Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17182 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17182 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BERTOLA FABIO nato il 19/09/1968 a BERGAMO

avverso la sentenza del 20/01/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
– avvocato MARINELLI ANNA del foro di BERGAMO in difesa di BERTOLA FABIO
che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso,
– avvocato TROPEA RICCARDO del foro di BERGAMO in difesa di BERTOLA FABIO
che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 20/03/2018

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RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di assise di appello di Brescia
ha confermato la sentenza pronunciata dalla Corte d’assise di Bergamo in data 6
marzo 2015 che ha riconosciuto Fabio BERTOLA responsabile, quale mandante,
di concorso nell’omicidio pluriaggravato di Roberto Puppo commesso, con
premeditazione e per motivi abietti, in Brasile il 24 novembre 2010 a seguito di

575, 577, comma primo, n. 3, n. 4, 61, comma primo, n. 1, cod. pen.).
1.1. Con concorde valutazione di entrambi ì giudici di merito è stata
riconosciuta la responsabilità di Fabio BERTOLA quale ispiratore, organizzatore e
mandante dell’omicidio di Roberto Puppo, commesso materialmente dal minore
Jonatha Mizael Viera Santos, assoldato da Cosme Alves Da Silva a sua volta
individuato da Vanubia Soares Da Silva che aveva ricevuto dall’imputato il
mandato e il denaro necessario, con il concorso di Madson Gomes Wanderley
Jatoba, quale conducente del taxi a bordo del quale, con una scusa, veniva fatta
salire la vittima che era stata inviata in Brasile dall’imputato con il pretesto di
iniziare un’attività lavorativa, ma, in realtà, con il preciso scopo di farla uccidere
con modalità individuate dalla basista Vanubia.
La causale (movente) dell’omicidio, come concordemente individuata dai
giudici di merito, è costituita dallo scopo di lucro perseguito dall’imputato che,
resosi creditore di somme di denaro nei confronti della vittima, aveva poi indotto
la stessa a stipulare — poco prima di partire per il Brasile — ben cinque
assicurazioni per il rischio morte del complessivo importo € 1.125.000 delle quali
lo stesso Fabio Bertola era, seppure indirettamente, il beneficiario finale.

2. Ricorre Fabio BERTOLA, a mezzo dei difensori avv. Anna Marinelli e avv.
Riccardo Tropea, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata,
formulando tredici motivi di ricorso.
2.1. Osserva, con il primo motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione all’articolo 407, comma 3 cod. proc. pen., per essere stati
erroneamente ritenuti utilizzabili gli atti della rogatoria brasiliana sebbene
pervenuti oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari, delle quali non
era stata richiesta la proroga.
In particolare, la richiesta di rogatoria, avanzata in data 9 gennaio 2012,
veniva trasmessa dal Ministero della giustizia italiano in data 15 febbraio 2012 al
corrispondente Ministero brasiliano. In data 21 settembre 2012, a termini di
indagine scaduti, il Pubblico ministero sollecitava l’evasione della richiesta di

programmazione e preordinazione poste in essere fin dall’agosto 2010 (artt. 110,

t

assistenza giudiziaria i cui primi atti pervenivano il 25 ottobre 2012. Il successivo
21 marzo 2013 il Pubblico ministero comunicava l’accoglimento della richiesta di
assistenza poi concretamente svoltasi in Brasile il successivo 8 aprile 2013
mediante l’acquisizione di documenti già originariamente trasmessi, nonché
mediante l’esame di Soares Vanubia, poi utilizzato per le contestazioni nel

2.2. Osserva, con il secondo motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione all’articolo 493, comma 3, cod. proc. pen., e per vizio della
motivazione per essere stata erroneamente ritenuta utilizzabile la relazione di
servizio redatta dalla Polizia brasiliana che è stata acquisita sulla base del
consenso prestato per errore dalla difesa, tratta in inganno dall’intitolazione degli
atti del Pubblico ministero.
In particolare, fermo restando che il consenso all’acquisizione è viziato da
errore e come tale invalido, la Corte di secondo grado ha errato nel ritenere
insussistente detto errore, valorizzando una generica espressione («relazione di
servizio») utilizzata dalla difesa per indicare l’atto, il cui contenuto era diverso da
quello che poteva desumersi dal titolo.
In realtà, il consenso prestato dalla difesa aveva per oggetto l’ispezione della
camera d’albergo dove dimorava Puppo, come poteva agevolmente desumersi
dall’indicazione offerta dalla difesa che intendeva escludere gli atti e i verbali «a
contenuto dichiarativo e delle relazioni di servizio».
2.3. Osserva, con il terzo motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 210, comma 5, 500, comma 3, cod. proc. pen., e
per vizio della motivazione con riguardo alla utilizzazione delle dichiarazioni rese
nel corso dell’esame dibattimentale in videoconferenza da Soares Vanubia la
quale, dopo avere iniziato l’esame condotto dal Procuratore generale, si è
avvalsa della facoltà di non rispondere, rifiutandosi di rispondere alle altre
domande, incluse quelle della difesa, così determinandone l’inutilizzabilità.
In particolare, la Corte di secondo grado ha erroneamente ritenuto di non
applicare la previsione dell’art. 500, comma 3, cod. proc. pen., pur venendo la
medesima espressamente richiamata dall’art. 210, comma 5, cod. proc. pen.,
per gli indagati in procedimento connesso come la dichiarante Vanubia.
D’altra parte, se il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese da colui che

+

si è sottratto all’esame da parte dell’imputato è ribadito dall’art. 526, comma 13

giudizio di appello.

bis, cod. proc. pen., la sentenza ha incentrato in vari passaggi motivazionali
(pag. 51, pag. 55, pag. 82\3, pag. 86, pag. 89) la dichiarazione di responsabilità
proprio sulle dichiarazioni rese da Vanubia.
2.4. Osserva, con il quarto motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione all’art. 603 cod. proc. pen., per la mancata acquisizione,

disponibilità di Puppo e sequestrati dall’AG brasiliana, telefoni che la difesa
ritiene essere una prova decisiva per esaminare il tenore dei messaggi scambiati
dalla vittima con i protagonisti della vicenda, avendo i giudici di merito
unicamente basato la decisione sui dati esteriori di tali contatti.
2.5. Osserva, con il quinto motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 192, comma 3, 210 cod. proc. pen., e per vizio della
motivazione con riguardo alla verifica di credibilità di Vanubia, che è stata
giudicata in parte non attendibile (ha riferito che doveva essere organizzato «un
piccolo spavento» ai danni di Puppo) e contraddittoria (ha riferito di avere sentito
Bertola al telefono dopo l’omicidio, ma tale telefonata non risulta dai tabulati).
La difesa denuncia, inoltre, l’errore del giudice di appello il quale ha ritenuto
Vanubia una chiamante in correità, mentre sulla base delle dichiarazioni rese la
stessa doveva essere qualificata come chiamante in reità, risultando estranea al
delitto. D’altra parte, il narrato di Vanubia non ha trovato riscontri.
2.6. Osserva, con il sesto motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 192, comma 2, 533, comma 1, cod. proc. pen., e
per vizio della motivazione con riguardo alla ricostruzione del fatto,
caratterizzato da elementi tipici dell’omicidio per rapina, perciò non riferibile al
ricorrente.
In particolare, non sono state ritrovate le ingenti somme nella disponibilità
della vittima, mentre il minore non ha affatto riferito di avere ucciso Puppo su
commissione di Cosme, essendosi limitato unicamente a riportare lo svolgimento
dei fatti.
D’altra parte, il rinvenimento dell’orologio e degli occhiali è scarsamente
significativo per escludere lo scopo di rapina, in quanto non vi è prova che si
trattasse di beni autentici, apparendo verosimile, invece, che fossero dei falsi
grossolani come tali percepiti dagli aggressori e per tale ragione non asportati.
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previa riapertura dell’istruttoria in appello, degli apparati telefonici rinvenuti nella

2.7. Osserva, con il settimo motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 192, commi 2 e 3, 197-bis cod. proc. pen., e per
vizio della motivazione con riguardo alla individuazione del movente economico,
ritenuto estremamente rilevante dal punto di vista probatorio, sulla base delle
dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento connesso Mascheretti e Masin la

e contraddittoria.
In particolare, lo stato di difficoltà economica di Puppo è stato affermato
contraddittoriamente perché in contrasto con l’accertata capacità di spesa dello
stesso (che frequentava locali costosi e faceva viaggi all’estero), delle proprietà
immobiliari di cui disponeva e dei redditi da locazione di cui godeva.
D’altra parte, il ricorrente non aveva necessità di procurarsi somme di
denaro perché poteva agevolmente soddisfare le proprie pretese nei confronti
degli altri debitori (Mascheretti e Ravanelli) che gli avevano rilasciato idonee
procure.
Con riguardo alla credibilità dei dichiaranti, che hanno patteggiato la pena
per favoreggiamento reale, la Corte di merito non ha valorizzato l’esistenza di un
concreto e serio interesse di costoro ad accusare Bertola così da allontanare da
sé i sospetti per la stipulazione delle polizze da parte di Puppo di cui essi erano i
beneficiari.
Inoltre essi avevano in precedenza affermato di non avere avuto sospetti del
coinvolgimento di Bertola nella morte di Puppo, salvo poi accusarlo, all’evidente
scopo di allontanare da sé i sospetti per l’omicidio dopo essere stati arrestati per
concorso in tale delitto.
La Corte di merito ha anche errato nell’individuazione dei riscontri alle
dichiarazioni di Mascheretti e Masin poiché:
– l’affermazione secondo la quale il prevalente interesse all’incasso delle
polizze era di Bertola, non tiene conto che la garanzia era stata offerta in
relazione al preliminare di vendita del Bar Hemingway e che Mascheretti aveva
riferito agli assicuratori che, essendo creditore di Puppo, le polizze servivano a
tenerlo indenne da perdite, e che, per quanto riguarda Masin la prova
dell’assenza di pretese creditorie è stata erroneamente ricavata da una
«risatina» captata in un’intercettazione con Bertola;

