Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17179 del 26/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17179 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BIANCHI MICHELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VALENTINO COSIMO DAMIANO nato il 28/01/1966 a MARGHERITA DI SAVOIA

avverso la sentenza del 06/02/2017 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MICHELE BIANCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MASSIMO GALLI
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 26/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata in data 6.2.2017 la Corte di appello di Bari ha
confermato la sentenza pronunciata in data 11.11.2014 dal Tribunale di Foggia
che aveva ritenuto Valentino Cosimo Damiano colpevole del reato di cui all’art. 9,
comma 2, I. n. 1423/1956, commesso sino al 10.5.2010, e lo aveva condannato
alla pena di anni uno di reclusione.
L’imputazione ascritta concerne la violazione della prescrizione di non

quattro episodi, verificatisi tra 1’1.6.2009 e il 10.5.2010, in occasione dei quali
l’imputato sarebbe stato visto in compagnia di persone pregiudicate.

1.1. Il Tribunale ha fondato il giudizio di colpevolezza sulle testimonianze di
operatori di polizia giudiziaria, che avevano notato, in diverse occasioni,
l’imputato mentre si intratteneva, in luogo pubblico, con persone pregiudicate;
tali circostanze erano confermate anche dai verbali di contestazione della
violazione della misura di prevenzione effettuati nelle singole occasioni – ritenuti
utilizzabili in quanto atti irripetibili -, ed anche dallo stesso imputato e dalle
persone con cui il medesimo si era incontrato.
Il primo giudice ha ritenuto che la ripetizione degli incontri con diversi
pregiudicati integri l’elemento oggettivo della “frequentazione”, necessario per la
sussistenza della fattispecie ascritta.

1.2. La Corte di appello ha confermato il primo giudizio, osservando che:
– gli atti di polizia giudiziaria acquisiti erano utilizzabili in quanto inseriti nel
fascicolo del dibattimento senza tempestiva opposizione da parte della difesa
dell’imputato;
– non era necessaria la rinnovazione dell’istruttoria chiesta dalla difesa, in
quanto le testimonianze indicate avrebbero riguardato i singoli episodi, in ordine
ai quali l’istruttoria era stata completa e non abbisognava di integrazioni;
– l’istruttoria testimoniale e documentale aveva provato gli incontri di cui
alla imputazione, circostanze che evidenziavano, per il numero degli incontri e il
limitato arco temporale nel quale erano avvenuti, la frequentazione dell’imputato
con pregiudicati, pur escludendo che il Valentino si fosse incontrato, il 10.5.2010,
con Amoroso Michele, semplicemente presente all’uscita di una pizzeria
contestualmente all’imputato;

era integrato anche l’elemento soggettivo del reato, consistente

unicamente nella consapevolezza delle qualifiche soggettive delle persone
incontrate;

2

associarsi a persone condannate o sottoposte a misure di prevenzione e riguarda

- doveva essere confermata l’applicazione della recidiva reiterata e il giudizio
di equivalenza con le attenuanti generiche, risultando anche precluso, ai sensi
dell’art. 69, comma 4, cod. pen. il giudizio di prevalenza delle attenuanti.

2. Contro tale provvedimento, il difensore dell’imputato ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp.
att. cod. proc. pen. :

per aver ritenuto utilizzabili gli atti di polizia giudiziaria, nonostante non si
trattasse di atti irripetibili e nonostante la difesa, nel corso del dibattimento di
primo grado, si fosse opposta alla acquisizione al fascicolo del dibattimento;
– violazione di norme processuali per aver la Corte di appello respinto la richiesta
di rinnovazione dell’istruttoria, finalizzata alla assunzione di tre testimoni, che,
inizialmente, erano stati ammessi dal Tribunale e dei quali era stata poi disposta
la revoca;
– erronea valutazione delle prove, per aver ravvisato la sussistenza del requisito
della abitualità, laddove l’istruttoria aveva provato che si era trattato di incontri
meramente occasionali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va respinto, essendo i motivi proposti, in parte, formulati
genericamente e, in parte, infondati.

1. I primi due motivi di ricorso riguardano la formazione del compendio
probatorio e denunciano la violazione di norme processuali per aver la Corte di
appello, da una parte, ritenuto utilizzabili atti della polizia giudiziaria e, dall’altra,
respinto la richiesta della difesa di integrazione istruttoria.

1.1. Quanto al primo aspetto, va ricordato che le sentenze di merito
hanno tratto la prova della responsabilità dell’imputato:
– dalle dichiarazioni rese a dibattimento da Della Sala Pietro, Mirtuono
Antonio, Messinese Giuseppe, operatori di polizia giudiziaria, relativamente agli
accertamenti compiuti, rispettivamente, in data 19.4.2010 e 10.5.2010,
1.6.2009, 5.11.2009, e relarivi alla contesta frequentazione dell’imputato con
persone pregiudicate;
– dalle ammissioni dello stesso imputato in ordine agli episodi in data
1.6.2009, 19.4.2010 e 10.5.2010;

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– violazione di norme processuali e conseguente nullità delle sentenze di merito,

