Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17257 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17257 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

sul ricorso pr)posto da:
OKOKHUELE LUCKY nato il 20/10/1984 a AHIA( NIGERIA)

avverso la sentenza del 07/04/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso aie parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7/4/2017, la Corte di appello di Bologna confermava la
pronuncia emessa il 14/10/2016 dal locale Tribunale, con la quale Lucky
Okokhuele era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 73, e condannato alla pena di un anno di reclusione e
duemila euro di multa.
2.

Propone ricorso per cassazione l’Okokhuele, a mezzo del proprio

ritenuto la sostanza come destinata allo spaccio pur in assenza di sicuri indici e
con motivazione gravemente viziata. In particolare, avrebbe valorizzato il dato
ponderale, che però, per costante giurisprudenza di legittimità, in sé non
sarebbe sufficiente; specie, peraltro, alla luce del mancato ritrovamento di
attrezzature per confezionare o pesare lo stupefacente. Quanto, infine, alla
condizione reddituale dell’imputato, verosimile risulterebbe la giustificazione
spesa da questi, volta a riferire i 410 euro in sequestro ad accattonaggio e
vendita di prodotti vari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argonnentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.
265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si
richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale
l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e),
cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu ocu/i;

ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso

giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez.
U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte,
osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento
impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di

difensore, chiedendo l’annullamento della pronuncia. La Corte di appello avrebbe

una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad
ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime
emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – pronunciandosi
proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto
congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente

evidenziato plurimi indizi a carico del ricorrente, quali: a) il dato ponderale della
sostanza, pari a circa 51 grammi di marijuana; b) il ritrovamento della somma di
410,00 euro, in sé incompatibile con la condizione personale del soggetto, privo
di fonti lecite ed ufficiali di sostentamento; c) l’estrema inverosimiglianza della
tesi per cui lo stesso, proprio a causa di detta situazione (anche patrimoniale),
avrebbe acquistato una simile scorta di stupefacente. Un significativo insieme di
elementi oggettivi, dunque, che la Corte di appello – in uno con la pronuncia di
primo grado, alla quale si lega in un continuum argomentativo, attesa la cd.
doppia conforme – ha valutato con argomento congruo e non manifestamente
illogico, come tale, quindi, non censurabile in questa sede. E senza che, in ottica
opposta, possa qui procedersi ad una nuova valutazione in fatto degli stessi
riscontri, che il gravame all’evidenza richiede a questa Corte.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018
Il Presidente

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illogica; come tale, quindi, non censurabile. In particolare, la sentenza ha

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