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cui attendibilità non è stata verificata, ovvero lo è stata con motivazione illogica

- l’affermazione secondo la quale Bertola faceva pressioni su Mascheretti e
aveva minacciato Masin per incassare le polizze, non trova riscontro specifico,
emergendo anzi che Mascheretti si era già autonomamente attivato per l’incasso
pochi giorni dopo la morte di Puppo, mentre le ipotetiche pressioni sono
successive. D’altra parte, è emerso che Bertola era interessato unicamente a che

saldare un debito che aveva contratto con lui. In ultima analisi le intercettazioni,
oltre a non fornire riscontro alle dichiarazioni dei chiamanti in reità, falliscono
nella prova del movente;
– l’affermazione secondo la quale Bertola aveva chiesto a Masin di intestarsi
un’assicurazione su Puppo perché egli ne aveva altre, non è riscontrata
dall’intercettazione del 4.4.2012 in cui Masin, riferendo a Bertola del colloquio
con gli inquirenti, si sarebbe detto preoccupato che gli inquirenti riuscissero a
collegare la polizza a Bertola, poiché il tenore della conversazione è diverso,
mentre le interpretazioni postume offerte dal dichiarante sono viziate dalla
finalità di sottrarsi all’accusa di partecipazione al più grave delitto di omicidio.
L’affermazione secondo la quale a sostegno delle dichiarazioni di Mascheretti
e Masin vi sarebbero numerose prove circostanziali, è del tutto illogica poiché si
tratta di elementi generici (il «protagonismo operativo» di Bertola per la cessione
del Bar Hemigway è tale solo in forza delle dichiarazioni di Mascheretti, non
avendo i testi fornito indicazioni decisive sul ruolo di Bertola), meramente
deduttivi, puramente essertivi e comunque non dimostrati.
D’altra parte, si tratta di elementi circostanziali non attinenti alla prova del
movente erroneamente rinvenuto nelle dichiarazioni di Mascheretti e Masin. In
tal senso si evidenzia che le assicurazioni redatte presso la ditta del ricorrente
sono soltanto quella in favore della di lui moglie Durand e quella in favore di
Masin che frequentava stabilmente l’ufficio, mentre dalla ditta fu inviata la sola
richiesta di preventivo per la polizza a favore di Durand.
In merito alla richiesta di documentazione fatta da Mascheretti a Bertola si
sottolinea che, per un verso, la testimonianza è generica nel riferire dell’episodio
che vedrebbe protagonista il ricorrente e che, per altro verso, è stato Mascheretti
a richiedere al Comune il certificato di morte di Puppo, nonostante Bertola ne
fosse da tempo già in possesso, così dovendosi escludere un interesse
dell’imputato nella vicenda dell’incasso delle polizze.
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Mascheretti entrasse in possesso del rimborso delle polizze per procedere a

2.8. Osserva, con l’ottavo motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 192, commi 2 e 3, 197-bis cod. proc. pen., e per
vizio della motivazione con riguardo all’affermazione che il viaggio in Brasile di
Puppo è stato organizzato e finanziato dal ricorrente.
In particolare, si censura la ricostruzione compiuta dai giudici di merito nella

univoche nell’indicare la circostanza, mentre le stesse dimostrano il contrario.
D’altra parte, le concordanti dichiarazioni rese da Masin sono tardive e perciò
non credibili per i motivi già esposti sopra.
È, invece, meramente asserita la mancanza di disponibilità economiche della
vittima, sia con riguardo al pagamento del viaggio (volo e pernottamento), sia in
merito alla provenienza della somma di euro 800 che lo stesso ha cambiato in
valuta locale all’atto dell’ingresso nel paese.
Allo stesso modo è illogica l’affermazione secondo la quale dalla mail inviata
dalla vittima a BERTOLA qualche giorno prima della partenza potrebbe desumersi
che sia stato quest’ultimo a prospettare l’opportunità lavorativa che ha spinto
Puppo a recarsi in Brasile.
Sono state, infine, travisate le dichiarazioni di Vanubia che ha soltanto
riferito di essere stata informata da BERTOLA dell’arrivo dell’amico Puppo allo
scopo di avere un riferimento sul posto.
2.9. Osserva, con il nono motivo, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione agli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen., e per vizio della
motivazione con riguardo alle pretese falsità di alcune dichiarazioni rese
dall’imputato da cui la Corte ha illogicamente tratto elementi a sostegno
dell’accusa.
In particolare, la Corte di merito ha ingiustamente tacciato di falsità e
maliziosa preordinazione il racconto del ricorrente in merito alla causale del
viaggio di Puppo, poiché quanto riferito da BERTOLA, indipendentemente dalla
oggettiva falsità, deriva unicamente da ciò che al medesimo aveva detto Puppo
prima di partire (conoscere la famiglia della fidanzata brasiliana), come pure
confermato da alcuni testimoni.
D’altra parte, è errato affermare che la destinazione di Puppo (Maceiò) fosse
lontana dall’abitazione della fidanzata di questi (Recife).

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parte in cui affermano che le dichiarazioni dei genitori della vittima sono

È errato, altresì, il percorso logico seguito dai giudici di merito con riguardo
alle presunte omissioni contenute nella denuncia per calunnia presentata da
BERTOLA ai danni di Vanubia, che lo aveva accusato di essere il mandante
dell’omicidio, poiché lo status di creditore della vittima è irrilevante, mentre è
rimasto indimostrato che BERTOLA fosse il reale beneficiario delle cinque polizze

venuto a conoscenza dell’esistenza di una sola polizza soltanto nel gennaio 2012
(intercettazione del 24.1.2012).
È, infine, giustificabile da un banale errore la circostanza che BERTOLA abbia
omesso di riferire dei contatti intercorsi con Vanubia dopo la morte di Puppo,
poiché egli aveva comunque esplicitato di avere fatto dei bonifici alla stessa per
incassare i quali aveva fornito i codici alla donna tramite telefono.
2.10. Osserva, con il decimo motivo, che la sentenza è nulla per violazione
di legge, in relazione agli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen., e per vizio della
motivazione con riguardo alle deduzioni tratte dai contatti intercorsi tra BERTOLA
e Vanubia, risultando diversi i dati di fatto su cui si basa l’assunto.
In particolare, mentre non sono stati adeguatamente valorizzati in ottica
difensiva i contatti intrattenuti da Vanubia con terze persone proprio in
coincidenza con l’omicidio, risulta escluso che la donna abbia intrattenuto con
BERTOLA la conversazione, riferita dal minore, nel corso della quale la
medesima, immediatamente dopo l’omicidio, avrebbe affermato «capo è fatta».
Sul punto, secondo la difesa, la Corte è incorsa in un’evidente illogicità e
contraddittorietà in quanto, se da una parte ha identificato nel «capo» Cosme,
dall’altra parte non ha tratto le logiche conseguenze di tale affermazione che
esclude BERTOLA dal ruolo di organizzatore e mandante.
D’altra parte, è contraddittoria l’affermazione che la responsabilità di
BERTOLA trova sostegno nella ricezione — a cavallo dell’omicidio — di messaggi
inviati da soggetti non identificati, mentre il teste Meinero ha escluso che i
cittadini brasiliani implicati nella vicenda abbiano inviato messaggi a BERTOLA in
quel frangente.
Infine, è errato trarre elementi di accusa dal messaggio «ti amo» inviato dal
cellulare di BERTOLA a quello di Vanubia, posto che il ricorrente ha ampiamente
chiarito essersi trattato di un errore di invio derivante dalle caratteristiche
dell’apparecchio allo stesso in uso (dual sim).
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stipulate da Puppo prima di partire, mentre risulta accertato che il ricorrente è

2.11. Osserva, con l’undicesimo motivo, che la sentenza è nulla per
violazione di legge, in relazione agli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen., e per
vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta attendibilità di Puppo Antonio,
padre della vittima, che ha riferito del colloquio avuto con il ricorrente
immediatamente dopo avere appreso della morte del figlio nel corso del quale

In particolare, il narrato di Puppo Antonio è frutto di successivi affioramenti
e correzioni che sono incompatibili con la genuinità.
2.12. Osserva, con il dodicesimo motivo, che la sentenza è nulla per
violazione di legge, in relazione agli artt. 192, comma 2, 197-bis, 210 e 533 cod.
proc. pen., e per vizio della motivazione con riguardo all’apoditticità di talune
affermazioni, l’equivocità di molti indizi e l’erroneità del percorso argomentativo.
La difesa, oltre a riportare in parte le argomentazioni sopra richiamate, si
appunta su alcuni temi:
– i trasferimenti di denaro a favore di Vanubia sono giustificati dalla pregressa
relazione da cui nacque un figlio, poi deceduto, e dalla volontà di BERTOLA di
occuparsi della sepoltura di questi, risultando irrilevante la circostanza che in
occasione del viaggio in Brasile non vi sia stato l’incontro con i responsabili del
cimitero, ragione fondamentale del viaggio medesimo;
– la cessazione di tali versamenti di denaro trova giustificazione proprio nella
definitiva chiusura dei rapporti con Vanubia;
– le dichiarazioni di Vanubia sono calunniose proprio perché dettate dal rifiuto di
BERTOLA di proseguire nelle elargizioni;
– il viaggio in Brasile di BERTOLA, in occasione del quale avrebbe concordato con
Vanubia i dettagli dell’omicidio, è stato organizzato in modo palese perciò
incompatibile con qualsiasi intento illecito;
– le rimesse in denaro effettuate dopo l’omicidio non sono ad esso collegate
perché effettuate attraverso canali ufficiali e perciò tracciabili.
In conclusione, ad avviso della difesa, la Corte di merito ha valorizzato come
indizi delle mere casualità, sicché non ha escluso una diversa valenza di esse in
senso non accusatorio.
2.13. Osserva, con il tredicesimo motivo, che la sentenza è nulla per
violazione di legge, in relazione all’art. 62-bis cod. pen., e per vizio della

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BERTOLA avrebbe riferito di una donna il cui nome iniziava con la lettera S.

motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche.

