Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17294 del 11/01/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17294 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 11/01/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHINDAMO RAFFAELE N. IL 12/09/1987
CAMBARERI VINCENZO N. IL 31/05/1973
CAMBARERI CLAUDIO N. IL 11/09/1989
MARASCO ROCCO N. IL 22/01/1988
CAMBARERI FRANCESCO N. IL 16/04/1960
CAMBARERI VINCENZO N. IL 22/08/1988
BIONDO ANTONINO N. IL 01/07/1987
avverso la sentenza n. 1470/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 21/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/01/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

;

C-41

Udito, per la parte civile, l’Avv

,lì

i

Uditi difensor Avv.

(7-3

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorrono per cassazione, a mezzo dei loro difensori:
1. Chindamo Raffaele
2. Cambareri Vincenzo cl. 73,
3. Cambareri Claudio,
4. Cambareri Vincenzo cl. 88,

6. Marasco Rocco
7. Biondo Antonino
avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria che, in data 21 febbraio 2012, in
parziale riforma della sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale
di Palmi il 20 dicembre 2010, ha assolto CHINDAMO Raffaele dai reati a lui ascritti ai capi B,
E), ed L) perché il fatto non sussiste; CAMBARERI Vincenzo classe 73 dal reato di cui al capo
B) perché il fatto non sussiste e, concesse le circostanze attenuanti generiche, a CHINDAMO
Raffaele, MARASCO Claudio e BIONDO Antonino, ritenuta la continuazione fra tutti i reati ad
esclusione di quelli contestati a Cambareri Vincenzo classe 73 di cui ai capi AA), BB), CC) da
ritenersi in continuazione tra loro, ritenuta l’ipotesi di cui al comma due dell’articolo 416
contestato al capo Al) ha rideterminato la pena per: CHINDAMO Raffaele con riguardo ai reati
di cui ai capi Al), C), D), G), H), H1), H2), H3), Q), R), R1), e S) in anni 3 e mesi 4 d recl. ed
C 1400,00 di multa; CAMBARERI Vincenzo cl. 73 con riguardo ai reati di cui ai capi Al), Q),
R), R1), ed EE) in anni 2, mesi 6 e gg. 20 di recl. ed C 800,00 di multa e ha confermato la
condanna disposta dal primo giudice con riguardo ai reati di cui ai capi AA), BB) e CC);
CAMBARERI Claudio con riguardo ai reati di cui ai capi Al), Q), R), R1) e S) in anni 2 di recl.
ed C 1000,00 di multa; MARASCO Rocco con riguardo ai reati di cui ai capi Al), G), H), H1),
H2), H3), Q), R), R1) e 5) in anni 2, mesi 6 e gg. 20 di recl. ed C 1200,00 di multa;
CAMBARERI Francesco con riguardo ai reati di cui ai capi Al), R1), 5) T), U), V), e Z) in anni
2, mesi 10 e gg. 20 di recl. ed C 1200,00 di multa. Ha confermato la condanna inflitta dal
primo giudice a BIONDO Antonino e a CAMBARERI Vincenzo cl. 88.

I reati addebitati a ciascuno sono:

Chindamo Raffaele : Al) ( associazione per delinquere), C, D), G), H), H1), H2), H3),
Q), R), R1)( detenzione di armi e munizioni, e 5)( ricettazione di armi)

Cambareri Vincenzo cl. 73: Al) ( associazione per delinquere), Q), R), R1)( detenzione
di armi e munizioni, S)( ricettazione di armi) ed EE) ( furto)

Cambareri Claudio: Al) ( associazione per delinquere), Q), R), R1(A1) ( associazione
per delinquere), C, D), G), H), H1), 112), 113), Q), R), R1)( detenzione di armi e
munizioni, e S)( ricettazione di armi)

Cambareri Vincenzo cl. 88: R1 ( detenzione di armi)

5. Cambareri Francesco,

,

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Cambareri Francesco, Al) ( associazione per delinquere, R1) T), U), Z) ( detenzione di
armi e munizioni) S) e V) (ricettazione)

Marasco Rocco : Al) ( associazione per delinquere), G), H), H1), H2), H3), Q), R),
R1)(detenzione di armi e munizioni, e S)( ricettazione di armi)

