Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17178 del 06/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17178 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Lo Giudice Gaetano n. il 13/06/1959 a Catania

avverso l’ordinanza del 11/12/2015 del Tribunale di Catania

sentita la relazione svolta dal Consigliere Gaetano De Amicis;
sentite le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Luigi Orsi, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 06/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 11 dicembre 2015 il Tribunale del
riesame di Catania ha confermato l’ordinanza emessa dal G.i.p. presso il
Tribunale di Catania il 17 novembre 2015, che applicava a Lo Giudice Gaetano
la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416bis, commi 1, 2, 3, 4 e 6, cod. pen. (capo sub A), per avere fatto parte di

Bonaccorsi”, suddivisa in squadre operanti in vari quartieri di Catania, tra le
quali quella detta dei “Carateddi”, sino al marzo 2013. Con la stessa
ordinanza è stata applicata la misura custodiale anche per il reato di cui agli
artt. 81 cpv. cod. pen., 2, 4 e 7 della legge n. 895/1967 (capo sub B), con
l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203/1991.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il
difensore di fiducia, che ha dedotto vizi di violazione di legge e mancanza di
motivazione in relazione agli artt. 192, terzo e quarto comma, 273, cod. proc.
pen., sul rilievo che il compendio indiziario a carico dell’indagato è basato
esclusivamente sulle dichiarazioni accusatorie rese da collaboranti (ossia, da
Fiorentino Vincenzo, Musumeci Gaetano, Cavallaro Natale e D’Aquino
Gaetano), la cui credibilità soggettiva in ordine ai rapporti con il chiamato in
correità non è stata oggetto di adeguata motivazione da parte del Tribunale
del riesame, anche in ragione dei periodi di detenzione dagli stessi subiti. Tutti
i collaboranti, peraltro, già nel 2010, e in epoche diverse, avevano intrapreso
la loro collaborazione, mentre le condotte delittuose in contestazione si
estendono temporalmente sino al marzo 2013, quando nessuno di essi poteva
avere contezza delle dinamiche associative successive al loro arresto.
L’indagato, inoltre, è stato ininterrottamente detenuto in Germania dal 2010
al 2012 e non ha mai avuto rapporti con il D’Aquino, né con il Cavallaro ed il
Musumeci.
Si contestano, in secondo luogo, gli aspetti di credibilità oggettiva, in
ordine alla genericità e mancanza di precisione delle dichiarazioni accusatorie
dei collaboranti, non solo per quel che attiene al presunto ruolo di fornitore
ovvero di custode delle armi in dotazione del sodalizio criminoso, ma anche
riguardo all’episodio della rapina che sarebbe stata commessa nel 2006, le cui
modalità di consumazione non sono state specificate.

1

un’associazione di tipo mafioso armata e denominata “clan Cappello-

Si lamentano, infine, profili di contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla ritenuta presenza di elementi di riscontro delle
predette dichiarazioni, risultando le stesse non convergenti riguardo alla
identità dei fornitori di armi all’organizzazione criminale in esame e comunque
inidonee a riscontrarsi reciprocamente in modo specifico e individualizzante.

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni qui di seguito esposte
e precisate.

2. La gravità del panorama indiziario delineato a sostegno della misura
deve ritenersi congruamente sostenuta dalla motivazione su cui poggia il
provvedimento impugnato, che ha correttamente proceduto ad una
valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del
ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni che
giustificano il relativo epilogo decisorio.
Il Tribunale, invero, ha fatto buon governo del quadro di principii che
regolano la materia in esame, replicando alle obiezioni difensive e linearmente
evidenziando, sulla base delle emergenze indiziarie desunte dalle numerose e
convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ivi compiutamente
illustrate (pagg. 3-9), il contributo partecipativo dall’indagato offerto al
sodalizio in esame – costantemente operante sul territorio catanese fino al
marzo 2013 – attraverso le attività di fornitura e custodia di armi in favore del
gruppo dei “carateddi”, al cui interno il figlio dell’indagato, Sebastiano Lo
Giudice, ha ricoperto funzioni apicali.
La disamina del contenuto delle dichiarazioni rese dai collaboratori
Fiorentino Vincenzo, Musumeci Gaetano, D’Aquino Gaetano e Cavallaro
Natale, intranei al sodalizio in esame e come tali direttamente a conoscenza
delle sue dinamiche operative, ha consentito ai Giudici di merito, con
argomentazioni coerentemente esposte, di trarne indicazioni sintomatiche,
allo stato, della piena messa a disposizione in favore della consorteria, della
conoscenza dei suoi affari e dello stretto legame fiduciario derivante dal su
indicato vincolo parentale con uno dei capi del gruppo di riferimento.
Né, a fronte della perdurante attività dell’associazione, può assumere
alcun rilievo il dato, genericamente prospettato, in ordine alle circostanze del
riferito stato di detenzione all’estero, non essendo emerso alcun elemento di

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

fatto idoneo a ritenere che l’interessato, anche in relazione agli effetti della
presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc.pen., abbia
irreversibilmente reciso i legami con l’organizzazione criminosa di
appartenenza.

3. In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle
emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze

passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del
discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma ha sostanzialmente
contrapposto una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo
leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in
sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è
sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.
Al riguardo v’è da osservare, peraltro, che l’ordinamento non conferisce a
questa Suprema Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende oggetto d’indagine, nè la investe di alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,
trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile
del giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del
tribunale chiamato a pronunciarsi sulle connesse questioni

de libertate. Il

controllo di legittimità, pertanto, è circoscritto esclusivamente alla verifica
dell’atto impugnato, al fine di stabilire se il testo di esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, la cui
contestuale presenza, come avvenuto nel caso in esame, rende l’atto per ciò
stesso insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (da ultimo, v. Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, dep.
19/11/2014, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010,
Rv. 248698).

4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere
rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen. .

3

motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato

La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art.
94, comma 1-ter, disp. att., cod. proc. pen. .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94,

Così deciso il 6 aprile 2016

Il Consigliere estensore

comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. .

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