3. In data 2 marzo 2018 il ricorrente, tramite i difensori, ha depositato
motivi nuovi.

violazione di legge, in relazione agli artt. 191, 513, comma 2, 526, comma 1-bis,
cod. proc. pen., per essere state utilizzate le dichiarazioni rese dall’imputato in
procedimento connesso Jonatha Mizael Viera Santos che, citato nel dibattimento
di appello, si avvaleva della facoltà di non rispondere. Il motivo nuovo si dice
connesso con il secondo motivo di ricorso.
3.2. Osserva, con il secondo motivo nuovo, che la sentenza è nulla per
violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 210 cod. proc. pen., e vizio della
motivazione con riguardo alla ritenuta attendibilità dell’imputato in procedimento
connesso Vanubia Soares. Il motivo nuovo si dice connesso con il quinto motivo
di ricorso.
Si contesta la logicità del ragionamento nella parte in cui la Corte di merito
ha ritenuto attendibile Vanubia sulla base della natura auto ed etero accusatoria
delle dichiarazioni, salvo poi affermare che la donna ha inteso rendere
dichiarazioni finalizzate ad escludere o attenuare la propria responsabilità.
La valutazione frazionata, perciò, sarebbe impossibile poiché sussiste un
contrasto interno alle dichiarazioni e, comunque, si è verificata una evidente
interferenza tra le due parti del narrato.
3.3. Osserva, con il terzo motivo nuovo, che la sentenza è nulla per vizio
della motivazione con riguardo alle alternative ricostruzioni del fatto che
avrebbero dovuto essere attentamente scandagliate in ossequio alla regola del
ragionevole dubbio. Il motivo nuovo si dice connesso con il dodicesimo motivo di
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel complesso infondato.
1.1. Saranno immediatamente esaminati i primi due motivi di ricorso che
denunciano la violazione della legge in merito all’utilizzabilità di atti processuali e
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3.1. Osserva, con il primo motivo nuovo, che la sentenza è nulla per

il quarto motivo (rinnovazione dell’istruttoria) poiché preliminari, ancor prima
dell’esame del terzo motivo, alla ricostruzione dei fatti.
Si procederà, quindi, a ripercorrere brevemente le conclusioni raggiunte dai
giudici di merito, poiché tale rassegna è utile per chiarire la reale portata dei
motivi di ricorso dal n. 5 al n. 12, nonché il secondo e il terzo motivo nuovo, che,

panorama probatorio, peraltro riproduttive dei motivi di appello già esaminati.
Saranno infine esaminati il terzo motivo (utilizzabilità delle dichiarazioni di
Vanubia), il primo motivo nuovo (utilizzabilità delle dichiarazioni di Jonatha
Mizael) e l’ultimo motivo di ricorso (n. 13) che concerne il trattamento
sanzionatorio.

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché ripropone
pedissequamente le doglianze contenute nell’atto di appello senza confrontarsi
con la sentenza impugnata la quale ha dato ampiamente conto del corretto
sviluppo dell’iter processuale concernente l’acquisizione degli atti tramite
rogatoria.
In particolare, non è controversa la circostanza che, a fronte di una
tempestiva richiesta di rogatoria, l’autorità giudiziaria brasiliana abbia
provveduto a trasmettere, dopo la conclusione delle indagini preliminari, gli atti
dalla stessa compiuti nell’ambito del procedimento colà pendente, senza
compiere alcuna attività su richiesta del Pubblico Ministero italiano, sicché deve
farsi convinto richiamo alla costante giurisprudenza di legittimità secondo la
quale «la sanzione dell’inutilizzabilità per le acquisizioni tardive riguarda solo gli
atti di indagine del P.M. e non gli elementi di prova acquisibili indipendentemente
da qualsivoglia impulso della pubblica accusa» (Sez. 5, n. 15844 del
05/02/2013, M., Rv. 255505).
D’altra parte, i giudici di merito hanno concordemente evidenziato che gli
atti trasmessi dall’autorità giudiziaria brasiliana sono stati compiuti, come
neppure la difesa contesta, prima della scadenza del termine di durata delle
indagini preliminari, sicché «al fine della verifica dell’inutilizzabilità prevista per
gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini
preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono
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in larga parte, introducono censure di merito o diverse prospettazioni del

compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume» (Sez. 5,
n. 19553 del 25/03/2014, Naso, Rv. 260403).

3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, anch’esso, ripropone
pedissequamente le doglianze contenute nell’atto di appello senza confrontarsi

sulla base di quanto riportato nel verbale dell’udienza 19 dicembre 2013 (sia
nella forma sintetica redatta dal cancelliere sia in quella integrale redatta a
mezzo fono registrazione), di un espresso e valido consenso prestato dalla difesa
all’utilizzazione della relazione di servizio di cui si tratta acquisita tramite
rogatoria.
D’altra parte, i giudici di secondo grado hanno escluso l’esistenza di un
errore incolpevole anche in considerazione della piena disponibilità, al momento
del deposito degli atti effettuato dal Pubblico ministero ai sensi dell’articolo 415bis cod. proc. pen., della relazione di servizio che, con tale denominazione, è
stata specificamente indicata dalla difesa nel corso della già citata udienza
dibattimentale.
In definitiva i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del costante
orientamento di legittimità secondo il quale «gli atti contenuti nel fascicolo del
Pubblico Ministero ed acquisiti, sull’accordo delle parti, al fascicolo per il
dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non
ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all’art. 514 cod. proc. pen., salvo che
detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta “patologica” qual è quella
derivante da una loro assunzione

contra legem»

(Sez. 6, n. 48949 del

07/10/2016, Guarnieri, Rv. 268213).
Nel caso di specie, se per un verso non può trovare luogo alcuna questione
concernente il «vizio del consenso», trattandosi di attività processuale alla quale
non si applicano le categorie di annullabilità stabilite per i rapporti negoziali, per
altro verso non ricorre il caso dell’inutilizzabilità patologica poiché si tratta di un
atto legittimamente acquisto dal Pubblico ministero per rogatoria internazionale
che riporta le dichiarazioni rese dal co-indagato alla polizia brasiliana e da questa
legittimamente raccolte, tanto è vero che la difesa non contesta la legittima
formazione dell’atto.
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con la sentenza impugnata la quale ha dato ampiamente conto dell’esistenza,

4. È palesemente infondato il quarto motivo di ricorso che denuncia la
mancata assunzione di una prova decisiva nel corso del giudizio di secondo
grado.
4.1. In proposito deve essere ricordato l’orientamento di legittimità secondo
il quale «in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata

l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata,
di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento
e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state
presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in appello» (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 dep. 2015, PR,
Rv. 261799).
In effetti, il motivo di ricorso è inammissibile in quanto non sono segnalate
lacune o illogicità su punti decisivi della sentenza impugnata derivanti dalla
mancata assunzione della prova richiesta.
4.2. Il motivo di ricorso è del pari manifestamente infondato poiché la Corte
di secondo grado ha correttamente esercitato i poteri alla stessa attribuiti
dall’art. 603 cod. proc. pen., facendo applicazione, in presenza di una richiesta
tardiva, del costante orientamento di legittimità secondo il quale «in tema di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma
primo, cod. proc. pen. la riassunzione di prove già acquisite o l’assunzione di
quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in
precedenza siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta
carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è
tenuto a disporre l’ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il
giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all’art. 495, cod. proc. pen., con
il solo limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o
manifestamente superflue o irrilevanti» (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016, F.,
Rv. 268657).
Risulta, in effetti, incontroverso che la difesa fosse a conoscenza fin dalla
chiusura delle indagini preliminari dell’esistenza del materiale di cui ha chiesto
l’acquisizione, sicché la richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. è inammissibile alla
luce del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale «in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per prova
13

rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri

”sopravvenuta o scoperta” dopo la sentenza di primo grado si intende la prova
con carattere di novità, rinvenibile laddove essa sopraggiunga autonomamente,
senza alcuno svolgimento di attività, o quando venga reperita dopo
l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento

5. In questo paragrafo saranno esposti gli elementi sui quali si fondano le
sentenze di primo e secondo grado.
5.1. Queste le risultanze probatorie scandite nelle sentenze di merito.
La ricostruzione degli elementi di fatto relativi all’omicidio di Roberto Puppo è
stata così esposta concordemente dai giudici di merito:
– l’omicidio di Roberto Puppo veniva constatato dalla Polizia brasiliana alle
ore le 21:40 del 24 novembre 2010, per come avvenuto ai margini della strada
extraurbana che collega Maceiò a Pilar;
– i colpi d’arma da fuoco sparati contro Puppo erano quattro, di cui uno
attingeva la vittima nella parte posteriore del corpo mentre si trovava di spalle;
– sul luogo dell’omicidio non veniva rinvenuto alcun portafogli (il portafoglio
della vittima veniva successivamente rinvenuto, con all’interno C 90,
nell’appartamento occupato dalla vittima in Brasile), l’orologio di marca era
ancora al polso del cadavere, mentre sul luogo del delitto si rinvenivano anche
gli occhiali di marca indossati dalla vittima e due telefoni cellulari in uso allo
stesso, così da doversi escludere lo scopo di rapina;
– le indagini di polizia erano partite dall’esame del cellulare della vittima nel
quale risultava memorizzato anche il numero di Vanubia;
– il collegamento tra Vanubia e Puppo veniva corroborato anche dal fatto che
la donna restituiva alla Polizia e faceva sequestrare il computer notebook della
vittima di cui era in possesso;

le indagini assumevano una svolta allorquando la Polizia brasiliana

apprendeva che il minore Jonatha Mizael si vantava di avere guadagnato del
denaro uccidendo un cittadino straniero;
– nel telefono cellulare del minore risultava memorizzato il numero di
telefono di Vanubia;

14

posteriore alla decisione» (Sez. 3, n. 11530 del 29/01/2013, A.E., Rv. 254991).

