Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17252 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17252 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

sul ricorso proposto da:
PALAZZESE SOFIA LOREDANA nato il 05/08/1964 a NOTARESCO

avverso la sentenza del 18/02/2016 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso aie parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato
la condanna di Sofia Loredana Palazzese in relazione al reato di cui all’art. 2 di.
463/1983, limitatamente agli omessi versamenti contributivi relativi all’anno 2009,
rideterminando la pena inflittale in mesi tre e giorni dieci di reclusione ed euro 230,00 di
multa.
Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti, non essendo sufficiente quanto
emergente in proposito dai modelli DM10 inviati telematicamente.
Ha,

inoltre, eccepito la prescrizione del reato ascrittole,

maturata

successivamente alla sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dell’unico motivo d’appello, è inammissibile.
Attraverso la doglianza relativa all’insufficiente accertamento dell’effettiva
corresponsione delle retribuzioni ai propri dipendenti, la ricorrente censura, in realtà, un
accertamento di fatto compiuto in modo concorde dai giudici di merito, proponendo,
dunque, in tal modo, una doglianza non consentita nel giudizio di legittimità.
E’ necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità
non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella
compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la
sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez.
U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto,
Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia
pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o
un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n.
12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C.
in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata;
Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Mnervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data
11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi
motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del
gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo

1

i

violazione di legge penale e vizio della motivazione, riguardo alla prova della effettiva

apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez.
3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del
11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio,
Rv. 231708).
Nel caso in esame la Corte territoriale, in accordo con il Tribunale, ha evidenziato
la sufficienza di quanto emergente dai modelli DM10, inviati dall’imputata, o per suo
conto, a consentire di ritenere provato il pagamento delle retribuzioni: si tratta di

legittimità (cfr., ex plurimis, questa Sez. 3, n. 46451 del 7.10.2009, Carella, Rv. 245610;
Sez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, Rv. 246966; Sez. 3, n. 21619 del 14/04/2015,
Moro, Rv. 263665 Sez. 3, n. 43602 del 09/09/2015, Ballone, Rv. 265272; Sez. 3, n.
42715 del 28/06/2016, Franzoni, Rv. 267781), non sindacabile sul piano del merito
innanzi alla Corte di cassazione.
La doglianza circa il compimento del termine massimo di prescrizione
successivamente alla sentenza impugnata è inammissibile, in quanto una tale doglianza
non rientra tra i motivi di ricorso di legittimità tassativamente enunciati dall’art. 606 cod.
proc. pen., essendo volta solamente a far valere la verificazione della prescrizione
intervenuta tra la sentenza di secondo grado e il giudizio di legittimità, in mancanza di
qualsiasi critica o confronto con le ragioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato, o di censure riguardo all’omesso rilievo di tale prescrizione da parte dei
giudici dell’impugnazione, ed è dunque carente della necessaria specificità dei motivi
richiesta dall’art. 581 cod. proc. pen., e, soprattutto, è estranea ai casi di ricorso stabiliti
dall’art. 606 cod. proc. pen.
Tale disposizione, infatti, delinea il giudizio di cassazione come impugnazione a
critica vincolata avverso il provvedimento censurato, priva di effetto devolutivo e nella
quale non è consentito un nuovo esame del merito (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 46486 del
20/11/2012, Cannone, Rv. 253952), cosicché deve escludersi che possa rientrare tra i
motivi di ricorso di legittimità la mera deduzione della verificazione della prescrizione del
reato successivamente alla conclusione del giudizio, trattandosi di evento ad esso

motivazione adeguata e conforme a un consolidato orientamento interpretativo di

successivo.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta
inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di
impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,

2

QPI;

Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018
Il Consigliere estensore

Il Presidente

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata

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