Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17222 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17222 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
EMETUWA VITANUS nato il 12/06/1981

avverso l’ordinanza del 18/09/2017 del TRIBUNALE di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
GIOVANNI DI LEO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Data Udienza: 08/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Palermo, quale giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen.,
con l’ordinanza in epigrafe confermava quella adottata il 16 agosto 2017 dal
collegio che aveva definito in primo grado il giudizio di cognizione, con cui era
stata respinta l’istanza di revoca della misura della custodia cautelare in carcere,
avanzata da Emetuwa Vitanus sul presupposto della sopravvenuta carenza dei
gravi indizi.

alla pena di dieci anni ed otto mesi di reclusione per i reati di tentato omicidio (ai
danni di Don Emeka) e di lesioni personali (ai danni di George Oguike Obinna).
Nonostante ciò, il Tribunale dell’appello cautelare riteneva ammissibile l’istanza
difensiva, avendo questa astrattamente prospettato elementi sopravvenuti alla
condanna, in tesi idonei a sovvertire il quadro probatorio; vale a dire le
dichiarazioni rese, in separato procedimento, dal coimputato John Bull.
Nel merito, tuttavia, lo stesso Tribunale stimava tali dichiarazioni prive di
novità sostanziale ed inidonee a mutare il quadro di gravità indiziaria. John Bull
era stato già ascoltato nel dibattimento a carico di Emetuwa, e qui lo aveva
scagionato in termini semmai più ampi (negandone la presenza sul luogo dei fatti,
anziché solo ridimensionandone il ruolo), mentre il giudizio di condanna si era
fondato su altre e diverse fonti. La precedente versione di John Bull non collimava
con il racconto di Emetuwa, che aveva ammesso in sé la sua partecipazione, e le
mutate dichiarazioni sembravano dettate dal proposito di elidere tale palese
incongruenza, alla base della sua ritenuta inattendibilità; che tuttavia non poteva
essere recuperata in sede cautelare, tenuto conto del quadro probatorio
complessivo riflesso in sentenza, tanto più che John Bull non aveva spiegato le
ragioni del suo «ripensamento».

2. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, sulla base
di unico motivo, che denuncia – in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen. – la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Sarebbe illogico ed irrazionale il ragionamento del Tribunale, secondo cui John
Bull, per essere credibile, avrebbe dovuto accusare Emetuwa di un fatto che questi
non aveva commesso; e dovrebbe viceversa essere giudicato non credibile
allorché, avendo iniziato a collaborare, s’induce correttamente a discolpare
l’amico.
Il Tribunale avrebbe dovuto invece valutare, secondo corretti canoni,
l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del collaboratore, anche rifacendosi ai nuovi

2

L’imputato era stato condannato in primo grado, con sentenza 20 luglio 2016,

esiti investigativi sortiti dalle sue dichiarazioni, positivamente apprezzate dal
pubblico ministero che le aveva raccolte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, e come tale (art. 606, comma 3,
cod. proc. pen.) deve essere dichiarato inammissibile.
E’ infatti acquisito nella giurisprudenza di legittimità il principio, secondo cui

mantenimento della misura di cautela personale, non sono più proponibili dopo la
sentenza di condanna, anche non irrevocabile (Sez. 1, n. 44081 del 11/11/2008,
De Rosa, Rv. 241851), fatta salva la successiva emersione di elementi nuovi,
suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento
dell’adozione della misura cautelare (Sez. 2, n. 5988 del 23/01/2014, Paolone, Rv.
258209; Sez. 1, n. 2350 del 22/12/2009, dep. 2010, Siclari, Rv. 246037; Sez. 6,
n. 41104 del 19/06/2008, Scozia, Rv. 241483).
Al riguardo questa Corte ha tuttavia chiarito (Sez. F, n. 41667 del 14/08/2013,
Minasi, Rv. 257355) come il giudice dell’appello cautelare, chiamato a decidere
dopo una sentenza di condanna appellabile relativa ai fatti per i quali era stata
emessa la misura coercitiva, possa sì valutare, in funzione di verificare la
permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, gli eventuali elementi sopravvenuti
che siano idonei ad incidere sul quadro fattuale-dimostrativo, ma non quelli che
siano in grado di inficiare la ritualità o la concludenza delle prove su cui la
condanna medesima si sia fondata; circostanze queste ultime il cui apprezzamento
resta riservato al giudice investito dell’appello di merito, al quale vanno proposte.
Nell’odierno procedimento

de libertate

l’imputato invoca proprio la

rivalutazione delle prove già acquisite in giudizio, e su cui si è fondata la condanna,
rispetto ad una fonte dichiarativa già lì introdotta ed alla sua attendibilità;
apprezzamenti che, per quanto sopra esposto, sono in sede incidentale preclusi.

2. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i
profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sentenza n.
186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende rella misura
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in 3.000 euro.

3

le questioni relative alla persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, necessari al

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle
ammende. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma iter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso 1’08/02/2018

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