- dal cellulare del minore emergeva che vi era stato un contatto telefonico
tra lo stesso e Cosme, al quale la polizia risaliva anche sulla base delle
dichiarazioni rese da Vanubia;
– dal cellulare di Vanubia si rilevava anche il contatto telefonico con il
tassista Madson, al quale la polizia risaliva anche a seguito della descrizione

– dal video prodotto dalla telecamera di sicurezza posta presso una stazione
di servizio situata nella zona dell’omicidio si notava l’incontro negli orari prossimi
e successivi al delitto tra il minore Jonatha Mizael, Madson, Cosme (con un
casco) e Vanubia;
– dalla dichiarazione confessoria, acquisita agli atti con il consenso della
difesa, resa dal minore Jonatha Mizael il quale riferiva di avere ucciso Puppo in
ragione dell’incarico ricevuto da Cosme e dietro la corresponsione di una somma
di denaro. In particolare, il minore riferiva che, dopo avere prelevato Puppo con
un taxi guidato da un uomo (Madson) a bordo del quale si trovava anche una
donna (Vanubia), il veicolo veniva fermato con una scusa in una zona isolata,
sicché i tre uomini scendevano dal mezzo e il minore, impugnando la pistola,
sparava alla vittima mentre si trovava di spalle per poi esplodere i successivi tre
colpi quando l’uomo era ormai caduto a terra. Il gruppo poi ripartiva alla volta
della città, non prima che il minore consegnasse l’arma alla donna la quale, tolte
le munizioni utilizzate, le consegnava al tassista che provvedeva a gettarle in un
bosco. Lungo la strada del ritorno il veicolo si fermava in un luogo convenuto con
Cosme il quale chiedeva a Vanubia se era andato tutto bene, ricevendo risposta
affermativa;
– i numerosi, reiterati e financo affannosi contatti telefonici intercorsi, anche
a cavallo dell’omicidio, tra Bertola e Vanubia;
– gli ingenti trasferimenti di denaro da Bertola a Vanubia;

le dichiarazioni rese dai co-imputati (per favoreggiamento reale)

Mascheretti e Masin che hanno chiarito lo scopo e la finalità delle polizze
assicurative per il rischio morte stipulate, poco prima della partenza per il
Brasile, da Puppo per volere di Bertola che ne era l’effettivo beneficiario.
5.1.1. Entrambi i giudici di merito hanno, peraltro, ritenuto di ricavare
elementi di sostegno all’accusa dalle dichiarazioni rese dall’imputato, sia in
occasione della denuncia per calunnia presentata in data 7.1.2011 nei confronti
15

fornita dalla stessa Vanubia;

di Vanubia, sia nel corso del giudizio, ravvisando la falsità e preordinazione di tali
menzogne allo scopo di supportare un alibi falso, perciò valorizzato quale
elemento dì corroborazione dell’accusa.
La denuncia per calunnia è stata valorizzata anche per dare ingresso
all’accusa mossa da Vanubia a BERTOLA. Nell’atto in questione BERTOLA,

di accusa a proprio carico derivanti dalle dichiarazioni di Vanubia. In particolare,
secondo la denuncia di BERTOLA, Vanubia aveva accusato l’odierno ricorrente di
essere l’organizzatore e il mandante dell’omicidio, avendo incaricato la donna, in
occasione del precedente viaggio in Brasile, di curare dietro compenso gli aspetti
operativi dell’atto, reperendo il gruppo di fuoco e organizzando la trappola in cui
far cadere Puppo, colà inviato da BERTOLA proprio per farlo eliminare onde
incassare le assicurazioni sulla vita
5.1.2. A giudizio della Corte di secondo grado la responsabilità dell’imputato
poggia, indipendentemente dal contributo offerto dalla coindagata Soares
Vanubia (escussa in videoconferenza nel giudizio di appello), su numerosi
elementi di fatto costituiti dalla ricostruzione delle peculiari modalità con le quali
è stato commesso il delitto, dal provato coinvolgimento dei co-indagati brasiliani
— poi destinatari del mandato di arresto preventivo emesso dall’autorità
giudiziaria di quel Paese — , dall’essenziale contributo probatorio fornito dal
Commissario della Polizia brasiliana Marcilio Barrenco (escusso in
videoconferenza nel giudizio di appello), che ha svolto le indagini in Brasile, il cui
narrato è risultato coincidente con le altre emergenze probatorie (verbali di
perquisizione e sequestro, perizia sul corpo della vittima) e con il contenuto della
relazione di servizio predisposta dall’ufficiale di polizia e acquisita con il consenso
della difesa.
5.2. Ad avviso dei giudici di secondo grado il panorama probatorio si è
arricchito nel corso del giudizio di appello delle dichiarazioni rese in
videoconferenza dalla co-indagata Soares Vanubia che, rispondendo alle
domande del Pubblico ministero, ha ricostruito la sequenza dinamica che ha
scandito l’episodio delittuoso in termini sostanzialmente collimanti con le
dichiarazioni del minore, precisando che BERTOLA le aveva chiesto di far salire la
vittima sul taxi, soggiungendo però che l’azione aveva unicamente scopo
intimidatorio.
16

quando ancora non era indagato per l’omicidio di Puppo, ha esposto gli elementi

Nel corso dell’esame, quando il Pubblico ministero ha formulato alcune
contestazioni proprio con riferimento al riferito scopo dell’azione, la dichiarante
decideva di avvalersi della facoltà di non rispondere alle ulteriori domande, così
impedendo il completamento dell’esame da parte dell’accusa, ma anche il

6. Prima di esaminare dettagliatamente i motivi di ricorso da n. 5 a n. 12,
nonché il secondo e il terzo motivo nuovo, è opportuno precisare che essi
appaiono, nel complesso, generici e confutativi, nonché volti a proporre un
nuovo e diverso esame degli elementi probatori raccolti, ciò anche mediante una
critica disarticolata delle complessive e convergenti risultanze.
6.1. Con riguardo alla ricostruzione del fatto, il provvedimento impugnato
riporta gli elementi emersi a carico del ricorrente, costituiti dalle dichiarazioni del
minore responsabile materiale dell’omicidio, dell’operante che ha svolto le
indagini e della indagata in procedimento connesso Vanubia (quantomeno nella
parte di esse risultanti dalla stessa denuncia per calunnia sporta da BERTOLA),
dalle attività di indagine e sequestro, dagli accertamenti sul traffico telefonico,
dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di Mascheretti e Masin in ordine alla
causale dell’azione, assolutamente concordi nella ricostruzione dei fatti, li valuta
adeguatamente e puntualmente motiva sulla attendibilità delle dichiarazioni e
sulla convergenza del materiale probatorio anche in considerazione del
contributo conoscitivo portato, sul fatto materiale, dallo stesso imputato.
Non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione di tale
compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo
questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una «rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. Un. n. 41476 del
25/10/2005, Misiano; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, Rv. 207944;
Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, Rv. 203428).
6.2. Pur prospettando una contraddizione della motivazione, il ricorso è del
tutto aspecifico e generico, giacché si limita a proporre una diversa lettura delle
acquisizioni probatorie ovvero a contestare con mere asserzioni elementi
17

controesame della difesa.

probatori ampiamente illustrati e riassunti in conclusioni che sono censurate per
aspetti secondari e in modo assertivo.
Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede
giacché non possono condurre a una rivalutazione del materiale probatorio le
poche asserzioni riportate in ricorso, la cui pretesa contraddittorietà non è in

Il ricorso si presenta, poi, non autosufficiente nella parte in cui riporta per
stralcio alcune dichiarazioni testimoniali, che dovrebbero risultare in contrasto
con quelle sopra indicate, non consentendo alla Corte di verificare tale
discrepanza a causa della mancata allegazione del relativo verbale di prova.

