Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17235 del 17/01/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17235 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
TUCCI STEFANIA nata a Napoli il 07/09/1964

contro la sentenza del 15/09/2016 della Corte di appello di Napoli.
Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Sergio Beltrani;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Delia
Cardia, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Nicola Madia, che ha depositato in udienza copia della
memoria difensiva già depositata in Cancelleria in data 11/01/2018, ed ha
concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
prescrizione, ed in subordine il rinvio alla Sezioni Unite.

Data Udienza: 17/01/2018

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza emessa in data 15 settembre 2016:
– ha parzialmente confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in data
24 ottobre 2013, limitatamente all’affermazione di responsabilità dell’imputata STEFANIA
TUCCI, in atti generalizzata, in ordine al reato di riciclaggio ascrittole al capo I);
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato

– ha conseguentemente rideterminato le pene (principale ed accessoria) in termini più
favorevoli, anche in considerazione della ritenuta prevalenza (e non equivalenza) delle
riconosciute circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante concorrente.
Contro tale provvedimento, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – art. 606/E: omessa motivazione ed illogicità della stessa quanto alla ritenuta
consapevolezza dell’imputata in merito all’asserita provenienza illecita delle somme oggetto
dell’operazione di riciclaggio contestata;
Il – art. 606/B: erronea applicazione degli artt. 2 comma 1 – 157 – 110/648-ter.1, commi
2 e 3, c.p., nella parte in cui la Corte d’appello non ha riqualificato i fatti accertati come
concorso nel nuovo delitto di autoriciclaggio e non ha, per l’effetto, dichiarato: 1)
l’insussistenza del fatto per non essere state impiegate le somme in attività economiche o
finanziarie …; 2) … ovvero la non punibilità delle condotte per essere state le utilità de quibus
utilizzate a godimento personale …; 3) … ovvero, che il fatto non era previsto come reato nel
momento in cui è stato commesso …; 4) … ovvero, infine, l’avvenuta estinzione del reato per
prescrizione;
III – 606/E: illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello non ha calibrato
la pena base sul minimo edittale.
Il 5 gennaio 2018 e

gennaio 2018 nell’interesse dell’imputata sono state depositate

due memorie difensive.
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, le
parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio,
ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
1

associativo di cui al capo A) perché estinto per prescrizione;

1. Va preliminarmente rilevato che le memorie depositate nell’interesse dell’imputata
presso la Cancelleria della Corte di cassazione il 5 gennaio e 1’11 gennaio 2018, non possono
essere esaminate, perché depositate oltre il termine del quindicesimo giorno antecedente
l’odierna udienza, fissato dall’art. 611 c.p.p.
1.1. Un orientamento tradizionale ed univoco di questa Corte ritiene, infatti, che il termine

di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611 c.p.p.
relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in

in esame le stesse (cfr. Sez. V, n. 2628 del 01/12/1992, dep. 1993, Boero, Rv. 194321; Sez.
I, n. 853 del 27/11/1995, dep. 1996, Coppolaro; Sez. I, n. 23809 del 06/05/2009, Vattiata,
Rv. 243799; Sez. VI, n. 18453 del 28/02/2012, Cataldo, Rv. 252711; Sez. I, n. 19925 del
04/04/2014, Cutrì, Rv. 259618; Sez. III, n. 50200 del 28/04/2015, Ciotti, Rv. 265935), in
particolare osservando che la disposizione dell’art. 611 c.p.p. «si applica anche per (il
procedimento) in udienza pubblica, ove si considerino la regola della pienezza e dell’effettività
del contraddittorio cui si ispira il vigente codice di rito e la necessità per il giudice di
conoscere tempestivamente le varie questioni prospettate».
Si è, condivisibilmente, precisato anche che, ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p., la
presentazione dei motivi nuovi, ma anche delle memorie, deve avvenire nel numero di copie
necessarie per tutte le parti (oltre che, ovviamente, per i componenti del collegio giudicante),
e che le predette «copie sono in cancelleria, a disposizione delle controparti che,
conoscendo i termini, sono in grado di ritirarle tempestivamente, senza che il rispetto del
principio del contraddittorio richieda che venga data ad esse specifica comunicazione o
notificazione»: a detta disposizione va riconosciuto valore generale in tema di
impugnazioni, anche in considerazione della piena salvaguardia del contraddittorio, doverosa
sia nell’uno, sia nell’altro tipo di procedimento dinanzi alla Corte di cassazione.