Biondo Antonino: capo FF) (detenzione di armi)

Il processo è il risultato di una complessa indagine di polizia giudiziaria che, cercando di far

giunta all’esistenza di un’associazione per delinquere con base a Rosarno, composta
prevalentemente da giovani accomunati dalla passione per le armi e dediti alla pianificazione e
alla successiva esecuzione di un’attività criminosa ad ampio raggio finalizzata alla realizzazione
di reati contro il patrimonio e detenzione di armi. La rapina era stata realizzata da due individui
travisati ed armati che viaggiavano su una Fiat Panda Van di colore bianco risultata oggetto di
furto da parte di De Paola Antonino, individuato attraverso la visione delle fotocamere ubicate
nel luogo della commissione del reato. Era stato altresì accertato che il De Paola aveva
raggiunto il luogo del furto a bordo di una Peugeot 206, risultata intestata a Chindamo
Raffaele. Venivano quindi sottoposte ad intercettazione le conversazioni tra presenti realizzate
a bordo di detta autovettura e venivano poi monitorate le utenze telefoniche intestate a
soggetti il cui coinvolgimento nell’attività delittuosa era emerso dalle conversazioni captate.
Accanto all’attività tecnica di intercettazione venivano svolti servizi sul territorio che portavano
a perquisizioni e sequestri di materiale balistico di vario genere e all’arresto dei soggetti di
volta in volta sorpresi in possesso di armi e munizioni illegalmente detenute.

In particolare Chindamo Raffaele deduce che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. violazione dell’articolo 606 lett. e) in relazione agli articoli 125, 546 comma 1 lett. e)
codice procedura. Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata si fonda
essenzialmente sull’acritica adesione alle argomentazioni offerte dal giudice per le
indagini preliminari, in sede di applicazione della misura coercitiva, e dal giudice
dell’udienza preliminare, all’esito del giudizio abbreviato. Sostiene che la corte reggina
non solo ha omesso di valutare le puntuali censure mosse al provvedimento di primo
grado ,alla cui motivazione si è rifatta per relationem, ma non ha neppure illustrato i
criteri attraverso i quali è pervenuta a un giudizio di responsabilità dell’imputato
2. violazione ex articolo 606 lett. C) ed E) in relazione agli articoli 546 co 1 lettera e) 267
codice procedura penale, articolo 13 costituzione. Lamenta il ricorrente che la corte
reggina non ha risposto alle doglianze illustrate nell’atto d’appello in particolare
evidenza che nel caso in esame era stata sottolineata la discordanza degli indizi che
avevano giustificato plurime assoluzioni. Sostiene inoltre che la valutazione degli indizi
andava compiuta in maniera unitaria, stante l’esistenza di un accordo criminale
generalizzato, e non in maniera parcellizzata come invece aveva fatto il giudice
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luce su una rapina consumata il 27 maggio 2009 a Rosarno ai danni di un autotrasportatore, è

