Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17173 del 23/01/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17173 Anno 2018
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Miano Maurizio, nato ad Augusta il 18/09/1975

avverso la sentenza del 10/11/2015 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 novembre 2015 la Corte di appello di Catania ha
confermato la sentenza del 18 marzo 2014 del Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Siracusa, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato
Miano Maurizio colpevole dei reati di porto illegale di una pisola calibro 7,65
(capo A), minaccia aggravata ai danni di Di Mare Angelo con detta pistola da cui
aveva esploso quattro colpi di arma da fuoco (capo B), e accensione ed
esplosioni pericolose per avere esploso in luogo abitato e in adiacenza a una

Data Udienza: 23/01/2017

pubblica via gli indicati colpi di pistola (capo C), e lo aveva condannato, unificati i
reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena, già ridotta per la scelta del
rito, di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro tremila di multa.
1.1. La Corte di appello, che premetteva il richiamo alle condivise
argomentazioni della sentenza di primo grado, riteneva che la deduzione
dell’appellante che l’arma da lui utilizzata era una pistola lanciarazzi, rinvenuta su sua indicazione- all’interno della sua abitazione, e non una pisola calibro 7,65,
fosse contrastata dal quadro probatorio, sostenuto da indizi gravi e convergenti.

ove erano accaduti i fatti ed escusso a sommarie informazioni testimoniali,
avevano affermato in termini circostanziati che l’imputato aveva impugnato una
pistolaCon la quale aveva esploso dei colpi in direzione della prima. Il secondo
aveva anche puntualizzato, dopo la visione della pistola lanciarazzi, che la stessa
era diversa da quella utilizzata nel corso della rissa del 6 maggio 2013,
conoscendo egli «un po’» le armi in quanto appassionato e annotando che la
pistola mostratagli non scarrellava ed era più piccola.
Rilevavano,

inoltre,

le riprese filmate registrate dal sistema di

videosorveglianza, ritraenti l’imputato che impugnava una pistola cercando di
attingere la persona offesa due volte, gli esiti del successivo sopralluogo in
ordine al rinvenimento di due bossoli calibro 7,65 lungo la traiettoria in cui,
secondo le riprese filmate, si era mosso l’imputato, e le foto allegate alla nota dei
Carabinieri in ordine alle tracce rilevate (intaccatura su un montante di un
carrello di barca e perforazione di un telo di plastica) compatibili con il contatto
di una ogiva per dimensioni e caratteristiche.
Non assumeva, invece, rilevanza -a fronte del completo quadro probatorio- il
mancato rinvenimento dell’arma utilizzata.
1.2. La sussistenza contestata dell’elemento soggettivo della minaccia era
riscontrata dalla direzione dei colpi esplosi, tratta dalle dichiarazioni della
persona offesa e dalla visione dei filmati.
Non ricorrevano i presupposti della scriminante della legittima difesa,
genericamente dedotta solo nelle conclusioni dell’atto di appello, per essere del
tutto sproporzionata la reazione con arma al riferito colpo al capo ricevuto dalla
persona offesa.
Ostavano alla configurabilità dell’attenuante del fatto di lieve entità le gravi
modalità e il contesto di svolgimento dei fatti, l’incapacità dell’imputato di
contenere i propri istinti criminali e la personalità del medesimo, gravato da
precedenti penali anche specifici.
Né la successione dei fatti consentiva di ravvisare nel comportamento della
persona offesa alcuna provocazione, apoditticamente assunta nell’atto di appello.

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Sia la persona offesa, sia Luciani Giacomo, proprietario del circolo nautico

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per
mezzo del suo difensore avv. Giuseppe Forestiere, chiedendone l’annullamento
sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. e) , cod. proc. pen., mancanza e manifesta illogicità della motivazione, per
avere la Corte di appello omesso di rispondere adeguatamente alle precise e
puntuali osservazioni contenute nei motivi di appello.