2. Ciò premesso, il primo motivo è infondato.
2.1. La Corte di appello, riproponendo legittimamente le considerazioni del primo giudice,

udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere

condivise perché suffragate dagli elementi acquisiti, ha incensurabilmente osservato (f. 4 ss.
della motivazione della sentenza impugnata) che «l’imputata ha posto in essere plurime
operazioni commerciali, finanziarie e societarie, attraverso le quali ha fatto rientrare in Italia
ingenti somme (di illecita provenienza) che il BISIGNANI

[LUIGI BISIGNANI, in atti

generalizzato] deteneva all’estero (avvalendosi della normativa del c.d. “scudo fiscale”), le ha
utilizzate per l’acquisto della ANTEY s.r.l. (società della famiglia SALINI che aveva la proprietà
dei quattro appartamenti siti in Roma, via Trionfale [n. 6780]), quindi ha ceduto tali quote
alla società belga CODEPAMO, le ha successivamente riacquistate (come quote della …..t
riacquistata FOUR SPA s.r.I.), tramite mandato fiduciario alla MELIOR TRUST, consentendo
2

così al BISIGNANI il definitivo acquisto del complesso immobiliare sito in via Trionfale di
Roma».
2.1.1. In ordine a tali operazioni ed alla responsabilità della TUCCI come ispiratrice ed
artefice delle operazioni economiche in oggetto, sono state valorizzate le dichiarazioni del
BISIGNANI e del coimputato BONDANINI, nonché gli esiti delle indagini effettuate dalla
Guardia di Finanza di S. Giuseppe Vesuviano, veicolate in atti attraverso le dichiarazioni rese
in dibattimento dagli operanti: «basti evidenziare che gli intermediari esteri utilizzati per

via Gregoriana n. 38, coincidente con quello della TIME SERVICE s.r.I., società direttamente
riferibile alla TUCCI; inoltre, la società estera CODEPAMO è risultata essere stata utilizzata
dall’imputata anche per compiere operazioni estranee alla “vicenda BISIGNANI” (nella specie,
operazioni relative alla ENGENEERING s.p.a. degli imprenditori AMODEO e CINAGLIA)>>.
2.1.2.

La provenienza illecita delle somme utilizzate per compiere le operazioni

economiche in precedenza descritte, ed in particolare l’acquisto degli immobili siti in Roma,
via Trionfale n. 6780, è stata incensurabilmente confermata dagli elementi riepilogati a f. 6
della sentenza impugnata, ed in particolare:
– dalla sentenza n. 421/97 della Corte di appello di Milano, «che ha confermato in punto
di penale responsabilità la sentenza del Tribunale di Milano, cha ha ritenuto BISIGNANI (in
concorso con GARDINI, CUSANI ed altri coimputati) responsabile del reato di appropriazione
indebita continuata e pluriaggravata in relazione alla c. d. “provvista BONIFACI”, accertando
che una parte di tale provvista (pari a circa 20 miliardi di lire) è entrata direttamente nella
sua disponibilità»;
– dagli accertamenti patrimoniali relativi agli anni 1993-2001 svolti a carico del
BISIGNANI, «che hanno messo in rilievo la totale esorbitanza tra il flusso dei ricavi
conseguiti e dichiarati ed il complesso delle risorse mobilitate dallo stesso BISIGNANI»;
– dalla circostanza che lo stesso BISIGNANI «non è stato in grado (né in questo, né in
altro processo) di dimostrare la provenienza delle somme detenute all’estero dalla sua attività
professionale. Le sue dichiarazioni sul punto sono state correttamente ritenute inattendibili
dal Tribunale, atteso che, diversamente da altre propalazioni, le stesse risultano prive di
riscontri e, soprattutto, in contrasto con quanto accertato nel suddetto processo di Milano».
2.1.3. Non appare inopportuno precisare che l’essersi avvalsi della normativa del c.d.
“scudo fiscale” per fare rientrare in Italia ingenti somme che il BISIGNANI deteneva all’estero,
non rende priva di rilievo, ai fini de quibus, l’accertata provenienza delittuosa delle somme in
tal modo rientrate in Italia, la cui individuazione si aveva perdurante interesse ad occultare
attraverso le descritte operazioni.
2.1.4. La consapevolezza dell’imputata della provenienza illecita delle somme utilizzate
per compiere le operazioni economiche in precedenza descritte, ed in particolare l’acquisto
3

compiere le operazioni descritte sono risultati avere in Italia il medesimo domicilio in Roma,

