Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17197 del 14/09/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17197 Anno 2018
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHINI TAOUFIK nato il 17/05/1977 a MATLINE( TUNISIA)

avverso l’ordinanza del 10/04/2017 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ADET TONI NOVIK;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIA FRANCESCA LOY
Il P.G. chiede il rigetto del ricorso.
Udito il difensore

Data Udienza: 14/09/2017

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza del 10 aprile 2017 il Tribunale di Milano, investito ai sensi
dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento emesso dal G.I.P.
dello stesso Tribunale, con cui veniva applicata la misura della custodia in
carcere nei confronti di Chihi Taoufick in ordine ai reati di associazione per
delinquere finalizzata al trasporto di cittadini stranieri clandestini verso paesi del
Nord Europa dietro pagamento di somme di denaro (art. 416, commi 1, 2, 3, 6.

clandestini nel territorio di altro Stato (artt. 110 cod. pen. – 12, comma 3 d) e
comma 3 ter, lett. b) decreto legislativo n. 286 del 1998), come dettagliati ai
capi 3, 8, 12 e 44 (il Tribunale invece annullava l’ordinanza limitatamente alla
aggravante di cui all’art. 4 L. n. 146/2006).

2. In fatto, sulla base di complesse indagini svolte dalla squadra mobile
di Cremona e dalla polizia di frontiera di Ventimiglia era emersa l’esistenza di
una associazione per delinquere dedita in modo sistematico ed organizzato a
procurare illegalmente l’ingresso in Francia di decine di immigrati – si
contavano 62 episodi -, stipati a bordo di mezzi motorizzati (furgoncini,
camion e autovetture). L’inquadramento dei fatti nella fattispecie delittuosa
contestata al capo 1), ad avviso del riesame, si rinveniva nell’esistenza di un
indeterminato programma criminoso, nella presenza di una adeguata
struttura organizzata e nella realizzazione di un collaudato modus operandi.
Gli stranieri provenivano in prevalenza dalla Siria e dopo essere sbarcati sulle
coste italiane venivano indirizzati in centri di accoglienza a Milano, dove
venivano contattati (a volte il contatto era preventivo) da soggetti che si
incaricavano dietro compenso di portarli in paesi del Nord Europa, a volte
anche in treno, accompagnati da membri dell’organizzazione. Accadeva anche
che gli stessi membri dell’organizzazione si recassero in Sicilia per prelevare
nuovi arrivati.
Il riesame dettaglia i membri che si trovavano al vertice delle sodalizio e,
attraverso richiamo alle intercettazioni, riporta esemplificativamente le
modalità con cui venivano conclusi gli affari inerenti il trasporto e la sinergia
che vi era tra i correi. Evidenzia: – che l’organizzazione era dotata di adeguati
mezzi di trasporto ed autisti, tra i quali rientrava anche il ricorrente che, in
possesso di un furgone, era stabilmente a disposizione del sodalizio; – che gli
illeciti traffici garantivano cospicui profitti economici; – l’agire coordinato dei
membri e l’assistenza prestata agli arrestati.

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cod. pen. capo 1) e a plurimi episodi di trasporto in concorso con altri correi di

Relativamente alla posizione di Chihi -colpito da MAE ed in attesa di
estradizione dalla Francia-, il tribunale del riesame alle pagine 16-18
evidenzia le intercettazioni telefoniche e le attività di polizia giudiziaria che
avevano consentito di ricostruire i viaggi ai quali lo stesso aveva preso parte
con il suo furgone -indicati in dettaglio nei capi di imputazione-, denotanti il
suo stabile inserimento nell’organizzazione.
Sul punto delle esigenze cautelari, il tribunale del riesame riteneva la
sussistenza del pericolo di reiterazione del reato ed il pericolo di fuga,

era in grado di preoccupare passaporti e documenti d’identità falsi. L’unica
misura adeguata appariva quella custodiale.

3. Avverso quest’ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione a
mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento sulla base di due
motivi.
3.1. Con il primo il difensore deduce erronea applicazione della legge penale
e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’art. 273 cod. proc. pen. In
sintesi, con richiamo ai principi che impongono un particolare rigore
motivazionale dei provvedimenti cautelari, ritiene la difesa che non siano state
fornite argomentazioni sufficienti per rigettare le doglianze difensive relative alla
distinzione tra la fattispecie associativa ed il concorso di persone continuato nel
reato, nel cui ambito doveva inserirsi la condotta del ricorrente. A dimostrazione
dell’esistenza dell’associazione il tribunale, osserva la difesa, aveva
esemplificativamente indicato situazioni che non riguardavano il ricorrente, la cui
figura era emersa solo in relazione a specifici reati-fine. Quand’anche si fosse
ritenuta sussistente una stabile organizzazione criminale, da ciò non poteva farsi
automaticamente discendere la partecipazione di tutti i soggetti che avevano
comunque realizzato uno dei reati-scopo. La circostanza che il ricorrente avesse
un furgone e lo mettesse a disposizione della associazione non era rilevante ai
fini dell’integrazione della fattispecie.
3.2. Con il secondo motivo si ritiene insufficiente e contraddittoria la
motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari. Il ricorrente era un
semplice partecipe e, essendo i capi e i promotori sottoposti a vincolo cautelare,
non era attuale il pericolo concreto della reiterazione dei reati. Pertanto, le
supposizioni formulate dal tribunale del riesame erano ipotesi prive di contenuto
concreto.