7. Nei paragrafi seguenti, quindi, saranno separatamente analizzati i singoli
motivi di ricorso (da n. 5 a n. 12; secondo e terzo motivo nuovo), eventualmente
arricchendo, ove necessario, le considerazioni generali sopra svolte.
7.1. È manifestamente infondato il sesto motivo di ricorso, con il quale deve
essere esaminato anche il terzo motivo nuovo, che propone una diversa
ricostruzione della dinamica omicida ovvero introduce alternative causali,
deducendo l’ipotesi dell’omicidio a scopo di rapina o per vendetta, poiché non si
confronta con il provvedimento impugnato e con le puntuali argomentazioni in
proposito poste a confutazione dell’analogo motivo di appello che fanno logico e
coerente riferimento, per un verso, alla mancata sottrazione dei beni di valore
che erano in possesso della vittima in relazione ai quali le argomentazioni
difensive risultano del tutto ipotetiche, e, per altro verso, all’aleatorietà delle
alternative ricostruzioni proposte.
7.2. È manifestamente infondato il settimo motivo di ricorso che contesta il
movente economico del reato, criticando l’attendibilità di Mascheretti e Masin,
sviluppando argomentazioni in fatto, a contenuto meramente confutativo,
caratterizzate dalla parcellizzazione dei numerosi elementi di prova raccolti e
unitariamente considerati dai giudici di merito.
7.2.1.

Risultano,

in

proposito,

intrinsecamente

contraddittorie

le

argomentazioni relative all’assenza dello stato di difficoltà economica di Puppo,
poiché esso risulta pacificamente anche sulla base delle dichiarazioni
dell’imputato.

18

alcun modo argomentata né risulta specificamente prospettata.

7.2.2. Sono, d’altra parte, puramente assertive le considerazioni svolte in
merito:
– alle condizioni economiche dell’imputato, risultando il medesimo creditore
della vittima oltre che di altri soggetti i quali, peraltro, più che plausibilmente
sono stati ritenuti dai giudici di merito dal medesimo soggiogati proprio per tale

– alla credibilità dei dichiaranti Mascheretti e Masin, in ragione di un ipotetico
bisogno di accusare Bertola così da allontanare da sé i sospetti per la
stipulazione delle polizze da parte di Puppo di cui essi erano i beneficiari, poiché
del tutto assertive.
7.2.3. Sono, inoltre, manifestamente infondate le censure mosse con
riguardo alla verifica di attendibilità delle dichiarazioni di Mascheretti e Masin e
all’assenza di riscontri alle medesime, poiché caratterizzate da una lettura
parcellizzata del compendio probatorio incentrato non solo sulle dichiarazioni dei
suddetti, ma anche su quelle rese da numerosi altri testimoni e dei riscontri
bancari, documentali e da quelli provenienti dalle intercettazioni telefoniche e
ambientali.
Il ricorso critica l’interpretazione delle intercettazioni ovvero fornisce di esse
una diversa lettura, del tutto scollegata rispetto al contesto di riferimento, sicché
risulta inammissibile.
7.2.4. D’altra parte, sono state correttamente ritenute illogiche le
argomentazioni difensive volte a giustificare il rilascio delle polizze a garanzia di
un contratto preliminare, tenuto conto della natura propria di tale atto che, non
avendo trasferito la proprietà del bar, non può costituire causa idonea al rilascio
delle ridette garanzie.
Inoltre, la sentenza valorizza, sia quale riscontro alle dichiarazioni di
Mascheretti e Masin, sia della diretta gestione da parte dell’imputato dell’intero
progetto relativo alle polizze, la circostanza che le attività finalizzate al rilascio
delle garanzie erano state poste in essere dall’ufficio dell’imputato, non solo per
quanto riguarda la polizza rilasciata in favore del coniuge, ma anche per le
polizze di riferibili a Mascheretti e Masin.
7.2.5. Per altro verso, sono state correttamente ritenute contrastate dai dati
di fatto le argomentazioni concernenti l’assenza di interesse dell’imputato
19

ragione;

all’incasso delle polizze, avendo il medesimo sollecitato i dichiaranti Mascheretti
e Masin in varie occasioni ad attivarsi per ottenerne il pagamento.
7.2.6. È, per parte sua, inammissibile la critica all’interpretazione delle
intercettazioni, da cui i giudici di merito hanno logicamente tratto la prova del
collegamento tra l’imputato e le polizze, poiché sottopone alla Corte di legittimità

7.3. È manifestamente infondato l’ottavo motivo di ricorso che denuncia il
vizio della motivazione con riguardo all’organizzazione del viaggio di Puppo in
Brasile.
7.3.1.

Risultano

intrinsecamente

contraddittorie

le argomentazioni

concernenti l’assenza dello stato di difficoltà economica di Puppo (vedi paragrafo
n. 7.2.1.) e puramente assertive le considerazioni circa l’inattendibilità delle
dichiarazioni rese dai genitori della vittima e da Masin in merito allo scopo del
viaggio e al ruolo dell’imputato.
7.3.2. È, d’altra parte, logica e coerente la deduzione compiuta dai giudici di
merito in ordine alla mail inviata dalla vittima a BERTOLA qualche giorno prima
della partenza da cui è stato correttamente dedotto che è stato quest’ultimo a
prospettare l’opportunità lavorativa che ha spinto Puppo a recarsi in Brasile.
7.3.3. È, infine, meramente asserito il travisamento delle dichiarazioni di
Vanubia (per come riferite dall’imputato nella denuncia per calunnia), che ha
attribuito a BERTOLA la responsabilità della determinazione omicida, soprattutto
se poste in relazione alla precedente visita dell’imputato in Brasile nel corso della
quale sono stati verosimilmente definiti i dettagli dell’azione, essendo risultata
smentita l’asserzione dell’imputato in ordine alla diversa causale del viaggio di
Puppo (si veda il paragrafo n. 7.4.1.).
7.4. E manifestamente infondato l’ottavo motivo di ricorso che riguarda la
ritenuta falsità di alcune dichiarazioni rese dall’imputato BERTOLA da cui la Corte
ha tratto elementi a sostegno dell’accusa.
7.4.1. Alla stregua di quanto si è detto al paragrafo n. 7.3., in merito
all’organizzazione del viaggio in Brasile, risulta affermata in modo logico e
coerente la falsità e maliziosa preordinazione del racconto del ricorrente in
merito alla causale del viaggio di Puppo, senza che sul punto il ricorso muova
argomentazioni decisive perché incentrate sulla ripetuta contestazione delle
risultanze probatorie.
20

una diversa lettura del compendio probatorio.

7.4.2. È corretto, inoltre, il percorso logico seguito dai giudici di merito con
riguardo alle maliziose omissioni contenute nella denuncia per calunnia
presentata da BERTOLA ai danni di Vanubia, poiché il tacere dell’ingente diritto di
credito vantato nei confronti della vittima e della titolarità, anche se per
interposta persona, delle cinque polizze stipulate da Puppo prima di partire, è

movente del delitto e, per altro verso, della complessiva inaffidabilità del
ricorrente.
7.4.3. Sono, infine, stati logicamente valorizzati, quali gravissimi elementi
d’accusa, i numerosi e reiterati contatti, anche intimi, intercorsi tra BERTOLA e
Vanubia, essendosi logicamente escluso che il messaggio d’amore sia stato
inviato per errore, anche alla luce dei rapporti esistenti tra i protagonisti e in
considerazione della dazione di ingenti somme di denaro che non hanno trovato
giustificazione nella causale asserita dal ricorrente, dovendo tale dazione essere
ascritta con forte verosimiglianza all’azione illecita.
7.5. Sono manifestamente infondati il quinto e il decimo motivo di ricorso,
nonché il secondo motivo nuovo, che riguardano l’attendibilità e la credibilità di
Vanubia e i riscontri a detta dichiarazione che sono stati tratti, in particolare, dai
contatti intercorsi con il ricorrente.
Impregiudicato l’esame del terzo motivo di ricorso concernente
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Vanubia (che condurrà il Collegio a
espungere quanto verbalizzato nel corso dell’esame), in questo paragrafo
saranno esaminate innanzitutto le questioni relative ai criteri di valutazione delle
dichiarazioni ex art. 210 cod. proc. pen., per poi affrontare le specifiche
argomentazioni sviluppate.
7.5.1. Ai fini della corretta valutazione della chiamata in reità o in correità, la
metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere
quella indicata da Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992 dep. 1993, Marino, Rv.
192465, come precisata, con specifico riferimento alla dichiarazione de relato, da
Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145.
Tenuto conto della natura della dichiarazione, resa per conoscenza diretta da
parte del dichiarante, possono essere accantonate le questioni che riguardano la
chiamata de relato.
21

stato correttamente valorizzato come elemento indicativo, per un verso, del

Quanto alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, la genericità dell’espressione
«altri elementi di prova» utilizzata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.,
legittima l’interpretazione secondo cui vige il principio della «libertà dei
riscontri», nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella
qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura e ricomprendere non soltanto le

legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera
consequenzialità logica, a corroborare nell’ambito di una valutazione probatoria
unitaria il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma. È, poi, fin
troppo ovvio precisare che non si richiede che il riscontro integri la prova del
fatto, giacché, se così fosse, perderebbe la sua funzione «gregaria» e sarebbe da
solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice, sicché verrebbe meno la
necessità di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non
sufficiente.
Poiché non può escludersi che la tecnica della mutual corroboration possa
consentire l’ingresso nel processo del mendacio concordato e finalizzato a
incolpare una persona estranea ai fatti, al giudice di merito è affidato il compito
di verificare l’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e, quindi,
l’attitudine di una o più di esse a fungere da riscontro estrinseco di quella o di
quelle che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria
o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione.
7.5.2. È inammissibile, poiché de-assiale rispetto alla motivazione della
sentenza impugnata, la denuncia secondo la quale la Corte di merito avrebbe
individuato un elemento indiziario di riscontro nella telefonata tra Vanubia e
BERTOLA, in realtà mai effettuata, nel corso della quale la prima, come riferito
dal minore, avrebbe dichiarato «capo è fatta» immediatamente dopo l’omicidio.
Si tratta, infatti, di una suggestiva prospettazione difensiva che, però, non
trova alcun riscontro nella decisione impugnata che mai ha asserito che il
colloquio telefonico riferito dal minore fosse intercorso tra Vanubia e BERTOLA,
avendo, invece, i giudici di merito valorizzato i costanti e frenetici contatti
intercorsi tra i due prima, durante (ad eccezione proprio degli istanti in cui Puppo
veniva ucciso) e dopo l’omicidio.
Come si è già chiarito (paragrafo n. 7.4.3.), particolare rilevanza assume,
anche in considerazione delle incredibili giustificazioni offerte dall’imputato, il
22

prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio anche indiretto

messaggio «ti amo» inviato dal cellulare di BERTOLA a quello di Vanubia proprio
a seguito dell’omicidio.
7.6. È manifestamente infondato l’undicesimo motivo di ricorso che riguarda
l’attendibilità di Puppo Antonio, padre della vittima, che ha riferito del colloquio
avuto con il ricorrente immediatamente dopo avere appreso della morte del figlio

con la lettera «S» (Soares Vanubia).
Le critiche mosse hanno carattere meramente assertivo e non si confrontano
con la motivazione del provvedimento impugnato che, a fronte della generica
contestazione d’inattendibilità del narrato del teste, valorizza la drammaticità del
momento che giustifica l’affidabilità del ricordo.
7.7. È inammissibile il dodicesimo motivo di ricorso che denuncia
l’apoditticità di talune affermazioni, l’equivocità degli indizi e l’erroneità del
percorso argomentativo.
Va precisato, innanzitutto, che a tale motivo di ricorso non si collega il
secondo motivo nuovo che, difatti, è stato trattato insieme al sesto motivo,
poiché anch’esso relativo alla prospettazione di una diversa ricostruzione dei
fatti.
Tornando al dodicesimo motivo, deve essere evidenziato che le critiche non
sono singolarmente analizzabili perché affastellate, generiche e topologicamente
sparse e perciò inammissibili.
In ragione della natura indiziaria del processo, l’articolazione del motivo di
ricorso si scontra, per la sua frammentarietà, con la complessiva ricostruzione
indiziaria logicamente svolta dai giudici di merito.
L’argomentazione difensiva, se da un lato rappresenta la condivisibile
proiezione del controllo sulle singole attribuzioni di significato probatorio ai dati
indizianti, dall’altro lato tende a frammentare la critica senza tener conto della
necessaria valutazione globale e unitaria dei dati indizianti e della ridotta
incidenza che l’eventuale «caduta» di un singolo indizio sulla complessiva tenuta
del giudizio di attribuibilità del fatto all’imputato (si veda il paragrafo n. 5.1.).
In ogni caso, saranno di seguito analizzate le principali argomentazioni
sviluppate.
7.7.1. Sono inconferenti, assertive e prive di aderenza alla motivazione del
provvedimento impugnato, e perciò inammissibili, le argomentazioni relative a:
23

nel corso del quale BERTOLA avrebbe riferito di una donna il cui nome iniziava

- i trasferimenti di denaro a favore di Vanubia, che sarebbero giustificati dalla
pregressa relazione da cui nacque un figlio, poi deceduto, e dalla volontà di
BERTOLA di occuparsi della sepoltura di questi, risultando del tutto smentito
l’incontro con i responsabili del cimitero, ragione fondamentale del viaggio,
secondo il ricorrente;

nella definitiva chiusura dei rapporti con Vanubia per la vicenda del figlio,
risultando invece logicamente spiegata in forza dell’avvenuto pagamento del
prezzo del delitto e per il comportamento di Vanubia che, arrestata per
l’omicidio, ha chiamato in causa BERTOLA;
– le dichiarazioni di Vanubia, che sarebbero calunniose proprio perché dettate dal
rifiuto di BERTOLA di proseguire nelle elargizioni, risultando logicamente spiegate
dall’avvenuto arresto e dalla necessità di riferire la verità con riguardo a tutti i
soggetti coinvolti allo scopo di ottenere un trattamento sanzionatorio più mite,
comportamento, infatti, reiterato in occasione dell’esame dibattimentale;
– il viaggio in Brasile di BERTOLA che, essendo stato organizzato in modo palese,
sarebbe incompatibile con qualsiasi intento illecito, risultando irrilevante la
circostanza in ragione dei noti e palesi rapporti esistenti con Vanubia (i due
hanno occupato la stessa stanza di albergo);
– le rimesse in denaro effettuate dopo l’omicidio, che non sarebbero ad esso
collegate, risultando inesistente la diversa dedotta causale.

8. È inammissibile il primo motivo nuovo, che denuncia l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese da Jonatha Mizael per essersi il medesimo sottratto all’esame
dibattimentale, poiché estraneo al perimetro originario dei motivi di ricorso.
Si tratta, infatti, di una denuncia totalmente nuova che però viene
suggestivamente prospettata come connessa a quella formulata al secondo
motivo di ricorso che riguarda, invece, l’utilizzabilità degli atti di indagine svolti
dalla Polizia brasiliana e acquisti con il consenso dell’imputato.
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, «i
motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a
pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata investiti
dall’atto di impugnazione originario» (Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic,
Rv. 268980), ne consegue che costituisce motivo nuovo non ammissibile la
24

– la cessazione dei versamenti di denaro, che troverebbe giustificazione proprio

deduzione dell’inutilizzabilità della dichiarazione dibattimentale resa da un
indagato in procedimento connesso che si sia avvalso della facoltà di non
rispondere, ove con il ricorso principale sono state formulate doglianze relative
all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal medesimo nella fase delle indagini
preliminari e acquisite con il consenso dell’imputato nel corso del dibattimento.

essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti
dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di
una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari» (Sez. 6, n. 6075
del 13/01/2015, Comitini, Rv. 262343).
Non sussistendo, all’evidenza, alcuna connessione funzionale tra il secondo
motivo di ricorso e il terzo motivo nuovo, deve dichiararsi l’inammissibilità di
esso perché tardivamente proposto.
8.1. In ultima analisi il motivo di ricorso è inammissibile poiché la sanzione
d’inutilizzabilità non colpisce le dichiarazioni rese da Jonatha nel corso delle
indagini preliminari, acquisite con il consenso della difesa, ma quelle rese nel
corso dell’esame dibattimentale che, tuttavia, sono inesistenti perché il
dichiarante si è avvalso della facoltà di non rispondere.

9. È fondato il terzo motivo di ricorso che denuncia l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni dibattimentali rese dall’indagata in procedimento connesso Soares
Vanubia, senza che, tuttavia, tale vizio travolga il giudizio di responsabilità a
carico di Fabio BERTOLA perché fondato su un diverso compendio accusatorio
che si palesa auto-consistente.
9.1. Come risulta incontroverso, l’indagata in procedimento connesso
Vanubia si è sottoposta all’esame dibattimentale condotto dal Pubblico ministero
ed ha ricostruito i fatti concernenti l’omicidio di Puppo, giungendo ad avvalersi
della facoltà di non rispondere allorquando la pubblica accusa, per contestare le
risposte ritenute evasive in merito allo scopo dell’azione, ha utilizzato le
precedenti dichiarazioni rese dall’interrogata.
Tale fermo rifiuto di rispondere è stato reiterato anche nei confronti della
difesa dell’imputato che non ha, quindi, potuto procedere al controesame della
dichiarante Vanubia.
25

Si è, d’altra parte, precisato che «i motivi nuovi di impugnazione devono

La difesa dell’imputato ha, quindi, formalmente dichiarato di opporsi, ai sensi
dell’articolo 500, comma 3, cod. proc. pen., alla utilizzazione delle dichiarazioni
rese da Vanubia nel corso dell’esame condotto dal Pubblico ministero.
Nella motivazione della sentenza il giudice di secondo grado ha escluso che
l’articolo 500, comma 3, cod. proc. pen., possa trovare applicazione alle

proc. pen.
9.2. Prima di esaminare la fondatezza della denuncia, incentrata sulla
violazione degli articoli 500, comma 3, e 526, comma 1-bis, cod. proc. pen., è
opportuno evidenziare che la Corte di secondo grado, all’esito della rinnovazione
dell’istruttoria in grado di appello mediante l’esame dell’indagata in
procedimento connesso Soares Vanubia, ha espressamente affermato che
«l’attribuzione della responsabilità dell’omicidio alla condotta concorsuale
dell’imputato, laddove venga da questa Corte confermata, non potrà basarsi in
modo esclusivo o in misura determinante su dette dichiarazioni» (p. 57).
9.3. Ad avviso del Collegio, la Corte di secondo grado ha errato
nell’applicazione della legge processuale laddove ha escluso che all’indagato in
procedimento connesso ex articolo 210 cod. proc. pen. si applichi il meccanismo
processuale di cui all’articolo 500, comma 3, cod. proc. pen., il quale stabilisce
che «se il teste rifiuta di sottoporsi all’esame al controesame di una delle parti,
nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le
dichiarazioni rese a d’altra parte».
Diversamente da quanto affermato dalla Corte di assise di appello,
l’applicazione dell’articolo 500 cod. proc. pen. alle dichiarazioni rese dall’indagato
in procedimento connesso è espressamente prevista dall’articolo 210, comma 5,
cod. proc. pen.
Ciò nondimeno, tale errore nell’applicazione della legge processuale è da
ritenere privo di conseguenze, come si vedrà al paragrafo seguente.
9.4. Come si è visto al paragrafo n. 5., la Corte di secondo grado ha
espressamente affermato che la responsabilità dell’imputato BERTOLA non si
fonda in modo esclusivo o determinante sulle dichiarazioni dell’indagata in
procedimento connesso Vanubia: l’affermazione della responsabilità dell’imputato
deve essere, quindi, sottoposta alla prova di resistenza mediante sottrazione del
contenuto conoscitivo offerto dalle dichiarazioni di Vanubia.
26

dichiarazioni rese dall’indagato in procedimento connesso ex articolo 210 cod.