degli immobili siti in Roma, via Trionfale n. 6780, è stata incensurabilmente desunta dagli
elementi riepilogati a f. 7 s. della sentenza impugnata, ed in particolare:
– dal fatto che il BISIGNANI e la TUCCI «erano in rapporti di amicizia sin dall’inizio degli
anni ’90 (e, negli anni in esame, i due hanno avuto anche una relazione sentimentale); la
TUCCI era perfettamente informata dell’oggetto e dell’esito del processo di Milano (e, dunque,
della acclarata appropriazione indebita di rilevanti somme in capo al BISIGNANI) perché in
esso rimaneva coinvolto anche l’on. DE MICHELIS, ex marito dell’imputata»;

grado di rendersi conto della reale finalità dell’operazione da lei stessa gestita su richiesta del
BISIGNANI».
2.1.5.

Con specifico riguardo alle finalità dell’operazione finanziaria in precedenza

descritta, la Corte di appello, ed in precedenza il Tribunale, hanno osservato che essa <>.
3.3.6. A parere del collegio, la premessa dalla quale l’interprete deve ineludibilmente
muovere, onde districarsi nel ginepraio delle possibili configurazioni del concorso di persone
nel nuovo delitto di autoriciclaggio, è che la nuova incriminazione è stata concepita, in
ossequio agli obblighi internazionali gravanti pattiziamente sull’Italia, essenzialmente, se non
unicamente, al fine di colmare la lacuna riguardante l’irrilevanza penale delle condotte di c.d.
“auto riciclaggio”, poste in essere dal soggetto autore di (o concorrente in) determinati reatipresupposto, che il legislatore ha ritenuto di individuare nei soli delitti non colposi (art. 648ter.1, comma 1, c.p.), come previsto anche in tema di riciclaggio (ma diversamente rispetto a
quanto previsto in tema di ricettazione e reimpiego, che menzionano come reati-presupposto
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Nei casi in cui la condotta del terzo extraneus risulti in astratto sussumibile nell’ambito

i delitti tout court, ciò a riprova del fatto che la normativa di settore è in più punti viziata da
una frammentarietà sulla cui effettiva proficuità sarebbe opportuno avviare una seria
riflessione).
3.3.6.1. Da questa ineludibile premessa discende (a fronte di una possibile esegesi
alternativa che non si pone in contrasto con la non controversa

ratio

della nuova

incriminazione), l’impossibilità di interpretare la normativa allo stato vigente:
– sia nel senso della attuale previsione di un trattamento sanzionatorio più favorevole di

successivamente posto in essere una condotta lato sensu riciclatoria (tipica, ex art. 648-ter.1
c.p., od anche atipica), agendo in concorso con l’intraneus chiamato a rispondere di auto
riciclaggio: ciò accadrebbe nel caso in cui si ritenesse che la predetta condotta dell’extraneus
integra non più – come si riconosceva pacificamente prima dell’introduzione del reato di
autoriciclaggio – il delitto di cui all’art. 648-bis c.p., bensì quello di concorso

(ex artt. 110 o

117 c.p.) nel delitto di cui all’art. 648-ter.1 c.p., con la conseguenza, già evidenziata dalla
dottrina, della sostanziale abrogazione dell’art. 648-bis c.p.;
– sia nel senso della perdurante irrilevanza penale della condotta dell’intraneus (ovvero del
soggetto che abbia preso parte al delitto presupposto non colposo) che si sia limitato a
mettere a disposizione il provento del predetto delitto nelle mani del terzo, perché lo
reimpieghi, senza compiere in prima persona la condotta tipica di autoriciclaggio (come
risulterebbe necessario ritenere ove si configurasse l’autoriciclaggio come delitto “di mano
propria”).
3.3.6.2. D’altro canto, in assenza di clausole di sussidiarietà che regolino le reciproche
interferenze tra le due fattispecie, ed in difetto di un rapporto di specialità strutturale tra gli
artt. 648-bis (e 648-ter) c.p. e l’art. 648-ter.1 c.p., valorizzabile

ex art. 15 c.p. [come

osservato da altra dottrina, «a ben vedere, tra le due fattispecie vi è una relazione di
eterogeneità: l’autoriciclaggio rilascia, rispetto al riciclaggio, un elemento di

specialità per

aggiunta, atteso che il reimpiego del provento non è un tratto costitutivo del reato di
riciclaggio (per la cui punizione è sufficiente la “ripulitura”); quanto all’autore del reato, si

quello precedente, per il soggetto che non abbia preso parte al reato-presupposto, ed abbia