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tenendo conto che il ricorrente era stato arrestato in Francia e che il gruppo

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é infondato. Il suo esame impone alcune premesse sui principi
in materia di misure cautelari. In primo luogo, giova rammentare che a) il
controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato,
la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega
gli indizi al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza

giudice di merito e il controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non
involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito
circa l’attendibilità delle fonti né la rilevanza e la concludenza dei risultati del
materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da
errori logici e giuridici. Alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di
verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai suoi
limiti, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato
e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. (Sez. Fer. n. 47748
dell’11.8.2014, rv 261400) ed è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto
impugnato. Ne consegue che, qualora venga denunciato il vizio di motivazione di
un’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati
indicati alla lett. e) dell’art. citato, e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione
o alla sua manifesta illogicità, risultante dal testo stesso del provvedimento (cfr.,
per tutte, Cass., Sez. Un., 12.12.1994, De Lorenzo); è invece esclusa la
possibilità di una verifica della rispondenza delle argomentazioni poste a
fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali o di una
“rilettura” degli elementi di fatto, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata
al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze delle indagini, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa
valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate; b) questa Corte (sez. 5, 6/6/2012, n.
36079; sez. 2, 4/1/2012, n. 56; sez. 2, n. 56 del 4/1/2012) ha avuto modo di
chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che
serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza
finale.

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di tali indizi. La valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al

In secondo luogo, va ribadito che al fine dell’adozione della misura è
sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare «un
giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai
reati addebitati. Con la locuzione “gravi indizi di colpevolezza”, ex art. 273 cod.
proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o
rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi
strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a provare oltre ogni
dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di

attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale
responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza
(principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. 6, 06/07/2004, n.
35671). L’indagine è un work in progress e la valutazione della gravità indiziaria
va condotta nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di
possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio, e avuto riguardo,
perciò, al fatto che, in genere, la formazione del materiale probatorio può
considerarsi ancora in itinere.

2. Nel caso in esame, i giudici della cautela, attesa la fase preprocessuale in
atto, con ragionamento logico ed esente da vizi hanno fatto corretta
applicazione dei canoni che presiedono all’interpretazione degli indizi richiesti per
l’adozione di una misura cautelare rispetto alla “prova” necessaria ai fini della
condanna, indicando le ragioni per cui gli elementi acquisiti, come riportati al
punto sub 2. del “fatto”, unitariamente considerati, connotavano quel quadro di
gravità indiziaria a carico di Chihi per i reati contestati legittimante l’emissione
della misura cautelare. La valutazione formulata resiste alle doglianze esposte
nel ricorso.
2.1. Per quanto riguarda gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416
cod. pen., questa Corte Suprema è ormai ferma nel ritenere che l’associazione
per delinquere in tanto sussiste, in quanto si costituisca, e permanga, un vincolo
associativo continuativo fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie
indeterminata di delitti, attraverso la predisposizione comune dei mezzi necessari
alla realizzazione del programma criminoso e con la permanente consapevolezza,
da parte di ciascuno degli associati, di far parte del sodalizio e di essere
disponibile ad attuarne il programma. Proprio tale peculiare atteggiarsi del
pactum sceleris distingue nettamente l’associazione per deiinquere dal concorso
di persone nel reato, anche continuato, il quale, al contrario, richiede l’accordo di
due o più persone diretto ad eseguire un determinato reato, ovvero più reati,
collegati da un medesimo disegno criminoso, consumati i quali l’accordo si
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condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che,

dissolve e si esaurisce, facendo così cessare ogni motivo di allarme sociale (sez.
1, n. 10835 del 22 settembre 1994, Platania, rv. 199581; conforme, sez. 6, n.
3886 del 7 novembre 2011, dep. 31 gennaio 2012, Papa ed altri, rv. 251562). Il
discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale va, in
particolare, individuato nella necessaria finalizzazione dell’accordo associativo
alla costituzione di una struttura (almeno tendenzialmente) permanente, nella
quale i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei propri compiti,
assunti od affidati – parti di un tutto, e si propongono di commettere una serie