3″

333,3

1•3

3

dell’udienza preliminare. Evidenzia inoltre che la richiesta di intercettazione ambientale
sull’auto del Chindamo si fondava su una mera ipotesi, disattesa persino dalla pubblica
accusa in sede di formulazione delle imputazioni con la conseguenza che la captazione
era stata disposta per iniziare l’indagine e ciò in violazione del disposto di legge che
presuppone che l’attività di indagine sia già iniziata e non che l’intercettazione sia
utilizzata per ricercare la notitia criminis. Con riguardo a tale ultima doglianza sottolinea
che la corte di merito non ha valutato l’inidoneità del materiale assunto dall’Accusa ad
assurgere ad indizio o elemento di prova e dunque a legittimare il ricorso al mezzo di
ricerca della prova. Verifica ineludibile per l’accertamento della legittimità del materiale
che potrà essere utilizzato dal giudice. Né, secondo il ricorrente, è sufficiente affermare,
come fatto in sentenza, che nel giudizio abbreviato gli atti probatori inutilizzabili sono
solo quelli affetti da inutilizzabilità patologica, cioè assunti contra legem per ritenere
infondata l’eccezione sollevata. è infatti evidente come nel caso di specie si versi in
un’ipotesi di inutilizzabilità patologica lesiva del diritto costituzionalmente garantito del
cittadino a non subire interferenze nella propria vita privata
3. violazione dell’articolo 606 lett. b) ed e) in relazione agli articoli 546 comma uno lett. e)
codice di procedura penale e 416 codice penale. Lamenta l’assoluta evanescenza delle
argomentazioni poste a fondamento della conferma della sentenza di condanna con
riferimento al delitto associativo. Si duole del fatto che è stata accertata l’esistenza
dell’associazione pur non essendo stato provato, come già osservato nei motivi
d’appello, l’epoca in cui sarebbe stata costituita, l’oggetto del patto sociale, l’ambito
territoriale e la struttura organizzativa interna
4. violazione dell’articolo 606 lett. b) in relazione all’articolo 546 comma 1 lett. e) codice
procedura penale, articoli 10,14 legge 497/74, articolo 23 legge 110/75, articolo
697,648 codice penale. Lamenta il ricorrente illogicità della motivazione con riguardo
alla conferma della condanna per i reati di cui ai capi C), D), G), H), I11), H2), M3), Q),
R), R1), e 5). Con riguardo ai reati di cui ai capi C) e D) evidenzia come la corte di
merito ha condannato l’imputato per detenzione illegale di armi, reati asseritamente
commessi in data 20 giugno 2009, sebbene abbia ritenuto, diversamente da quanto
fatto dal primo giudice, di dover assolvere lo stesso dal reato contestato al capo E)
(articolo 703 codice penale) commesso lo stesso giorno. Ritiene la sentenza immotivata
anche con riguardo ai reati di cui ai capi H), H1), H2), H3). Lamenta che la corte ha
omesso di valutare le censure sviluppate dall’imputato nell’atto di gravame. Analoga
censura avanza riguarda i reati di cui ai capi Q), R), R1), e S).

Cambareri Vincenzo e Cambareri Claudio deducono che la sentenza impugnata è incorsa in

violazione di legge e vizio della motivazione. Contestano la valutazione degli atti di indagine
con riguardo al reato associativo sostenendo che contrariamente alle considerazioni svolte da
entrambi i giudici di merito risulta evidente che gli illeciti, consumati singolarmente da parte di
3

1333Ifire!.

taluno degli imputati del presente processo o in limitati casi, in concorso materiale tra di loro,
non trovano collegamento sistematico con le finalità della presunta associazione per
delinquere. Lamentano

che

nella sentenza della corte reggine non vi è traccia del

ragionamento logico che ha condotto alla dimostrazione dell’effettiva appartenenza del
ricorrente all’associazione per delinquere. Contestano anche la valutazione degli elementi
probatori con riguardo ai reati di cui ai capi Q), R), R1) e 5) . Sostengono che il dato oggettivo
travisato dalla corte di appello di Reggio Calabria è questo: prima del sequestro del fucile e

alcun rapporto diretto e indiretto di conoscenza o meno con quel fucile e con quelle munizioni.
Dopo il sequestro e l’arresto è innegabile che esistano conversazioni di intercettazioni
ambientali che riguardano i germani. Tale captazioni però non provano minimamente e,
comunque oltre ogni ragionevole dubbio, la pregressa disponibilità di armi e munizioni in capo
gli imputati
Anche con riguardo ai reati di cui ai capi AA) e CC), ovverosia le molteplici reiterate violazioni
delle misure di prevenzione, si lamenta il travisamento delle emergenze probatorie. Analoghe
considerazioni vengono svolte con riguardo al reato di cui al capo BB). Con riguardo al furto
ascritto a CAMBARERI Vincenzo ci. 73 ( capo EE) si lamenta che gli elementi indiziari utilizzati
non sono gravi precisi e concordanti. Si contesta l’interpretazione data alla telefonata dell’il
novembre 2009 ore 17,16 progressivo numero 6378 e comunque si contesta la valutazione
data agli elementi probatori.

