Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17168 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17168 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: BRANCACCIO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PAVLOVIC GULIANO nato il 11/11/1985

avverso la sentenza del 23/03/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

Data Udienza: 01/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata la Corte d’Appello di Torino ha dichiarato l’inammissibilità
dell’appello dell’imputato Pavlovic Giuliano e l’esecutività della sentenza emessa dal
Tribunale di Torino in data 24.11.2016, ritenendo l’impugnazione basata su asserzioni
apodittiche e mere clausole di stile, prive di indicazione specifica delle ragioni di diritto
e degli elementi di fatto che si intende far valere.
La Corte d’Appello evidenzia che la richiesta di riconoscimento ed applicazione delle

recidiva, che costituisce l’unico motivo di appello proposto, è comunque infondata
poiché omette di considerare che la recidiva contestata nell’imputazione e ritenuta in
sentenza è reiterata, sicchè, ai sensi dell’art. 69, ultimo comma, cod. proc. pen., essa
non consente un giudizio di bilanciamento in prevalenza delle eventuali attenuanti, se
riconosciute.
Con ricorso proposto personalmente in data 28 agosto 2017 l’imputato deduce la nullità
del provvedimento impugnato poiché infondato nella motivazione.
La ragioni di fatto addotte sarebbero, infatti, desumibili dalle dichiarazioni dello stesso
ricorrente rese nel corso del procedimento (all’atto dell’arresto, all’udienza di convalida
e nel processo), né sarebbe stata esaminata, nella sentenza avverso la quale era stato
proposto appello, la personalità dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 610 comma

5-bis

cod. proc. pen.
2. L’impugnazione è stata proposta successivamente all’entrata in vigore della legge 23
giugno 2017, n. 103, la quale, modificando gli artt. 571 e 613 cod. proc. pen., ha
privato l’imputato della facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione,
riservando in via esclusiva al difensore iscritto nell’apposito albo il potere di
sottoscrivere l’atto di impugnazione con cui viene introdotto il giudizio di legittimità.
La riforma degli artt. 571 e 613 cod. proc. pen. ha inciso, dunque, solo sulla
individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’atto di impugnazione per conto
dell’imputato o dell’indagato, che non può coincidere con lo stessa persona del
ricorrente.
In ipotesi di modifiche legislative di ordine processuale quali quella in esame, ai fini
dell’applicazione del principio tempus regit actum, occorre aver riguardo al momento
della presentazione del ricorso, che, risultando depositato in cancelleria il 28/8/2017, è
successivo al 3/8/2017, data di entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, e non a

2

circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti e sulla

quello della pronuncia del provvedimento impugnato, che, nel caso di specie, è
anteriore all’entrata in vigore della novella normativa
Difatti, la modifica normativa non ha toccato il diritto di impugnare, ma ha solo rivisto
la

disciplina delle modalità del suo esercizio,

sicché

l’actus

da considerare

temporalmente ai fini dell’applicazione dell’art.11 delle disposizioni preliminari al codice
civile, è l’atto di impugnazione in sé e per sé, ossia il ricorso (cfr., in senso conforme,
Sez. 5, n. 53203 del 7/11/2017).
Non è in gioco, pertanto, il potere o il diritto ad impugnare nella sua sussistenza in

esercitare tale diritto, sicchè, nel caso di specie, non può essere adottata una decisione
analoga a quella delle Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537, secondo cui,
per risolvere le questioni di diritto intertemporale relative a modifiche normative
incidenti sul potere di impugnare un provvedimento, in mancanza di norma transitoria,
la regola tempus regit actum impone che si tenga conto del momento dell’emanazione
del provvedimento impugnato e non di quello della presentazione dell’atto di
impugnazione.
Del resto, le stesse Sezioni Unite avvertivano, nella citata pronuncia del 2007, che
l’applicazione della regola del tempus regit actum va collegata alla variegata tipologia
degli atti processuali e modulata nella sua declinazione in relazione alla differente
situazione sulla quale questi incidono e che occorre di volta in volta governare (e non
c’è dubbio che il caso della previsione dell’impossibilità di proporre ricorso personale
differisce non poco da quello concreto preso in esame dalla sentenza Lista, in cui
veniva in esame lo stesso diritto di una parte ad impugnare).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento della somma, ritenuta congrua, di euro quattromila alla Cassa delle
ammende, essendo imputabile a sua colpa la determinazione della causa di
inammissibilità (v. Corte cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di € 4000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 1 febbraio 2018.

Il Consigliere estensore

Depositato in Cancelleria
Roma, lì

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Il Presidente

generale, ma soltanto la regola relativa all’individuazione del soggetto legittimato ad

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