9.4.1. In un caso analogo si è, infatti, affermato che «l’utilizzazione in
malam partem

di dichiarazioni predibattimentali rese da imputati di reati

connessi, non confermate in dibattimento e non recuperate al contraddittorio con
il meccanismo previsto dal nuovo testo dell’art. 513 cod. proc. pen. e dalla
norma transitoria di cui all’art. 6 della Legge 267/1997, non comporta,

della sentenza impugnata. Siffatta statuizione è atto dovuto se la sentenza
dipenda, esclusivamente o prevalentemente, dalle decisive dichiarazioni non
utilizzabili, e non anche quando la prova sia raggiunta, comunque,

aliunde,

attraverso altri elementi, dotati di rilevanza propria. In tale ipotesi, i vizi
denunziabili in cassazione riguardano la violazione, non solo e non tanto delle
predette norme, ma dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. sotto il profilo della
mancanza o illogicità della motivazione in ordine alla prova del reato e della
colpevolezza. Il giudice di legittimità, quindi, non solo deve accertare la decisiva
rilevanza delle dichiarazioni inutilizzabili sul dictum della sentenza impugnata,
ma deve anche verificare se, attraverso il testo delle concordanti sentenze di
primo e secondo grado, che si integrano vicendevolmente, siano ricavabili
ulteriori elementi che possano avere avuto rilevanza decisiva sul convincimento
del giudice» (Sez. 5, n. 3284 del 15/12/1999 dep. 2000, Patrucco, Rv. 215590).
9.4.2. La Corte di secondo grado, dopo avere sottoposto a critica, in ragione
delle argomentazioni sviluppate dalla difesa nell’atto di appello, il panorama
probatorio raccolto in prima istanza è giunta a confermare l’intrinseca
autosufficienza delle prove raccolte in prospettiva di accertamento della
responsabilità di BERTOLA (pag. 86 e segg.).
Secondo i giudici di appello, la riconosciuta idoneità e autosufficienza degli
elementi probatori e indiziari raccolti nel corso del primo grado di giudizio,
ulteriormente implementati con quelli acquisiti in appello (al netto delle
dichiarazioni di Vanubia), ha ulteriormente confortato le conclusioni sopra
richiamate alla luce degli specifici e concordanti elementi forniti dalla deposizione
del Commissario della Polizia brasiliana.
Il giudizio d’idoneità, a giudizio del Collegio, risulta logicamente a
coerentemente motivato anche sottraendo il portato derivante dalle dichiarazioni
di Vanubia.
27

automaticamente, ad opera del giudice di legittimità, l’annullamento con rinvio

In effetti, sul punto dell’idoneità e autosufficienza degli elementi probatori e
indiziari raccolti nel corso del primo grado di giudizio, ulteriormente implementati
con quelli acquisiti in appello (al netto delle dichiarazioni di Vanubia), il ricorso si
palesa, come si è visto al paragrafo n. 6., meramente reiterativo delle censure
sviluppate in detto grado di giudizio, ampiamente confutate dai giudici di merito,

d’accusa raccolti.
Sotto tale profilo, dunque, la prova di resistenza ha esito positivo, nel senso
che, sottraendo dal panorama probatorio il portato delle dichiarazioni di Vanubia,
risulta adeguatamente e congruamente motivata la responsabilità dell’imputato
in relazione all’omicidio di Puppo.
Deve, in merito, farsi richiamo alla conclusiva conducenza degli elementi
indiziari esposti al paragrafo n. 5 (ad esclusione di quanto esposto al paragrafo
n. 5.2.).
9.5. D’altra parte, il contenuto delle dichiarazioni di Vanubia, per come
riportate nella denuncia per calunnia sporta da BERTOLA, costituisce un ulteriore
elemento indiziario che afferisce allo specifico ruolo di mandante e organizzatore
svolto da BERTOLA, sicché «il fatto storico» della esistenza di tali accuse a carico
del ricorrente non può non essere considerato quale ulteriore elemento a suo
carico.
9.6. Proseguendo nell’approccio critico al contenuto della sentenza
impugnata, è opportuno evidenziare che, trattandosi di processo essenzialmente
indiziario, deve procedersi secondo il metodo indicato dalla giurisprudenza di
legittimità.
9.6.1. In particolare, muovendo dal ricorso, è opportuno ricordare che «il
difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere
ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa. La
sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente e organico, onde, ai fini del
controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa
non può essere preso a sé, ma va posto in relazione agli altri. Pertanto la ragione
di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai
quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito» (Sez. 5, n. 8411 del
21/05/1992, Chirico, Rv 191487).
28

e comunque inidoneo a sminuire il significato e il valore probatorio degli elementi

In conclusione, soltanto l’emersione di una precisa disarticolazione di un
punto effettivamente qualificante del ragionamento decisorio può portare
all’annullamento della decisione, mentre eventuali opinabilità nella attribuzione
dell’effettivo peso dimostrativo a un dato, salvo che non si traducano in illogicità
manifesta, possono al più portare a una parziale rettificazione della motivazione
(ex multiis, Sez. 1, n.

9707 del 10/08/1995, Caprioli, Rv. 202302). Tale rimedio è apprestato quando il
ragionamento giustificativo è nel suo complesso adeguato, dovendosi riconoscere
che, nell’ambito di decisioni complesse, l’emersione di una criticità su una delle
molteplici valutazioni concorrenti può non comportare l’annullamento della
decisione per vizio di motivazione se le restanti valutazioni offrono ampia e
rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 6922 del
11/05/1992, Cannarozzo, Rv. 190572; Sez. 4, n. 10116 del 28/09/1993, Dossi,
Rv. 195709; Sez. 1, n. 1495 del 2/12/1998, Archinà, Rv. 212274).
Oggetto di verifica in sede di legittimità non è l’esito ricostruttivo compiuto
nel giudizio, quanto il metodo con cui il giudice di merito perviene al risultato
valutativo, esplicitato attraverso la motivazione della sentenza, secondo il
modello legale disegnato dall’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
Il giudizio di legittimità, pertanto, non si costruisce sull’esame delle
possibilità rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma sulla opzione del
fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta
applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano all’attribuzione del fatto
all’imputato passa attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione
impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile
compiere in sede di legittimità nuove attribuzioni di significato o realizzare una
diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi, e ciò anche nei casi in cui si
ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (ex multiis, Sez.
6, n. 11194 del 80/3/2012, Lupo, Rv 252178).
9.6.2. Le operazioni di verifica da compiersi in sede di legittimità in rapporto
ai motivi di ricorso (e alla tipologia di atti istruttori oggetto di valutazione), al
fine di riconoscere o meno il vizio argomentativo del provvedimento impugnato,
possono essere così riassunte:
– verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede
di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del
29

espressa, ai sensi dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen.

materiale indiziario raccolto (ex multiis, Sez. 2, n. 9269 del 5/12/2012, Della
Costa, Rv. 254871), né omettere la valutazione di elementi obiettivamente
incidenti nella economia del giudizio (Sez. 4, n. 14732 del 1/03/2011, Molinario,
Rv. 250133, nonché Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167);
– verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della

in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la
formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e
non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in
Sez. 6, n. 6582 del 13/11/2012, Cerrito, Rv. 254572, nonché in Sez. 2, n. 44048
del 13/10/2009, Cassarino, Rv. 245627);
– verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi
momenti di articolazione del giudizio (cd. contraddittorietà interna);

verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli

elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito e circa l’assenza di
incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati e
allegati in sede di ricorso (travisamento della prova), laddove tali atti siano
dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare
l’intero ragionamento svolto dal giudicante (ex multils, Sez. 1, n. 41738 del
19/10/2011, Rv. 251516).
Il giudice di legittimità è, quindi, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti
specifici atti del processo.
Tale controllo è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale esistenza della motivazione, sul
correlato rispetto delle regole normative di giudizio e sulla permanenza – a
fronte delle specifiche deduzioni – della resistenza logica del ragionamento del
giudice.
9.6.3. Il rispetto del canone decisorio secondo cui la colpevolezza
dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod.
proc. pen. come novellato dalla L. n. 46 del 2006) non introduce un’ulteriore
tipologia di vizio, tale da consentire l’esame del merito, ma si pone come criterio
generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta
30

logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda

dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata
(sicché il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di
apparenza di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. 6, n. 8705 del
24/01/2013, Farre, Rv. 254113).
Il dubbio, idoneo a determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di

