del 13/3/2013,
rigettava le istanze di affidamento in prova al servizio sociale, detenzione
domiciliare e semilibertà avanzate da Motta Domenico, libero, nei confronti del
quale era stato emesso ordine di esecuzione per la pena di anni uno e mesi sei di
reclusione inflitta per il reato di bancarotta fraudolenta.
Il Tribunale rilevava che il condannato aveva numerosi precedenti penali per

prova al servizio sociale; osservava che l’attività lavorativa non era più in essere,
come da accertamento della Direzione del Lavoro e come ammesso dallo stesso
condannato che, peraltro, aveva sostenuto di lavorare con la figlia; dava atto
delle informazioni negative ricevute dalla Questura di Reggio Emilia, per fatti
anche assai recenti.
In definitiva, secondo il Tribunale, Motta aveva commesso nel passato reati
analoghi a quelli oggetto dell’esecuzione; era tornato a delinquere dopo due
affidamenti in prova al servizio sociale; non aveva mostrato un atteggiamento
sincero e trasparente nel corso dell’indagine svolta dall’UEPE; aveva prodotto un
contratto di lavoro con la figlia meramente preordinato all’ottenimento dei
benefici e, comunque, non idoneo al contenimento del profilo di pericolosità
sociale alla luce dei numerosi precedenti per reati economici; era per di più
coinvolto in vicende di rilevanza penale analoghe a quelle già commesse nel
passato.

2. Ricorre per cassazione Motta Domenico, deducendo distinti motivi.
In un primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge per erronea
applicazione della normativa di riferimento. I precedenti penali per bancarotta
fraudolenta risalivano a molti anni prima (anni ’90) ed erano divenuti definitivi
per la lentezza della giustizia; nelle indagini in corso il Motta era stato coinvolto
ingiustamente, né aveva ricevuto alcuna informazione di garanzia, mentre il
carico pendente per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali
non impediva la concessione delle misure alternative. Egli si era adoperato
attivamente per evitare le conseguenze dei reati di bancarotta fraudolenta.
Inoltre il ricorrente aveva chiesto al Tribunale di disporre ulteriori
accertamenti, che non erano stati espletati.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione della legge 199 del
2010 con riferimento alla mancata concessione della detenzione domiciliare.
Il Tribunale di Sorveglianza non aveva in alcun modo motivato in ordine alla

2

reati dello stesso tipo e aveva già usufruito per tre volte dell’affidamento in

sussistenza delle cause impeditive della misura.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e carenza di
motivazione con riferimento al rigetto dell’istanza di semilibertà: il Tribunale di
Sorveglianza non aveva esplicitato il motivo per cui riteneva non idonea al
reinserimento del soggetto detta misura.

In un quarto motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione con

Direzione del Lavoro erano successivi alla presentazione dell’istanza di misure
alternative e non dipendevano dalla condotta del ricorrente, che era stato
sempre onesto, sincero e collaborativo con il personale dei Servizi sociali e non
era tornato a delinquere dopo il termine dell’affidamento in prova (15 agosto
2012).
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, chiede dichiararsi
inammissibile il ricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria, con cui insiste nei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

Preliminarmente deve rilevarsi che la mancata concessione della detenzione
domiciliare ai sensi dell’art. 199 del 2010, oggetto del secondo motivo di ricorso,
non era oggetto della domanda proposta al Tribunale di Sorveglianza che, del
resto, non è competente a provvedere sul punto, atteso che la legge citata
individua nel Magistrato di Sorveglianza l’organo deputato.
Risulta, quindi, evidente l’inammissibilità del motivo.

Gli altri motivi di ricorso sono palesemente infondati.
La valutazione espressa dal Tribunale di Sorveglianza ha compreso tutte le
misure alternative richieste per un motivo evidente: il quadro assolutamente
negativo della personalità del soggetto, tale da impedire le valutazioni
prognostiche necessarie alla loro concessione. Il Tribunale, cioè, non poteva
ritenere che nessuna delle misure potesse contribuire alla rieducazione del
condannato e impedire la commissione di altri reati, né permettere il suo

3

riferimento alla valutazione dell’attività lavorativa: i fatti evidenziati dalla

graduale reinserimento nella società.

La valutazione, d’altro canto, si fonda su elementi eclatanti, tutti negativi: i
numerosi precedenti penali specifici, commessi anche dopo i periodi di
affidamento in prova al servizio sociale; i gravi procedimenti pendenti,
concernenti fatti recentissimi; la mancata comunicazione della cessazione del
rapporto lavorativo; la stipula di un contratto fittizio con la figlia per far figurare

Le censure del ricorrente sono, quindi, manifestamente infondate, quando
sostengono una violazione di legge o un vizio di motivazione, e, comunque, in
fatto, quando cercando di ricostruire in fatti in modo differente da quanto fatto sulla base di documenti provenienti da diverse Autorità – dal Tribunale di
Sorveglianza.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 9 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

esistente un altro rapporto di lavoro.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA