Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17266 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17266 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

sul ricorso pr)posto da:
SALAM BRAH M nato il 15/05/1988

avverso la sentenza del 12/07/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA
dato avviso aie parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Brescia ha applicato a Salam
Brahim la pena dallo stesso richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in relazione al
reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione dell’art. 129 e 444 cod. proc. pen. e contraddittorietà della motivazione, in
relazione alla mancata pronuncia di sentenza di proscioglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO

prive di riferimento alla vicenda concreta e di confronto con la motivazione della sentenza
impugnata, è manifestamente infondato.
Deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l’obbligo
della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc.
pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argonnentative della decisione è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione.
Nel caso di specie tale obbligo risulta adeguatamente assolto dal Tribunale,
attraverso l’ampio e dettagliato richiamo agli elementi di responsabilità emergenti dal
verbale di arresto e dagli atti di indagine.
Quanto alla motivazione in ordine all’entità della pena, il relativo obbligo deve
essere ritenuto assolto da parte del giudice quando, come nel caso di specie, egli dia atto
di avere positivamente effettuato la valutazione della correttezza della qualificazione
giuridica del fatto, dell’applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle
parti e della congruità della pena; risultando effettuata, dal testo della gravata sentenza,
una tale indagine, con esito positivo per la ratifica del patto, tra l’altro sottolineando la
gravità del fatto (in considerazione del quantitativo di stupefacente e delle circostanze del
fatto), l’obbligo di motivazione è stato dunque rispettato (ex plurimis, Sez. 5, 25 gennaio
2000, n. 489, Rv. 215489).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, dela Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
1

Il ricorso, peraltro affidato censure prive della necessaria specificità, essendo

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorreate al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Casa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018

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