Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1722 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1722 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANGIONE FRANCESCO N. IL 07/08/1989
avverso la sentenza n. 779/2011 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 11/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. EDuaRD _scAR 84e-ci &le
che ha concluso per eff,t,,,zzact(c.wrc.ft 7` adt,1

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 11.12.2012 la Corte d’appello di Caltanissetta

integralmente confermava la pronuncia di primo grado che, in esito a rito abbreviato,
aveva dichiarato Francesco Mangione colpevole del reato di cui all’art. 4 L. 110/75 e
l’aveva così condannato alla pena finale di giorni 20 di arresto ed Euro 40- di
ammenda, applicando il beneficio della sospensione condizionale della pena.Risulta pacifico e non contestato in fatto che il predetto imputato sia stato trovato

cofano della sua auto. Il Mangione era stato trovato in possesso, altresì, nelle
medesime circostanze, di un piccolo pezzo di hashish ritenuto peraltro per esclusivo
uso personale per cui da tale addebito veniva assolto. In ordine al porto dei coltelli,
ritenevano entrambi i giudici del merito che non fosse accettabile la giustificazione
fornita dall’imputato secondo cui gli stessi gli servivano per la sua attività di cuoco
presso ristoranti e di studente presso l’Istituto Alberghiero. Ed invero tale attività
non contemplava il porto dei coltelli fuori della scuola o dei ristoranti che, del resto,
ben disponevano di attrezzatura propria. Peraltro i due coltelli presentavano nella
lama tracce di hashish per cui si doveva ritenere che il motivo del porto non fosse
quello addotto di tipo professionale.- La Corte territoriale respingeva poi il motivo di
gravame teso al riconoscimento della lieve entità del fatto, sia per il numero dei
coltelli, sia in ragione della circostanza che uno di essi, quello a serramanico, era
arma da punta e da taglio con destinazione naturale l’offesa alla persona.2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato
che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione,
argomentando -in sintesi- nei seguenti termini : a) egli aveva provato,
documentalmente e per testi, la sua attività di cuoco che giustificava il porto dei
coltelli; tanto imponeva esito assolutorio quanto meno in termini di dubbio,
ragionevolmente non superabile, anche perché poteva trattarsi di mera
dimenticanza; b) l’uso dei coltelli per tagliare l’hashish era non più che una
congettura derivante dall’impressione degli agenti operanti; c) la lunghezza delle
lame era in realtà inferiore a quella riportata in sentenza; il coltello da cucina era
senza punta; d) errato diniego dell’ipotesi attenuata che invece andava comunque
riconosciuta sia per la scarsa offensività dei coltelli, sia per i positivi profili
soggettivi.Considerato in diritto
1. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato.-

1

in possesso, in Enna in data 01.12.2008, di un taglierino e due coltelli detenuti nel

2. Non può essere accolto il primo motivo dell’impugnazione con il quale il
sub specie vizio di legittimità, lo stesso

ricorrente ripropone in questa sede,

argomento già valutato dai giudici del merito. La soluzione data nei precedenti gradi
di giudizio risulta logica e coerente e ben resiste alla critica difensiva : la funzione di
cuoco di esso imputato (o di studente della materia) non giustificava il porto di due
coltelli e di un taglierino fuori delle sedi deputate a tale attività, essendo scienza
comune che gli strumenti specificamente necessari (tra cui i coltelli) si trovano e si
posseggono legittimamente solo in tali ambienti ove essi possono svolgere la loro

abbia dato una concreta spiegazione del perché, in quel momento ed in quel luogo,
deteneva i coltelli in auto, con riferimento all’invocata funzione professionale.
Trattandosi, invero, di condizione diversa dall’id quod plerumque accidit, per cui i
cuochi detengono i coltelli in cucina, la circostanza eccentrica andava giustificata e
provata con particolare e specifica puntualità. Né può peraltro ammettersi una liceità
per genus, a prescindere dalla specifica giustificazione delle concrete circostanze del
momento.- Non è poi pertinente il motivo di ricorso che propone, peraltro in termini
meramente possibilistici, l’ipotesi di una dimenticanza, non coerente con la tesi
difensiva principale.- Ciò posto, risulta inconferente anche il motivo di ricorso che
taccia di congetturalità l’ipotesi che i coltelli dovessero servire per tagliare l’hashish,
atteso che un tale uso, comunque, non giustificherebbe il porto dei coltelli, anche per
la loro pluralità (cfr., sul punto, Cass. Pen. Sez. 1°, n. 18189 in data 08.04.2009, Rv.
243549, Perri; Cass. Pen. Sez. 1°, n. 41098 in data 23.09.2004, Rv. 230630,
Caruso).- La lunghezza delle lame e la particolarità della punta di uno dei coltelli
risultano elementi irrilevanti ai fini in esame, trattandosi pur sempre di coltelli ai
sensi di legge, il cui porto non è stato giustificato in modo accettabile.- Quanto
all’ultimo argomento del ricorrente, se è vero, in linea generale, che la più recente
giurisprudenza di questa Corte ha ammesso che l’ipotesi della lieve entità del fatto è
applicabile a tutte le armi improprie indicate nell’art. 4 L. 110/75, e non solo agli
oggetti atti ad offendere strettamente intesi (cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 46264 in
data 08.11.2012, Rv. 253968, Visendi; Cass. Pen. Sez. 1°, n. 12915 in data
01.03.2012, Rv. 252272, Corso; ecc.), è però anche vero, nello specifico, che la
Corte territoriale ha escluso tale circostanza con argomenti in fatto (la pluralità delle
armi e la particolare offensività di una di esse) logici e coerenti, non più discutibili in
questa sede di legittimità. Si tratta, quindi, di motivazione in fatto idonea, di per sé,
ad escludere la qui riproposta diminuente.3. In definitiva il ricorso è infondato e, come tale, deve essere respinto.-

2

funzione. Peraltro non risulta -il che riveste significato dirimente- che il Mangione

Al completo rigetto dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto
dell’art. 616 Cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma il 26 Novembre 2013 Il Presidente

Il Consigliere estensore

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