Cambareri Vincenzo cl. 88, Cambareri Francesco e Marasco Rocco

deducono che la

sentenza impugnata è incorsa in violazione delle norme di legge con specifico riferimento
all’articolo 416 comma uno e tre codice penale e vizio della motivazione risultante dal testo del
provvedimento.
In particolare con riguardo a Cambareri Francesco il ricorso evidenzia l’assenza di elementi
probatori con riguardo alla contestata partecipazione all’associazione. Si sottolinea che
l’imputato potrà rispondere sotto il profilo della gravità indiziaria della detenzione di un fucile
(più munizioni) di cui ai capi t) u) v) e z), ma tale fatto si riduce a una situazione circoscritta
ed isolata al di là della quale non è possibile dimostrare proiezioni e contributi associativi
neanche sotto il profilo della consapevolezza di un accordo criminoso stabile e duraturo che
soddisfi un programma criminale originale illimitato ed indefinito.
Con riguardo a Marasco Antonio viene contestata l’ interpretazione delle conversazioni
intercettate richiamate nei provvedimenti dei giudici di merito. Anche con riguardo a Cambareri
Vincenzo (capo R1) si contesta l’interpretazione data alle conversazioni intercettate

BIONDO Antonino deduce violazione di legge con riguardo all’articolo 192 comma due del
codice di procedura penale e vizio della motivazione. Contesta la ricostruzione dei fatti operata
dalla corte territoriale
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delle munizioni Cambareri Claudio e Cambareri Vincenzo non manifestano e non esternano

Il ricorso presentato da Chindemi Raffaele è inammissibile perché i motivi, che possono essere
trattati congiuntamente, sono reiterativi, generici e versati in fatto. Deve premettersi che in
sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione
prospettata col gravame quando la stessa è stata disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata. Per la validità della decisione non è infatti necessario che il
giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi
evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva
implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Qualora il provvedimento
indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese
determinanti per la formazione del convincimento del giudice, in modo da consentire
l’individuazione dell’iter logico – giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non
vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass. Pen. Sez. 5,
2459/2000; Cass Sez. 2 N. 29439/2004; Cass Sez.2 n.29439/2009)
Il giudice di merito non è infatti tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni
delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Devono, infatti,
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Nel caso in esame il giudice d’appello non si è limitato a richiamare la sentenza di primo grado
che aveva già confutato tali doglianze, ma ha dato espressamente conto di avere esaminato in
maniera specifica le censure in esame e di essere pervenuto alla conclusione, con motivazione
coerente e priva di vizi logici, che non vi era spazio per un’alternativa diversa da quella
sostenuta nella sentenza impugnata.
In questa sede il ricorrente, attraverso il vizio dell’omessa motivazione, non solo ha reiterato
le doglianze già esposte con i motivi d’appello che la Corte di merito aveva debitamente
disatteso, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben
individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare. In proposito il
Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della c.d.
“autosufficienza” del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti
processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del
ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione
dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente
nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame
diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza

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difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza

dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n.
47499/07; Cass. n. 16706/08)
Al giudice di legittimità resta infatti tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione – la
. rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice

motivazione.
Ciò detto deve rilevarsi che i motivi sono del tutto generici, non tenendo conto delle
argomentazioni esposte dalla sentenza impugnata con riguardo al reato associativo ed ai reati
satelliti per cui vi è stata pronuncia di condanna, e prospettando una generica rilettura del
compendio probatorio, secondo un iter tipicamente inammissibile nel giudizio di legittimità. In
particolare la corte di merito ha ritenuto che proprio i plurimi dialoghi captati in merito alla
programmazione di un numero indeterminato di reati (rapine e furti di ogni genere) hanno
costituito un eclatante e non poi tanto frequente caso nell’esperienza giudiziaria di prova piena
della programmazione tipica di un’associazione per delinquere che non si esaurisce in un
accordo meramente occasionale, finalizzato commettere determinati reati, ma si sostanza in
un pactum sceleris che contempla una programmazione indeterminata di delitti pienamente
rientranti nel programma associativo ( si tratta di delitti a fini di lucro e di delitti agli stessi
funzionali in materia di armi e ricettazione). Associazione di cui il Chindamo era sicuramente
partecipe in quanto molteplici sono state le conversazioni captate in cui l’imputato
programmava con i sodali la realizzazione di rapine ai danni ora di mezzi di trasporto ora di
un’agenzia portavalori (la Metropol) dopo che la stessa aveva prelevato gli incassi da non
precisati esercizi commerciali. Conversazione che secondo i giudici di merito hanno consentito
di apprezzare la frequenza dei contatti con i sodali e la costanza con cui l’imputato proponeva o
sollecitava la realizzazione di reati, soprattutto rapine, descrivendo i mezzi necessari alla loro
esecuzione. Sono state altresì evidenziate le numerose conversazioni nelle quali il ricorrente
programmava di perpetrare furti di motocicli indicati come mezzi da preferire per le rapine ai
danni di stazioni di servizio e come dalle conversazioni captate era emerso che il Chindami
aveva disponibilità di armi che aveva anche conferito per la custodia temporanea a Cambareri
Francesco affinché le tenesse in un locale, di cui aveva le chiavi anche Cambareri Vincenzo cl.
73 nell’interesse del sodalizio criminoso. Conversazioni riscontrate dai ripetuti sequestri di armi
e munizioni eseguiti il 29 giugno e il 3 luglio 2009 e il 15.2.2010 a carico dei soggetti legati al
Chindamo da stretti rapporti di collaborazione ( famiglie Marasco e Cambareri) che, come
affermato dai giudici di merito, rendono estremamente realistica la narrazione fatta dallo
stesso nelle conversazioni intercettate in merito alle armi in suo possesso o comunque nella
sua disponibilità, esclusiva e o promiscua. Proprio la descrizione dettagliata e particolareggiata
delle armi, delle modalità di funzionamento delle stesse con specifico riferimento alla
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del fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della

potenzialità offensiva variabile in relazione ai diversi calibri delle munizioni volta per volta
Impiegati ha consentito alla corte di appello di ritenere pienamente attendibili le dichiarazioni
intercettate nelle conversazioni intercorse tra il Chindamo e Biondo Antonino riguardo la
detenzione illecita del materiale balistico descritto nei capi di imputazione, dichiarazioni
confortate dal rinvenimento entro lo stesso mese di armi della stessa specie di quella descritta
dai due imputati. Situazione che consentiva ai giudici di merito di escludere qualsivoglia intento
millantatorio e di ritenere veritieri i riferimenti alla pregressa detenzione e all’impiego delle

l’assoluzione in ordine alla contestata violazione dell’articolo 703 codice penale.
Va anche ricordato che nel caso in esame ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè
doppia pronuncia di eguale segno. Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza
della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora
sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di
un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di
una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia
riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il
limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in

cui il giudice

d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto
probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass., n. 5223/07, ric. Medina, rv. 236130). Il
giudice di appello nel caso in esame ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già
sottoposto al giudice di primo grado e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è
giunto alla medesima conclusione circa la sussistenza dei reati contestati al Chindamo.
Con riguardo alla sollevata eccezione di inutilizzabilità della intercettazione ambientale disposta
sull’auto del Chindemi deve osservarsi che è vero che, trattandosi di motivo di natura
processuale, alla Corte di Cassazione è consentito di esaminare gli atti del fascicolo del
procedimento al fine di verificare Il fondamento dell’eccezione proposta, ma è altresì vero che
l’applicazione concreta di questo principio presuppone che venga quanto meno specificamente
indicato l’atto affetto dal vizio denunziato e che l’atto da esaminare sia contenuto nel
medesimo fascicolo. Se invece questa indicazione non viene fornita o, seppur fornita, l’esame
dell’eccezione richiede l’acquisizione di atti o documenti o notizie di qualsiasi genere che non
formano parte del fascicolo del procedimento deve ritenersi nel primo caso che il motivo sia
inammissibile per genericità, non consentendo al giudice di legittimità di individuare l’atto
affetto dal vizio denunziato; nel secondo caso che costituisca onere della parte richiederne
l’acquisizione al giudice del merito o, eventualmente, di produrlo in copia nel giudizio di
legittimità. Diversamente verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di
individuazione, ricerca e acquisizione di atti, notizie o documenti del tutto estraneo ai limiti
istituzionali del giudizio di legittimità.( Cass Sez. 4 n. 33700 Rv. 229098). Nel caso in esame il
ricorrente ha genericamente sollevato la questione di inutilizzabilità senza fornire indicazione
alcuna se non il mero richiamo ad affermazioni contenute nei propri motivi d’appello e senza
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singole armi da parte dei due imputati. Elementi in ordine ai quali nessun incidenza ha avuto