prefigura una relazione di eterogeneità, di natura radicalmente contrappositiva: il soggetto
attivo dell’autoriciclaggio é l’autore del reato-fonte (o un concorrente), mentre quest’ultimo
non può, ex lege, essere autore del reato di riciclaggio. Viene meno alla radice, perciò, la
possibilità di rintracciare una relazione di specialità tra le due norme (…)»],

non è possibile

risolvere la questione in esame argomentando come se essa ponesse unicamente un
problema di concorso apparente tra norme.
3.3.7. Ciò premesso, nel rispetto della ratio che ha ispirato l’inserimento nel codice penale
dell’art. 648-ter.1 c.p., ritiene il collegio che il soggetto il quale, non avendo concorso nel
delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio, o4
12

comunque contribuisca alla realizzazione da parte dell’intraneus delle condotte tipizzate
dall’art. 648-ter.1 c.p., continui a rispondere del reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.
(ovvero, ricorrendone i presupposti, di quello contemplato dall’art. 648-ter c.p.) e non di
concorso (a seconda dei casi,

ex artt. 110 o 117 c.p.) nel (meno grave) delitto di

autoriciclaggio ex art. 648-ter.1.c.p.
Nel predetto caso, soltanto l’intraneus risponderà del delitto di autoriciclaggio.
3.3.8. , La diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti
non deve meravigliare, non costituendo una novità per il sistema penale vigente, che ricorre

dottrina “a soggettività ristretta”.
3.3.8.1. Ad esempio, con riferimento al delitto di evasione (art. 385 c.p.), costituente,
come l’autoriciclaggio, reato proprio, il concorso di terzi estranei non detenuti è
autonomamente incriminato a titolo di procurata evasione,

ex art. 386 c.p., valorizzando,

come osservato dalla dottrina, «il diverso giudizio di colpevolezza che investe la condotta
dell’intraneo e dell’estraneo (l’istintiva tendenza alla libertà incide infatti in chiave di
attenuazione sulla rimproverabilità soggettiva del recluso, rispetto a chi non si trovi ristretto
in carcere».
In argomento, questa Corte (Sez. I, n. 886 del 05/07/1979, dep. 1980, Donadelli, Rv.
144052), premesso che l’art. 386 c.p. (procurata evasione) prevede un delitto che può
concretarsi in due distinte forme di attività (la prima diretta allo svolgimento di un ruolo
determinante e di primo piano nella preparazione immediata o nell’esecuzione dell’evasione;
la seconda intesa, invece, a favorire la fuga, predisponendo i mezzi opportuni o assicurando
gli aiuti necessari allo scopo), e rilevato che, in entrambe le forme, l’attività delittuosa deve
essere finalizzata all’evasione della persona arrestata o detenuta, ha concluso, con
orientamento tradizionalmente consolidato, perché mai messo in discussione, che il delitto in
questione consiste in un fatto di compartecipazione al reato di evasione, previsto e punito
dall’art. 385 c.p., che la legge ha incriminato automaticamente, con la previsione di una
specifica figura di reato, allo scopo di punirlo più gravemente – almeno di norma – di quanto
non avverrebbe con l’applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato.
3.3.8.2. Analogamente, in tema di infanticidio, si prevede un trattamento sanzionatorio
diverso per la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto,
o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale
e morale connesse al parto, in quanto tali riferibili soltanto alla madre (art. 578, comma 1,
c.p.), e per coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma (art. 578, comma 2, c.p.):
la dottrina ha, in proposito, osservato che la possibilità del concorso di terzi estranei nel reato
…..
proprio c.d. “a soggettività ristretta” commesso dalla madre «è stata si contemplata, ma

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a questa soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla

sottoposta ad un regime così peculiare da contraddire i canoni basilari della disciplina del
concorso nel reato».
3.3.8.3. Ad una differenziazione dei titoli di responsabilità il legislatore ha fatto ricorso
anche in tema d’interruzione volontaria della gravidanza in violazione dei limiti di liceità (ex
art. 19 I. n. 194 del 1978), prevedendo un’autonoma cornice edittale di pena,
significativamente più mite, per la donna, «in ragione della considerazione del giudizio di
minore riprovazione morale del fatto della gestante».