sua di una pistola calibro 7,65, è fondato, ad avviso del ricorrente, su
presunzioni e ricostruzioni carenti e illogiche, contrastanti con le norme che
regolano la valutazione della prova e inidonee a supportare una sentenza di
condanna «al di là di ogni ragionevole dubbio», avuto riguardo al contenuto poco
convincente delle sommarie informazioni testimoniali, agli esiti poco nitidi e
particolareggiati del filmato registrato dal servizio di videosorveglianza del club
nautico, alla mancanza di accertamenti tecnici, alla distanza del luogo di
rinvenimento dei due bossoli da quello dei fatti, al carattere presunto ed
equivoco dei segni lasciati su alcuni oggetti molto lontani dallo stesso luogo, al
mancato ritrovamento della presunta «vera» arma del delitto e al non
contestabile rinvenimento e sequestro della sola pistola lanciarazzi.
2.1.2. Con riguardo al delitto di minaccia e alla sussistenza della legittima
difesa, inoltre, la Corte ha solo ripercorso lo sviluppo della vicenda già effettuato
dal Giudice di primo grado, soffermandosi in modo inadeguato e insufficiente
sulla rappresentata inidoneità della presunta arma a offendere e cagionare gravi
danni alla persona e sulla mancanza di alcuna sua intenzione di minacciare di
morte alcuno, oltre che sulla invocata legittima difesa, senza considerare che il
colpo al capo con un nodoso bastone ha potenzialità letale superiore a quella di
un’arma usata a solo scopo dissuasivo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale, con riguardo alla mancata concessione dell’attenuante del fatto di
lieve entità prevista dall’art. 5 legge n. 895 del 1967, che doveva essere
riconosciuta tenendo presenti l’unicità dell’arma, le caratteristiche tecniche, le
modalità d’impiego, la mancanza di potenzialità offensiva della stessa, e con
riguardo alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione, attuata a
mezzo aggressione esagerata e immotivata da parte della persona offesa.
La Corte, non soffermandosi ad analizzare le circostanze di fatto capaci di
incidere in maniera concreta e specifica sulla quantificazione della pena, ha,
inoltre, applicato una pena eccessiva, sproporzionata ed estremamente punitiva,

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2.1.1. L’assunto della Corte, che ha ritenuto dimostrato l’utilizzo da parte

mentre avrebbe dovuto ancorarla ai minimi edittali, concedendo la chiesta
attenuante della provocazione, reclamata dalle oggettive emergenze processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso sviluppa doglianze manifestamente infondate ovvero generiche
o non consentite.

della disposta conferma dell’affermazione della sua responsabilità per i reati
ascritti in materia di armi (ex artt. 4 e 7 legge n. 895 del 1967) ed esplosione
pericolosa di colpi di pistola in luogo abitato e vicino a una pubblica via (ex art.
703 cod. pen.), contestate per il loro contenuto ripetitivo della motivazione di
primo grado, per la non congruenza delle risposte rese ai motivi di appello e per
le omessa logica verifica della idoneità della prova per l’espressione del
convincimento finale al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.1. La manifesta infondatezza di tali censure consegue al rilievo che
l’apprezzamento organico delle risultanze processuali, che si assume manchevole
e illogico, è stato compiutamente condotto dalla Corte di merito secondo un iter
logico, che, concordante con il condiviso sviluppo decisionale della sentenza di
primo grado che aveva diffusamente illustrato i dati fattuali acquisiti e le
emergenze probatorie (sintetizzate sub 1.1. del “ritenuto in fatto”), ha fornito
una persuasiva ricostruzione della vicenda, rappresentando le ragioni
significative della decisione adottata a fronte del compiuto vaglio delle deduzioni
fatte oggetto dei motivi di appello.
La Corte, ha, in particolare, posto l’accento, in replica alle argomentazioni
difensive, sulla necessaria lettura coordinata e complessiva del quadro
probatorio.
2.2. In coerenza con la sistematica della prova indiziaria, la sentenza
impugnata ha, quindi, ripercorso le risultanze delle evidenze disponibili e,
secondo un ragionevole e coerente procedimento inferenziale, ha tratto da esse,
apprezzandone gravità e concordanza, la prova logica del fatto, valorizzando gli
apporti dichiarativi della persona offesa Di Mare Angelo e del proprietario del
circolo nautico (luogo di accadimento dei fatti) Luciani Giacomo, rimarcandone la
convergenza e annotando, illustrandone i contenuti, i riscontri oggettivi tratti
dalle riprese filmate registrate dal sistema di videosorveglianza, dagli esiti del
sopralluogo successivo alla visione di dette riprese, dai segni lasciati dai bossoli
esplosi e dal materiale fotografico in atti; ha ritenuto provato l’utilizzo da parte
dell’imputato di una pistola calibro 7,65; ha evidenziato, ripercorrendo