- dalle dichiarazioni, sempre rese a dibattimento, dei testimoni introdotti
dalla difesa ( Leone Ruggiero, Valentino Saverio, Mastropasqua Giuseppe,
Caputo Michele, Amoroso Michele) in ordine alle motivazioni di quegli incontri.
Tanto posto, si deve rilevare che il motivo che denunci la sussistenza di
errores in procedendo, siano essi relativi a norme processuali la cui violazione sia
sanzionata a pena di nullità ovvero alla inutilizzabilità di mezzi di prova, deve
anche dar conto della decisività della violazione processuale, e quindi evidenziare
come l’atto processuale invalido ovvero la prova inutilizzabile abbiano

Un. 23.4.2009, n. 23868, Fruci, Rv. 243416).
Nel caso in esame, perciò, l’assenza di rilievi in ordine alla decisività del
vizio processuale denunciato comporta, da un lato, la genericità del motivo, e,
dall’altro, alla luce del più ampio compendio probatorio su cui riposa la sentenza
impugnata, la sua irrilevanza e quindi, in ogni caso, la sua inammissibilità, ai
sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. .

1.2. Quanto al secondo motivo, non ricorreva certamente l’ipotesi dui cui
all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. Non trattandosi di prove nuove, né, alla
luce del compendio probatorio già versato in atti, prima illustrato, delle ipotesi di
cui all’art. 603, commi 1 e 3, cod. proc. pen., non solo non risultando le prove
richieste indispensabili o necessarie ai fini della decisione, ma apparendo – al
contrario – gli elementi già versati in atti e coerentemente valorizzati,
ampiamente sufficienti per la decisione.
Va quindi dichiarata la inammissibilità anche del secondo motivo di
ricorso.

2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Innanzitutto, si deve rilevare che il motivo, pur intitolato ” Nullità
della sentenza per erronea valutazione delle prove”, non concerne né la
violazione di norme processuali né il difetto di motivazione, bensì la violazione
della legge penale, in particolare della norma incriminatrice.
Il motivo, infatti, deduce error in iudicando, per aver i giudici del merito
ravvisato nei fatti oggetto di prova l’elemento della “frequentazione abituale”
ovvero della “assidua associazione”, richiesti dalla norma incriminatrice.
E’ stato precisato ( Sez. 5, 7.10.2016, Altoè, Rv. 268404) che la denuncia
della erronea applicazione della legge penale, se collegata al rilievo di una
inadeguata ricostruzione della fattispecie concreta, integra in realtà una
deduzione di motivazione carente, ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e,
4

determinato il giudizio ( Sez. Un. 21.6.2000, n. 16, Tammaro, Rv. 216249; Sez.

cod. proc. pen., mentre, ove manchi quel collegamento, costituisce motivo per
violazione della legge penale, vuoi sotto il profilo di erronea interpretazione, vuoi
come erronea qualificazione giuridica del fatto ovvero come erronea sussunzione
della fattispecie concreta in quella astratta.
Nel caso in esame, il ricorso non contesta la ricostruzione dei fatti, invero
assai semplici, bensì che negli stessi possa essere ravvisata la condotta
integrante l’elemento oggettivo del reato.

comma 2, d.lvo n. 159/2011, sotto il particolare profilo della violazione della
prescrizione ” … di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito
condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza …”, il collegio
condivide l’orientamento secondo il quale a integrare il fatto è necessaria una
pluralità di incontri con persone rientranti nelle categorie indicate (Sez. 1,
9.5.2017, Massimino, Rv. 270635; Sez. 1, 10.10.2017, Iurlaro, Rv. 271902).
E’ stato spiegato che l’elemento della “abituale associazione” richiede che
sia ravvisata una certa modalità comportamentale nel sottoposto a misura di
prevenzione personale, tale da far ritenere il soggetto propenso a rapportarsi con
persone pregiudicate ovvero sottoposte a misura di prevenzione.
Il bene giuridico tutelato dalla norma è, coerentemente con la ratio delle
misure di prevenzione, il conseguimento della difesa sociale dalle manifestazioni
di pericolosità sociale, che giustificano l’applicazione della misura.
Dunque, la fattispecie penale risulta integrata ove la condotta del
sottoposto a misura personale sia tale da evidenziare il mantenimento di
frequentazioni idonee a radicare quella pericolosità sociale, che la misura
intende, invece, neutralizzare.
Ne consegue che se, da una parte, è richiesta una pluralità di incontri con
pregiudicati, dall’altra, non è necessario che ciò avvenga con il medesimo
soggetto, ben potendo ravvisarsi il fatto anche in una pluralità di incontri singoli
con diversi pregiudicati.

2.3. Nel caso in esame, le sentenze di merito hanno compiuto corretta
applicazione della norma incriminatrice, avendo ravvisato la sussistenza del fatto
contestato in una condotta consistita, nell’arco di undici mesi, in una pluralità di
incontri ( in numero di quattro), nel corso dei quali l’imputato si era relazionato
con tre persone pregiudicate.
Il motivo proposto risulta quindi infondato.

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2.2. Quanto all’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 75,

3. Alla pronuncia di rigetto del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 26.2.2018.

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