forte” autorizzano la diversificazione dei titoli di reato ovvero delle risposte sanzionatorie; in
tal senso, rispetto alle qualifiche di tipizzazione della colpevolezza, le indicazioni che
emergono dalla parte speciale indicano soluzioni volte a differenziare le posizioni concorsuali.
Un modello, questo, che sembra attagliarsi alla fattispecie del riciclaggio dove la
diversificazione sanzionatoria (oltre che di titoli di reato) rispetto ai diversi soggetti attivi (…)
costituisce un dato esplicito e (…) assai significativo nel senso della sua legittimazione».
3.3.10. Anche la previsione di un trattamento sanzionatorio meno grave per il delitto di
autoriciclaggio trova giustificazione unicamente con la considerazione del minor disvalore che
anima la condotta incriminata, se posta in essere (non da un

extraneus,

bensì) dal

responsabile del reato presupposto, il quale abbia conseguito disponibilità di beni, denaro ed
altre utilità ed abbia inteso giovarsene, pur nei modi oggi vietati dalla predetta norma
incriminatrice, risultando responsabile di almeno due delitti (quello non colposo presupposto e
l’autoriciclaggio), non necessariamente in concorso ex art. 81 c.p.; di qui, l’ulteriore esigenza
di mitigare, almeno in parte, le possibili conseguenze del cumulo materiale tra delitto
presupposto ed autoriciclaggio, attraverso la previsione, per quest’ultimo (necessariamente
posto in essere per secondo), di limiti edittali meno severi rispetto a quelli previsti il
riciclaggio (ascrivibile al soggetto extraneus rispetto alla commissione del delitto-presupposto,
e che quindi di esso non sopporta – a livello sanzionatorio – conseguenze, e nei confronti del
quale, pertanto, anche per tale ragione, l’estensione del trattamento sanzionatorio favorable
previsto in tema di autoriciclaggio risulterebbe del tutto priva di una valida giustificazione
sistematica).
3.3.11.

D’altro canto, prima dell’introduzione dell’art. 648-ter.1 c.p. – che, come

premesso, non intendeva dettare una nuova disciplina per le condotte alle quali era già
attribuito rilievo penale, bensì colmare l’anzidetta lacuna -, nessun dubbio era mai stato
nutrito con riferimento alla configurabilità del reato previsto e punito dall’art. 648-bis c.p. in
casi nei quali l’autore del delitto-presupposto, pur non punibile, avesse fornito un contributo
rilevante alla condotta tipica del riciclatore extraneus; ed, invero, il concorso nell’attività
riciclatoria del soggetto responsabile del reato presupposto è, secondo Vid quod plerumque

14

3.3.9. Come in sintesi osservato da una dottrina, «schemi di previsioni a “soggettività

accidit, ordinario (essendo naturale che la predetta attività illecita venga generalmente ordita
su impulso e nell’interesse di quest’ultimo).
La novità consiste unicamente nel fatto che, prima dell’introduzione del reato di
autoriciclaggio, egli era un concorrente non punibile, mentre oggi è punibile.
3.3.11.1.

Ciò premesso, e ribadito che, all’indomani della novella entrata in vigore il 10

gennaio 2015, la diversa condizione dell’intraneus rispetto al passato attiene esclusivamente
al profilo della sua punibilità, non esiste alcuna ragione (per la verità, non soltanto non
indicata, ma neppure ricercata dagli sparuti sostenitori dell’orientamento qui avversato, a ben

tiene conto dei beni giuridici tutelati, della pacifica ratio dell’intervento novellatore de quo,
oltre che delle implicazioni della dosimetria della pena, da valutare alla luce del parametro
costituzionale della finalità rieducativa) per la quale la sopravvenuta incriminazione
dell’autoriciclaggio dovrebbe incidere sulla rilevanza penale delle condotte di riciclaggio poste
in essere dall’extraneus,

sia quanto al titolo, sia quanto al conseguente trattamento

sanzionatorio.
Ciò conferma la correttezza dell’affermazione che la considerazione dell’ordinamento
penalistico per le condotte poste in essere da chi non abbia preso parte alla commissione del
reato presupposto «è invece rimasta immutata, constatata la medesimezza delle dinamiche
di realizzazione delle attività riciclatorie>>.
3.3.12. Sulla base delle predette considerazioni, deve concludersi che l’art. 648-ter.1,
c.p. prevede e punisce come reato unicamente le condotte poste in essere dal soggetto che
abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo-presupposto, in precedenza
non previste e punite come reato.
Diversamente, per quanto in questa sede assume rilevanza, le condotte concorsuali poste
in essere da terzi extranei per agevolare la condotta di autoriciclaggio posta in essere dal
soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto,
titolare del bene di provenienza delittuosa “riciclato”, conservano rilevanza penale quale fatto
di compartecipazione previsto e punito dall’art. 648-bis c.p. più gravemente di quanto non
avverrebbe in applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato, ex artt. 110/117 e

vedere fondato su una lettura meramente formalistica delle disposizioni in discorso, che non

