Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17244 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17244 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PAROLISI AN FORIO nato il 19/03/1992 a NAPOLI

avverso la sentenza del 30/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso a le parti;
sentita la relE2ione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli ha rideterminato
ArstbNio
la pena inflitta a
Parolisi, in relazione ai reati di cui agli artt. 73, comma 5, d.P.R.
309/90, 337 cod. pen., 582, 585, 576, comma 1, cod. pen., in anni due di reclusione ed
euro 10.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
vizio della motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen., a causa della
insufficienza della motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, non

essendo stata adeguatamente considerata la propria confessione, e anche riguardo alla
misura della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
La doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche è manifestamente infondata, in quanto la Corte territoriale, con la
sottolineatura della gravità del fatto e della negativa personalità dell’imputato, ha dato
conto, sia pure implicitamente, degli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen.,
ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità
dell’imputato, evidenziando anche l’irrilevanza della confessione, in quanto necessitata
dalla flagranza.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di
merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo,
invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi
alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate
anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in
tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare
gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 3896 del
20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201;
Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state
prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una
valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior
rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni
preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere
sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per
ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre,
può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del
fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in

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tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la
riconoscibilità di dette attenuanti.
Attraverso la doglianza relativa alla misura della pena il ricorrente ha poi
censurato, in realtà, una valutazione di merito compiuta dal giudice dell’impugnazione,
che, nel sottolineare sia la gravità dei fatti (in considerazione del quantitativo di
stupefacente detenuto dall’imputato, delle modalità della custodia dello stesso e della
organizzazione della attività di spaccio), sia la negativa personalità dell’imputato, ha dato

133 cod. pen. per addivenire alla determinazione della pena, peraltro discostandosi in
modo non rilevante dal minimo edittale e comunque riducendo quella inflitta dal primo
giudice: tale valutazione non è sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità,
ed è stata adeguatamente motivata, in quanto la determinazione in concreto della pena
costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui
vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle
obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra
il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva, giacché ciò
dimostra che egli ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti
indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi
d’appello (Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989 Rv 181825).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018

conto in maniera sufficiente degli elementi ritenuti preponderanti tra quelli di cui all’art.

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