fare riferimento alle specifiche argomentazioni dei giudici di appello che hanno ritenuto
destituita di fondamento l’eccezione sollevata dalla difesa in relazione all’attività di captazione
disposta nel maggio 2009 a bordo della Peugeot 206 in uso al Chindamo evidenziando come,
all’epoca in cui fu autorizzata detta intercettazione, erano certamente ravvisabili i gravi indizi
di reato e non di colpevolezza richiesti dal codice di rito, avuto riguardo alla rapina perpetrata
da ignoti con l’uso della Panda Van in precedenza rubata a Vibo Valencia dal De Paola, che era
giunto sul luogo del furto a bordo dell’auto del Chindamo, così come era sussistente l’ulteriore

apparendo possibile il ricorso ad altra idonea opzione investigativa.
Il ricorso di Chindamo deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le doglianze dei ricorrenti Cambareri Vincenzo e Cambareri Claudio denunciano, sotto diversi
profili , vizi di motivazione.
In proposito vanno richiamati i principi, ripetutamente affermati da questa Corte, che regolano
il sindacato del giudice di legittimità.
La mancanza di motivazione consiste nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della
causa sottoposto al giudice di merito, non già nell’insufficienza di essa o nella mancata
confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che è stato trattato
dal giudice del provvedimento impugnato, con implicito rigetto della diversa valutazione
operata da quella della parte . Così come il controllo di legittimità non si estende alle
incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente
incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici
e tali, perciò, da costituire fratture logiche, all’interno del discorso giustificativo, tra premesse
e conclusioni.
La verifica che la Corte di Cassazione, in forza dell’art. 606, co. 1 lett. e), C.P.P., è abilitata a
compiere sulla correttezza e completezza della motivazione riguarda la congruità logica e
l’interna coerenza dell’apparato argomentativo posto a base della decisione impugnata e non
va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
fornita dal giudice di merito.
La Corte Suprema non è quindi legittimata a controllare la rispondenza alle risultanze
processuali e l’adeguatezza in concreto delle scelte operate, nell’ambito delle sue esclusive
attribuzioni, dal giudice di merito in ordine alla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, ma
soltanto a riscontrare l’esistenza di una reale e non apparente struttura motivazionale,
completa e logicamente coerente con il materiale probatorio valutato.
Esclusa pertanto una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata, non può integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un.,
29.1.1996, Clarke; 23.2.1996, P.G., Fachini e altri; 22.10.1996, Di Francesco; 2.7.1997,
Dessimone e altri).
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requisito della indispensabilità dell’attività tecnica ai fini della prosecuzione delle indagini, non

La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal “testo” del
provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei
motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il
quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del
fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli
“atti del processo” rappresenta solo il riconoscimento normativa della possibilità di dedurre in
sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, in virtù del quale la Corte, lungi dal

In esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato
preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di
merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e
deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano
o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.
Ciò detto le censure sollevate dalla difesa di Cambareri Vincenzo e Cambareri Claudio si
palesano inammissibili perché versate in fatto e comunque generiche.
I ricorrenti hanno mosso generiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche
sviluppate nella sentenza d’appello, e non hanno nemmeno sostenuto il loro assunto con il
richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso
di valutare. In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di
legittimità il principio della c.d. “autosufficienza” del ricorso in base al quale quando la
doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o
travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa
trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione
(ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla
Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non
emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. Cass. n. 20344/06; Cass. n.
20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08)
Nel caso in esame i ricorrenti non hanno messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli
elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o
allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la
superfluità di un esame diretto dei relativi atti.
In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente
esposte e le argomentazioni esposte nel motivi in esame si risolvono in generiche censure in
punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti
di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una
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procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende

sentenza impugnata che non presenta nella motivazione alcuna illogicità che ne vulneri la
tenuta complessiva sia con riguardo alla partecipazione all’associazione, sia con riguardo al
concorso nei reati -fine concernenti le armi, rispetto ai quali è stato sottolineato come gli atti
di indagine, in particolare le conversazioni telefoniche riscontrate dai sequestri, attestino
l’inserimento degli imputati nel sodalizio criminoso e come sempre le conversazioni
Intercettate, riscontrate dal rinvenimento delle monete nella disponibilità del correo Cambareri
Vincenzo cl. 88, attestino la responsabilità di Cambareri Vincenzo cl. 73 al furto contestato al

