Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17290 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17290 Anno 2018
RITENUTO IN FATTO
Presidente: CAVALLO ALDO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del

Relatore: LIBERATI GIOVANNI

Tribunale di Trento ha applicato a Moraru Octavian Marian la pena dallo stesso richiesta

Data Udienza: 23/02/2018

ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R.
309/90 e 443 cod. pen.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione di legge penale, con riferimento all’art. 74 d.P.R. 309/90, per l’errata
affermazione della configurabilità di tale delitto, difettando la prova della esistenza di una

struttura organizzata volta alla commissione di una pluralità di reati in materia di
stupefacenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l’obbligo
della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc.
pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione.
Nel caso di specie tale obbligo risulta essere stato adeguatamente assolto dal
Tribunale, anche quanto alla configurabilità del reato associativo, di cui il ricorrente ha
contestato la sussistenza, mediante il richiamo agli elementi di responsabilità emergenti
dai risultati delle indagini, dai sequestri e da quanto risultante dalle intercettazioni di
conversazioni, sulla base dei quali è stata espressamente esclusa la sussistenza di cause
di proscioglimento, in relazione a tutti i reati contestati, dunque anche a quello
associativo, con la conseguente manifesta infondatezza delle doglianze sollevate dal
ricorrente sul punto.
Il ricorso in esame deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 3.000,00.

P.Q.M.

1

LL

A

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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