Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17245 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17245 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso prnposto da:
SODANO MARIO nato il 03/07/1983 a TORRE DEL GRECO

avverso la sentenza del 29/03/2017 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso a le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli ha confermato la
sentenza del 12/1/2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con
cui Mario Sodano era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, commi 1 e 1
bis, d.P.R. 309/90 (per avere ceduto due involucri contenenti sostanza stupefacente del
tipo cocaina e per avere detenuto a fine di spaccio grammi 3,42 di hashish e grammi
1,26 di cocaina) ed era stato condannato, ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla

complessiva di anni sei di reclusione ed euro 30.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
l’insufficiente indicazione degli elementi posti a fondamento della affermazione della
propria responsabilità, consistita nella sola indicazione delle fonti di prova disgiunta da
una loro analisi.
Ha, inoltre, lamentato l’insufficienza della motivazione riguardo alla esclusione
della destinazione a uso personale della sostanza stupefacente sequestrata, e anche a
proposito della configurabilità della ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.
309/90.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, è inammissibile.
La doglianza relativa alla insufficiente indicazione degli elementi posti a
fondamento della affermazione di responsabilità è inammissibile a causa della sua
genericità, consistendo nella sola affermazione di tale insufficienza, disgiunta dal
confronto con la motivazione della sentenza impugnata, nella quale è stato sottolineato
sia quanto emergente dalla comunicazione di notizia di reato e dal verbale di arresto,
circa la sorpresa dell’imputato nel cortile che lo stesso aveva adibito allo spaccio di
stupefacenti, sia quanto riferito da un acquirente di cocaina, sorpreso nell’atto di rifornirsi
dall’imputato.
La censura in ordine alla esclusione della configurabilità della fattispecie
attenuata di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90 è manifestamente infondata,
avendo la Corte d’appello adeguatamente illustrato le ragioni della esclusione di tali
ipotesi.
Al riguardo la Corte d’appello ha, infatti, sottolineato la pluralità di sostanze
detenute (hashish e cocaina), il complessivo dato ponderale (pari a circa 20 dosi medie),
il notevole afflusso di acquirenti (desumibile dall’elevato numero di involucri vuoti
rinvenuti sul luogo, aperti e del tutto simili a quelli sequestrati), la somma di denaro in
possesso dell’imputato, traendone, in modo logico e conforme al consolidato
orientamento interpretativo di questa Corte, la prova della stabilità della attività di
spaccio, tale da consentire di ritenere configurabile una cosiddetta “piazza” di spaccio,

1

sentenza del 21/3/2016 del medesimo Giudice per le indagini preliminari, alla pena

idonea a determinare un rilevante pericolo per la salute pubblica, tale da imporre
l’esclusione della configurabilità della suddetta ipotesi attenuata di cui era stato chiesto il
riconoscimento: si tratta di motivazione adeguata, immune da vizi logici e conforme
all’orientamento interpretativo di legittimità formatosi sul punto, con la conseguente
manifesta infondatezza della doglianza.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e

proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018

rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia

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