dell’associazione criminosa in argomento.
Generiche e versate in fatto sono anche le doglianze con riguardo ai reati sub BB) considerato
che i giudici d’appello hanno evidenziato che la penale responsabilità dell’imputato è stata
affermata sulla scorta di dati oggettivi, già da soli sufficienti a provare la contestata violazione,
ossia l’avvistamento del Cambareri Vincenzo alla guida di un trattore in transito sulla via
nazionale di Rosario intorno alle 19:00, al quale deve aggiungersi il tenore inequivoco delle
conversazioni intercettate. Così come l’affermazione di responsabilità per le violazioni di cui ai
capi AA) e CC) si fonda su dati documentali (servizi di osservazione attivati dalla polizia
giudiziaria e informazioni relative alla cella agganciata dall’utenza telefonica in uso all’imputato
e alla localizzazione satellitare dell’auto in uso al Chindami con la quale il Campareri era solito
spostarsi) e sulle ammmissioni rese dallo stesso imputato nel corso dell’interrogatorio al
pubblico ministero.
Il ricorso di Cambareri Vincenzo e Cambareri Claudio deve pertanto essere dichiarato
inammissibile.

Anche le doglianze avanzate da Cambareri Vincenzo cl. 88, Cambareri Francesco e Marasco
Rocco sono inammissibili perché reiterative dei motivi d’appello, generiche e versate in fatto
Devono essere respinte le censure genericamente volte a contestare il significato attribuito dai
giudici alle conversazioni intercettate. L’interpretazione del linguaggio adoperato nelle
conversazioni intercettate, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa alla
valutazione del giudice di merito (Cass n. 17619/2008 RV 239724 N. 3643 del 1997 Rv.
209620, N. 117 del 2006 Rv. 232626, N. 15396 del 2007 Rv. 239636) e si sottrae al giudizio di
legittimità se tale valutazione risulta logica in rapporto a massime di esperienza. Nella specie, i
giudici hanno offerto una ricostruzione del significato delle conversazioni oggetto di
intercettazione – in alcuni casi particolarmente esplicite – del tutto coerente. Ne consegue che
le critiche mosse, tra l’altro in maniera generica, al senso e al significato dato ai colloqui
registrati devono ritenersi del tutto infondate.
Le ulteriori argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in reiterate generiche
censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa
lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a
fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente
io

capo EE), reato che rientra nella tipologia dei beni oggetto della programmazione

motivata proprio in punto di responsabilità degli imputati per tutti i reati contestati. In
particolare è stato evidenziato come Cambarieri Francesco fosse ben consapev -ole di custodire
le armi per conto del sodalizio criminoso dal quale traeva utilità consistente nella percezione
dei beni oggetto della stessa attività delittuosa della associazione. Sul punto sono state
richiamate le conversazioni intercettate intercorse fra Cambarieri Vincenzo cl. 73 e la moglie di
Cambarieri Francesco (

….allora come si prese il dolce si prende anche l’amaro )

dimostrative della sua posizione qualificata nell’associazione in esame.

inammissibile.

Il ricorso di Biondo Antonino è inammissibile perché il ricorrente, sotto il profilo del vizio di
legge e di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto non consentita
In questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel
quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della
motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova
valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.
Il giudice di merito con motivazione logica e coerente ha escluso il carattere millantatori° del
dialogo intercorso fra il Chindamo e il Biondo nel corso del quale gli stessi hanno reso
dichiarazioni autoaccusatorie in ordine ai reati rispettivamente contestati, in particolare la corte
d’appello ha disatteso con specifica argomentazione le deduzioni difensive che, già in quella
sede, ventilavano un’alternativa è poco plausibile versione dei fatti.
IO ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi%ondanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma 1’11.1.2013
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
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F
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Anche il ricorso di Cambareri Vincenzo cl. 88, Cambareri Francesco e Marasco Rocco è pertanto

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