648-ter.1 c.p.
3.3.12.1. Questa conclusione non trova decisivo ostacolo nella previsione di cui all’art.
648-ter.1, comma 7, c.p. il quale, attraverso il rinvio all’ultimo comma dell’art. 648 c.p.,
prevede che le disposizioni in tema di autoriciclaggio, come quelle in tema di ricettazione, si

.7.3

applichino «anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è
imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a
tale delitto».

15

Ferma essendo l’applicabilità dell’art. 648-ter.1 c.p. soltanto al soggetto che abbia
commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, e non anche a terzi
non coinvolti nella commissione del delitto non colposo presupposto, la disciplina dettata dal
settimo comma della predetta disposizione comporta unicamente, come già lucidamente
posto in evidenza dalla dottrina, che «l’autoriciclaggio sussiste anche se l’autore non sia
imputabile per il delitto-presupposto (purché lo sia per l’autoriciclaggio) oppure non sia
punibile per il delitto presupposto (si pensi all’impunità ex art. 649 c.p. del figlio per il furto in

manchi una condizione di procedibilità in relazione al delitto-presupposto (in altre parole,
l’autoriciclaggio sussiste anche se ha ad oggetto beni provenienti da un delitto per il quale
non può procedersi per mancanza di querela>>.
3.3.13. Deve, pertanto, concludersi che l’odierna imputata, soggetto non concorrente nel
delitto-presupposto, che ha riciclato, nell’interesse di LUIGI BISIGNANI, autore del (o
comunque, concorrente nel) delitto-presupposto indicato nel capo d’imputazione, denaro
proveniente dalla commissione del predetto delitto, deve rispondere di riciclaggio, ex art.
648-bis c.p., e non di concorso in autoriciclaggio, ex artt. 110/648-ter.1 c.p.
3.3.13.1. Tale valutazione evidenzia l’infondatezza di tutte le doglianze difensive
formulate nell’ambito del secondo motivo.

4. Il terzo motivo risulta assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni, del
tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato: il ricorrente si duole del fatto che la
pena detentiva sia stata commisurata con riferimento alla pena-base di anni quattro e mesi
sei di reclusione, superiore al limite edittale minimo, ma non si confronta adeguatamente con
la motivazione della Corte di appello: a prescindere dal fatto che il limite edittale minimo per
la fattispecie accertata è pari ad anni quattro di reclusione, e quindi la pena ritenuta equa dai
giudici del merito è ad esso estremamente prossima (oltre che ben lontana dal massimo
edittale consentito, pari ad anni dodici di reclusione), il che rende di per sé la relativa
determinazione incensurabile, deve aggiungersi che la Corte di appello ha, comunque,
altrettanto incensurabilmente valorizzato, a giustificazione della contestata statuizione, la
gravità della condotta, desunta dall’entità della somma riciclata nonché dalle articolate e
sofisticate modalità dell’operazione, che denotano elevata professionalità in materia.
E’, infatti, da ritenere correttamente adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla
misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art. 133 c.p., ritenuto
prevalente e di dominante rilievo (Sez. un., n. 5519 del 21/4/1979, Rv. 142252): invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, in tutte le sue
componenti, appare necessaria soltanto nel caso in cui la pena sia di gran lunga superiore alla
misura media di quella edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del
16

danno del padre, allorquando l’autoriciclaggio riguardi i beni sottratti) o, infine, quando

corretto impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. espressioni del tipo «pena
congrua», «pena equa>> o «congruo aumento», come pure il richiamo alla gravità
del reato oppure alla capacità a delinquere (Sez. II, n. 36245 del 26/6/2009, Rv. 245596;
Sez. IV, n. 46412 del 5/11/2015, Rv. 265283).

5. In riferimento ai limiti edittali previsti per il reato accertato, tenuto conto dell’indicata
(e non contestata) data di commissione, non risulta tuttora maturato il termine di

l’imputata), anche a prescindere dei periodi di sospensione intervenuti (pari, nel complesso, a
giorni 89).

6. Il rigetto, nel suo complesso, del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese pr essuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 17 gennaio 2018
Il Con igliere estensore

prescrizione (pari ad anni 15, secondo la disciplina sopravvenuta, più favorevole per

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