Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17188 del 30/01/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17188 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: VANNUCCI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI FIORE MICHELANGELO N. IL 09/10/1959
avverso l’ordinanza n. 3771/2016 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
19/07/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO VANNUCCI;
le4te/senti
G Dott.

Data Udienza: 30/01/2017

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale doti Felicetta Mannelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito, per il ricorrente, l’avvocato Dario Vannetiello, che ha chiesto raccoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

che con sentenza emessa l’11 marzo 2016 la Corte di assise di appello di Napoli

responsabile della commissione dei delitti di omicidio pluriaggravato e di
detenzione e porto illegale di armi;
che al momento della decisione l’imputato era in carcere il esecuzione dì
ordinanza di custodia cautelare relativa a tali delitti;
che con ordinanza emessa il 19 luglio 2016 il Tribunale dì Napoli, in funzione di
giudice dì appello cautelare, ha confermato la decisione della Corte di assise dì
appello che, il 29 giugno 2016, aveva rigettato istanza dell’imputato per la
declaratoria di inefficacia della custodia cautelare per decorso del termine di fase
di cui all’art. 303, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.;
che questa, in sintesi, è la motivazione alla base della decisione: all’udienza
delr8 luglio 2015 il giudice di appello, nel rinviare la trattazione del processo ad
altra udienza, aveva disposto la sospensione del termine di custodia cautelare; il
rinvio era stato disposto in considerazione di impegni personali di uno dei due
difensori dell’imputato; non era quindi applicabile al caso concreto, secondo la
prospettazione dell’appellante, il principio di diritto affermato da Cass. SU.. n.
4909 del 18 dicembre 2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262914, secondo cui il rinvio
di udienza per impedimento legittimo del difensore dovuto a contemporaneo
impegno professionale determina la sospensione del termine di prescrizione al
massimo per sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento legittimo;
che per la cassazione di tale ordinanza Di Fiore ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal difensore, avvocato Dario Vannetiello) con il quale sì deduce che il
provvedimento è invalido tanto per violazione di legge (art. 159, primo comma, n.
3), cod. pen.; artt. 303, comma 2 e 394, comma 1, tett a), cod. proc.
quanto «per omessa motivazione rispetto al devoluto»;
che il ricorrente sostiene, in particolare, che: alta luce del principio affermato
dalla sopra citata sentenza resa dalla Corte di cassazione a sezioni unite quanto
alla durata massima della sospensione del termine di prescrizione anche nel caso
di rinvio su istanza del difensore dell’imputato, era necessario nel caso concreto
contemperare le esigenze processuali con quelle dell’imputato in stato di custodia
cautelare, con la conseguenza che l’indicazione, rinvenibile nella sentenza in
questione, del periodo di sospensione del termine fino ad un massimo di sessanta

ha confermato la condanna di Michelangelo Di Fiore alla pena dell’ergastolo perché

giorni dalla cessazione dell’impedimento era applicabile anche alla sospensione dei
termine dì custodia cautelare; nel caso concreto il rinvio era stato disposto
dall’udienza dell’8 luglio 2015 a quella del 30 ottobre dello stesso anno; il termine
era dunque, per legge, sospeso per non più dì sessanta giorni dall’8 luglio 2015;
dal termine massimo di fase, originariamente individuato dalla Corte di assise di
appello ai 28 maggio 2016, dovevano dunque essere detratti trentatre giorni (pari
al rinvio dall’udienza del 5 giugno 2015 a quella dell’8 luglio 2015, disposto per
acquisire una prova e, dunque, non determinante sospensione del termine di

sessanta intercorsi fra l’udienza dell’8 luglio 2015 e quella del 30 ottobre 2015; il
termine massimo di custodia cautelare relativo alla fase di appello del giudizio era
dunque spirato il 2 marzo 2016, prima dell’emissione della sentenza da parte della
Corte di assise di appello;
che il ricorrente conferma, dunque, che il rinvio disposto all’udienza svoltasi
avanti il giudice di appello l’8 luglio 2015 non fu conseguenza di impegno
professionale del difensore bensì derivo da istanza di mero rinvio avanzata da uno
dei difensori;
che ciò, per quanto qui interessa, ha determinato la sospensione del termine dì
custodia cautelare di fase (secondo l’indicazione, relativa al caso di specie,
contenuta nell’art. 303, comma 1, lett. c), n. 3), cod. proc. pen.) ai sensi dell’art.
304, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.;
che la disciplina legale relativa alla durata massìma dei termini di sospensione
della custodia cautelare è contenuta nell’art. 304, comma 6, del codice di rito, con
la conseguenza che non trova applicazione quella, contenuta nell’art. 159, primo
comma, n. 3), cod. pen., relativa al termine massimo (sessanta giorni) di
sospensione del corso della prescrizione nel caso di sospensione del processo
penale per impedimento delle parti o dei difensori;
che, comunque, la citata Cass. S.U., n. 4909 dei 18 dicembre 2014, dep. 2015,
Torchio, ha affermato – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – che
qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio dell’udienza, pur in
mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per
concorrente impegno professionale del difensore, il corso della prescrizione è
sospeso per tutta la durata del differimento, dal giudice stesso discrezionalmente
determinato;
che il motivo di ricorso è dunque manifestamente infondato in diritto;
che la manifesta inconducenza del ricorso determina la sua declaratoria di
inammissibilità (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.) e da tale statuizione deriva la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione

durata della custodia cautelare), nonché i quarantacinque giorni eccedenti ì

pecuniaria che si stima equo determinare in euro millecinquecento, da versare alla
Cassa delle ammende (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma dì millecinquecento euro alla Cassa delle
ammende. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento

c. p. p.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2017.

al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.

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