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2. Le censure svolte dal ricorrente con il primo motivo attengono alle ragioni

criticamente la versione difensiva, la carenza di un suo adeguato supporto
probatorio, e ha annotato che, anzi, vi erano elementi (segni visibili della
esplosione di colpi di arma da fuoco, riprese filmate delle caratteristiche
dell’arma) che la contrastavano, escludendo la valenza, nel delineato contesto
probatorio, del mancato rinvenimento della pistola e giudicando come
«maldestro» il tentativo dell’imputato di ridimensionare la sua condotta offrendo
la indicazione precisa di una pistola lanciarazzi.
Tale analisi, che rende conto della logica disamina svolta delle emergenze

coerente con l’esatta interpretazione e applicazione del principio per cui il giudice
pronuncia condanna al là di ogni ragionevole dubbio, lo stesso imponendo al
giudice, per costante e condivisa giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez.
1, n. 23813 del 08/05/2009, Manickam, Rv. 243801; Sez. 1, n. 17291 del
03/03/2010, Giampà, Rv. 247449; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv.
251507; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204), un metodo
dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del «dubbio» e
comportando che la sua verifica da parte del giudice deve essere compiuta in
maniera da evitare la sussistenza di dubbi interni (l’auto contraddittorietà o la
sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (l’esistenza di una ipotesi
alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica, e non congetturale seppure
plausibile), come è avvenuto nella specie.
2.3. In questo contesto non possono trovare accoglimento le censure
difensive, che, senza una effettiva correlazione con l’articolato ragionamento
probatorio svolto, oppongono -in termini ampiamente ripetitivi delle doglianze
espresse con l’atto di appello- ad alcuni passaggi motivazionali della sentenza
deduzioni di dissenso, che, lungi dall’esprimere carenze o distorsioni logiche, si
risolvono in censure di merito, generiche e non consentite, sul significato e sulla
interpretazione degli elementi probatori utilizzati o in doglianze appuntate sulla
omessa particolareggiata disamina di elementi di giudizio non significativi o già
implicitamente apprezzati come inconferenti.
2.4. Priva di alcun pregio è la censura dedotta, nello stesso primo motivo,
con riguardo alla contestata sussistenza dell’elemento soggettivo e al contestato
mancato riconoscimento della legittima difesa relativamente al reato di minaccia
aggravata, poiché la intenzionalità della condotta, che la Corte ha rimarcato
riprendendo le emergenze relative alla direzione dei colpi esplosi, e la
sproporzione dell’offesa della persona offesa alla reazione dell’imputato, che la
Corte ha valorizzato, richiamando le dichiarazioni della prima e ritenendo che la
condotta del secondo avesse superato i confini dell’agire scriminato, sono state
opposte nel ricorso con il reiterato riferimento alla tesi, già accertata come

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processuali senza lasciare spazio a una valida spiegazione alternativa, è anche

soccombente, dell’utilizzo di una inoffensiva pistola lanciarazzi ovvero con
riferimenti a circostanze fattuali (come l’utilizzo di un bastone da parte della
persona offesa), delle quali è reclamata una diversa analisi valutativa, estesa a
dati solo affermati (caratteristiche del bastone, dichiarazione della persona offesa
circa il rilevato carattere inoffensivo dell’arma), ed estranea, in ogni caso, al
sindacato di legittimità.

3.

Non sussiste sotto alcun profilo la violazione di legge dedotta dal

della decisione, alla mancata concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità
e dell’attenuante della provocazione e alla operata quantificazione della pena,
avendo la Corte esattamente interpretato le norme applicate, alla luce di
pertinenti principi di diritto, che ha coerentemente correlato a specifiche
evidenze fattuali e che il ricorrente contesta, genericamente enunciando incorse
inosservanze della normativa di riferimento, reiterando anche con testuali
passaggi le deduzioni svolte con l’atto di appello, astraendo dall’analisi che delle
stesse ha svolto la sentenza impugnata, riproponendo la propria tesi difensiva e
reclamandone una valorizzazione per un più favorevole risultato in diritto, e del
tutto infondatamente attingendo la congruità della sanzione irrogata,
ragionevolmente quantificata, in esplicazione di corretto esercizio del potere
discrezionale, con riferimento al disvalore della condotta e alla personalità
dell’imputato secondo i parametri di cui all’art.133 cod. pen.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
presenza di profili di colpa correlati alla irritualità della impugnazione (Corte
cost., sent. n. 186 del 2000, mass. 25390), al versamento della sanzione
pecuniaria in favore della cassa delle ammende nella misura ritenuta congrua di
millecinquecento euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
cassa delle ammende.
Così deciso il 23/01/2017
f

ricorrente con il secondo motivo del ricorso, riferita, nello sviluppo argomentativo

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