2.2. L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi,
laddove, con argomentazione compiuta e logicamente articolata, ha evidenziato
che dalle intercettazioni ritualmente svolte, dalle indagini di polizia giudiziarie
svolte, dalle attività di sopralluogo, pedinamento e osservazione e dalle
dichiarazioni acquisite risultava l’operatività di un articolato sodalizio finalizzato
allo svolgimento di attività tese a procurare l’illegale ingresso in Francia di
individui entrati clandestinamente in Italia. All’interno del gruppo criminale, i
membri insediati in Italia prendevano incarico i clandestini e con i più vari mezzi
di trasporto ne procuravano l’espatrio. Il tribunale del riesame ha inoltre,
argomentato, attraverso la valutazione attenta degli elementi probatori acquisiti,
quali erano gli elementi di spicco dell’associazione, con i quali collaborava
attivamente il ricorrente che si metteva a stabile disposizione dell’organizzazione
la quale poteva contare sul suo costante apporto.
2.3. Come ben chiarito dai giudici di merito, le risultanze del quadro
probatorio, sono indicative univocamente dell’esistenza di un sodalizio criminoso
teso a procurare l’illecito ingresso in altri Stati di cittadini extracomunitari entrati
clandestinamente sicché, la contestazione in ordine alla gravità indiziaria operata
dal difensore, sotto il profilo del vizio della motivazione, è generica e
manifestamente infondata. Non ricorre parimenti il vizio della violazione di legge:
— né sotto il profilo della inosservanza della legge sostanziale (per non aver il
giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata
rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero
per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da
quello contemplato dalla fattispecie); — né sotto il profilo della erronea
applicazione, avendo il Tribunale della cautela esattamente interpretato le norme
applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.
2.4. Quanto alla prova della partecipazione di Chihi all’associazione, il
tribunale ha messo in evidenza circostanze significative, riportate al punto 2 del
“fatto”, per inferire il suo inserimento organico nel sodalizio, richiamando le
attività di captazione ed il suo costante contatto con i vertici e gli altri sodali
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indeterminata di delitti.

dell’associazione. Se non vi è dubbio che tra reato-mezzo e reati-fine ricorre
piena autonomia derivante dal fatto che il primo prescinde dalla commissione
degli illeciti oggetto del programma criminoso, tanto che ai fini, ad esempio,
della prova della partecipazione al reato associativo non è necessaria la
condanna per alcuno dei reati fine (Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, Bilancia e
altri, Rv.247660; Sez. 1, n.33033 del 11/07/2003, Vitello, Rv. 225977), è anche
vero però che, una volta desunto appunto l’elemento probatorio della
programmazione indeterminata di delitti dalla stessa sussistenza dei reati fine,

fattuali, sulla sussistenza del reato associativo. L’autonomia del reato-mezzo
rispetto ai reati-fine,non esclude che la consumazione dei reati scopo
dell’associazione possa essere considerata prova dell’inserimento nel sodalizio.
Infatti, la conseguenza più evidente e immediata della complessità dei reati
associativi è il fatto che il singolo delitto non viene in considerazione solo di per
sè, ma anche come prova di altri delitti: sia nel senso che la consumazione di
alcuno dei reati fine può essere considerata prova della partecipazione al reato
associativo, sia nel senso che la partecipazione al reato associativo può essere
considerata prova di responsabilità in ordine ai reati fine. La giurisprudenza,
infatti, pur riconoscendo una “assoluta autonomia tra il delitto di associazione
per delinquere e i reati fine commessi dagli associati” non esclude, tuttavia, “che
gli elementi certi relativi alla partecipazione di determinati soggetti ai reati fine
effettivamente realizzati, possono essere influenti nel giudizio relativo
all’esistenza del vincolo associativo e all’inserimento dei soggetti
nell’organizzazione, in specie quando ricorrano elementi che dimostrino il tipo di
criminalità, la struttura e le caratteristiche dei singoli reati, le modalità di
esecuzione, etc.” (Cass., sez. 5, 14 settembre 1991, Monaco, m. 188985, Cass.,
sez. 5, 25 marzo 1997, Puglia, m. 208088), posto che è proprio attraverso di
essi che si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez.
2, n. 2740 del 19/12/2012, P.G. in proc. Di Sarli, Rv. 254233; Sez. U., n. 10 del
28/03/2001, Cinalli e altri, Rv. 218376).
2.5. Relativamente all’aspetto della cautela, il tribunale ha richiamato non
solo il pericolo di reiterazione dei reati, su cui si rivolge la censura del difensore,
ma anche il pericolo di fuga, su cui il ricorso é silente, incorrendo nel vizio di
aspecificità. E peraltro, anche sotto il pericolo di reiterazione dei reati, il tribunale
ha evidenziato elementi concreti (cioè non meramente congetturali), tratti dai
fatti posti in essere con continuità e spregiudicatezza, e attuali, idonei a
consentire una prognosi di commissione di ulteriori delitti analoghi.

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l’accertamento di questi non può non riflettersi inevitabilmente anche, in termini

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del

1 – ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 14 settembre 2017.

provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94, co.

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