dimostrativa della decisione, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova
conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di
escludere o di superare.
D’altra parte la riconoscibilità dell’errore logico – dunque la presa d’atto
dell’esistenza del limite all’affermazione di responsabilità dell’imputato – impone
un confronto con le emergenze processuali, nel senso che per convalidare sul
piano logico l’affermazione di responsabilità è necessario che il dato probatorio
acquisito sia tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente
formulabili come possibili, ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie
concreta risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali,
ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità
umana (Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, Rv. 240763; recentemente
Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204 che ha escluso che
possa aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di condanna, una
ipotesi alternativa del tutto congetturale, pur se in astratto plausibile).
È necessario, perciò, procedere alla verifica, in rapporto al contenuto dei
motivi di ricorso, del corretto utilizzo delle massime logiche e di esperienza
indicate come tali dal giudice di merito per attribuire o negare valenza ai singoli
dati indizianti (Sez. 6, n. 31706 del 7/03/2003, P.G. in proc. Abbate, Rv.
228401), o una pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque e
pur minima plausibilità.
9.6.4. Quando le valutazioni compiute in sede di merito trovano fondamento
in elementi probatori di natura indiziaria, la cui effettiva sussistenza e/o valenza
viene contestata nei singoli motivi di ricorso, è necessario approfondire
innanzitutto la natura e la valenza dell’indizio.
Va, in proposito, ricordato che la prova del fatto è sempre fondata su un
giudizio di correlazione tra un fatto principale (la proposizione fattuale contenuta
nella ipotesi di accusa) e fatti secondari, capaci, in rapporto al loro contenuto
31

ricostruzione dei fatti tale da determinare una valutazione di inconsistenza

informativo, di evidenziare un significato di corrispondenza al vero dell’enunciato
introdotto nell’atto di accusa.
La classificazione logica e giuridica degli elementi probatori tra prova storica
(o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove esclusivamente sul piano della
loro idoneità rappresentativa (dello specifico contenuto informativo) rispetto al

Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone
può essere portatore quanto dell’una che dell’altra classe di elementi), bensì il
rapporto esistente tra la capacità dimostrativa del singolo elemento considerato
e il fatto da provare nella sua oggettiva materialità, così come descritto nella
imputazione.
È definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo che, pur
non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta – sulla base di
una operazione di raccordo logico tra più circostanze – di contribuire al suo
disvelamento (dal fatto noto – l’indizio – si perviene alla conoscenza di quello
ignoto).
L’indizio, pertanto, ha una sua propria autonoma capacità rappresentativa
che, tuttavia, per la sua parzialità – e per il rappresentare una circostanza
diversa (pur se logicamente collegata) rispetto al fatto da provare – , consente
esclusivamente di attivare, nella mente del soggetto chiamato a operare la
ricostruzione, un meccanismo di inferenza logica capace di condurre a un
accettabile risultato di conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio.
È proprio in ragione di tale differenza di capacità dimostrativa, che la prova
indiziaria è oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del legislatore
che richiede particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta
inferenza (gravità, precisione, concordanza; art. 192, comma 2, cod. proc. pen.),
il tutto nell’ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti
(Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678: «poiché l’indizio è
significativo di una pluralità, maggiore o minore di fatti non noti – tra cui quello
da provare -, nella valutazione di una molteplicità di indizi è necessaria una
preventiva valutazione di indicatività di ciascuno di essi – sia pure di portata
possibilistica e non univoca – sulla base di regole collaudate di esperienza e di
criteri logici e scientifici, e successivamente ne è doveroso e logicamente
imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la relativa
32

fatto da provare.

ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi, perché nella
valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, sì che
il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria
viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al complesso
indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può

Il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da
concorrere all’accrescimento della verità contenuta nell’ipotesi di partenza, va
pertanto sottoposto a verifica al fine di individuarne il grado di persuasività (Sez.
1, n. 42750 del 9/11/2011, Livadia, Rv. 251502) fermo restando che non può
pretendersi che il giudizio di gravità (ossia il peso dimostrativo in rapporto al
fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo del tutto
logica la concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravità, ferma
restando la necessaria precisione (intesa come direzione tendenzialmente
univoca del contenuto informativo) e concordanza (il che implica, almeno
tendenzialmente, la pluralità dei dati sottoposti a valutazione, la convergenza
dimostrativa e l’assenza di dati antagonisti).
Il diverso «grado» di gravità del singolo indizio influisce sulla valutazione
complessiva, nel senso che «in tema di prova indiziaria, il requisito della
molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità
sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di
indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi,
quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza
di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per
il raggiungimento della prova del fatto» (Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, P.G.
in proc. Maggi, Rv. 259552).
La prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche,
non può offrire una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una
prova diretta, poiché la dimostrazione è figlia di un raccordo logico tra il fatto
secondario e il fatto da provare.
La prova logica non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla
prova diretta (o storica) posto che, tra l’altro, la stessa prova storica, se da un
lato ha il pregio di rappresentare il fatto in via diretta (si pensi alla narrazione del
teste che abbia assistito all’azione delittuosa o una videoripresa del delitto),
33

affermarsi conseguita la prova logica del fatto).


dall’altro annida in sé rischi di errore (falsità della deposizione, errore percettivo
del teste, alterazione del dato tecnologico, ecc.) tali da determinare la necessità
di un approccio critico.
9.7. Alla luce dei criteri logico-probatori sopra ricordati, il materiale
probatorio e indiziario esposto al paragrafo n. 5., depurato dalle dichiarazioni

resoconto delle sue accuse, introdotte nel processo dalla denuncia per calunnia
presentata da BERTOLA, e dalla valutazione circa la falsità e\o inattendibilità di
quanto esposto a sua «difesa» da BERTOLA in opposizione alle accuse della
donna, è certamente idoneo a fondare, in una lettura unitaria e coordinata dei
vari elementi indiziari, la responsabilità di BERTOLA per l’omicidio di Puppo,
sicché può dirsi superata la prova di resistenza cui è stata sottoposta la sentenza
impugnata.
In effetti, i giudici di merito hanno correttamente valorizzato un complesso
di elementi indiziari reciprocamente convergenti e concordanti,
indipendentemente dalle dichiarazioni rese da Vanubia al dibattimento, che
conducono ad attribuire a BERTOLA la responsabilità per l’omicidio di Puppo; tra
questi spiccano:
– l’organizzazione e lo sviluppo del fatto omicida che ha visto il concorso di
vari soggetti reperiti e reclutati da Vanubia (dichiarazioni del minore Jonatha e
del Commissario di Polizia; video riprese; tabulati; sequestri);
– i contatti tra BERTOLA e Vanubia in coincidenza dell’omicidio di Puppo e i
tentativi di contatto tra BERTOLA e Puppo immediatamente dopo l’omicidio per
ottenere la verifica del decesso (tabulati; dichiarazioni di BERTOLA), dimostrativi
del ruolo del ricorrente;
– i plurimi elementi univocamente deponenti per l’accordo tra Vanubia e
BERTOLA, quale ispiratore, organizzatore e finanziatore, anch’essi dimostrativi
del ruolo del ricorrente (tabulati e intercettazioni; dichiarazioni di BERTOLA;
dichiarazioni dei genitori della vittima; denuncia di BERTOLA in ordine alle accuse
di Vanubia; trasferimenti di denaro; viaggio di BERTOLA in Brasile);

l’interesse economico di BERTOLA nei confronti della vittima e la

determinazione di Puppo a compiere il viaggio in Brasile – per una insussistente
ragione personale – finanziato da BERTOLA, altresì dimostrativi del ruolo del
ricorrente (documenti relativi al credito di BERTOLA nei confronti di Puppo;
34

dibattimentali rese da Vanubia (paragrafo n. 5.2.), ma comunque arricchito del

polizze vita; dichiarazioni di Mascheretti e Masin; riscontri documentali;
intercettazioni; dichiarazioni dei genitori della vittima);
– i numerosi, reiterati e financo affannosi contatti telefonici intercorsi, anche
a cavallo dell’omicidio, tra BERTOLA e Vanubia;
– gli ingenti trasferimenti di denaro da BERTOLA a Vanubia;
le dichiarazioni rese dai co-imputati (per favoreggiamento reale)

Mascheretti e Masin che hanno chiarito lo scopo e la finalità delle polizze
assicurative per il rischio morte stipulate, poco prima della partenza per il
Brasile, da Puppo per volere di Bertola che ne era l’effettivo beneficiario, anche
per il tramite del coniuge;
– le numerose e reiterate menzogne, con particolare riferimento al viaggio in
Brasile in occasione del quale BERTOLA si è intrattenuto con Vanubia, essendo
risultate false le giustificazioni fornite dall’imputato;
– le falsità e dolose omissioni contenute nella denuncia sporta da BERTOLA
nei confronti di Vanubia circa le elargizioni di somme di denaro finalizzate a
supportare una causale (seppellimento del figlio) risultata inesistente, nonché in
merito alla reale ed effettiva natura dei rapporti intercorsi con la donna e alla
persistenza di contatti con la stessa caratterizzati da una fortissima comunanza,
elementi che rendono incredibile l’accusa di calunnia mossa dall’imputato;
– le false accuse formulate da BERTOLA nei confronti di Vanubia, Mascheretti
e Masin, tutti accusati dall’imputato di dire il falso, che svelano l’impossibilità di
offrire della vicenda e del coinvolgimento in essa del ricorrente una qualsivoglia
spiegazione alternativa dotata di un minimo di credibilità razionale.

10. È inammissibile il motivo di ricorso attinente alla mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche in quanto generico e aspecifico, nonché
caratterizzato da censure di merito improponibili in questa sede.
La censura è, in effetti, generica e in fatto e non si confronta con il
complesso della motivazione dalla quale, in ogni caso, emergono motivate
valutazioni negative in ordine alla personalità dell’imputato e alla estrema gravità
dei fatti.

11. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
35

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 20 marzo 2018.

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