Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17239 del 23/02/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17239 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso pr)posto da:
GRASSO GIORGIO nato il 27/03/1976

a

PATERNO’

avverso la sentenza del 19/05/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso a le parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catania, parzialmente
riformando la sentenza del 11/11/2016 del Tribunale di Catania, ha rideterminato la pena
inflitta a Giorgio Grasso, in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (ascrittogli
per avere detenuto a fine di cessione a terzi 19 chilogrammi di sostanza stupefacente del
tipo marijuana, pari a 10.227,00 dosi medie), in anni tre e mesi undici di reclusione ed
euro 20.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

delle circostanze attenuanti generiche, di cui la Corte territoriale aveva escluso la
riconoscibilità considerando esclusivamente il dato ponderale della sostanza stupefacente
detenuta, omettendo di valutare il proprio buon comportamento processuale e
considerando detto elemento indebitamente per due volte, e cioè sia nella
determinazione della pena sia per escludere detto beneficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Va al riguardo ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte,
ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non è necessaria una
analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri. Il preminente e decisivo rilievo
accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri
elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente
disattesi e superati. Sicché anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può
trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia
individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini
della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante
siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr. Sez. 6, n. 34364 del
16.6.2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172;
Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state
prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una
valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior
rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni
preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere
sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per
ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.

1

violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e vizio della motivazione, in riferimento al diniego

Nel caso in esame la Corte territoriale ha negato la concessione delle
circostanze attenuanti generiche a cagione dei precedenti penali dell’imputato (per
rapina, furto e porto d’armi) e in considerazione del quantitativo di sostanza stupefacente
sequestrata.
Ha quindi ritenuto assolutamente prevalente, per negare l’invocato beneficio, il
richiamo alla gravità del fatto e alla personalità negativa dell’imputato (che possono
essere valutati sia al fine della determinazione della pena sia al fine della riconoscibilità

finalità differenti, cfr. Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche Helni, Rv. 258011; Sez.
2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza delle doglianze cui è stato affidato, mediante le quali è stata censurata una
valutazione di merito non sindacabile nel giudizio di legittimità.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018

delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di elementi polivalenti valutati per

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